N° 3 - Marzo 2013
Spiritualità
  LA COSCIENZA TRANQUILLA
di La Redazione


 
 
 

Quaresima, una parola simbolica nella tradizione popolare

 

            Quando il benessere era un sogno e la povera gente (che era la maggioranza) ‘quaresimava’ dall’ Anno Nuovo a San Silvestro, la Quaresima riusciva ad aggiungere austerità all’austerità di sempre. Ai nostri giorni, invece, la Quaresima, addolcita fino al ridicolo, non riesce ad interrompere la voglia di Carnevale che domina da una notte di San Silvestro all’altra e l’unica penitenza accettata si riduce ad essere quella giustificata da motivi dietetici.

            Fare Quaresima è sempre stato una cosa seria ed i nostri vecchi la vivevano, innanzitutto, evitando il chiasso. Dicevano: “Il Carnevale fa chiasso e meno dura più è bello”, e aggiungevano che “la Quaresima è pesante per il pensiero della ‘cenere’  e per il digiuno del venerdì, ma piace per la sua tranquillità”. Una Tranquillità spiegata anche dal proverbio che dice: “Il Carnevale mangia le economie della Quaresima”. Tranquillità che metteva fine agli sprechi ed offriva alla povera gente l’occasione per fare un po’ di economia. Si sapeva infatti che “l’economia si incomincia dal mangiare e fa bene alla salute ed al portafoglio”. Già nel giorno delle Ceneri le patate venivano a sostituire, a tavola, la carne e il pane, mentre le fave, i fagioli, i ceci prendevano il posto della pasta. Le patate, dette il pane dei poveri o la carne del venerdì, si prestavano alla bisogna: bollite nell’acqua salata servivano come pane, come solido del brodo e dell’insalata; affettate, impanate e fritte come cotolette e come contorno. Alternativi alle patate erano le fave, ed i fagioli e tutte quelle erbe novelle di cui, in Quaresima, si arricchisce la campagna. Solamente la polenta restava imperterrita a testimoniare la continuità culinaria, pur presentandosi più ‘penitenziale’. Era detta , infatti, ‘polenta magra’: era una polentina molliccia di farina non raffinata.

            Si sapeva che la Quaresima ‘purifica l’anima e il corpo’ e già la dieta della prima colazione offriva la zuppa di brodo d’aglio. E’ questa infatti la stagione in cui è consigliata una dieta che alleggerisca il sangue. Sin dai tempi de ‘i sermoni subalpini’ (sec. XII) nei giorni del digiuno nessuno si permetteva di mangiare ‘prima dell’ora nona’ (le tre del pomeriggio) che ricordava ‘l’ora santa della morte di Gesù’. All’ora nona di tutti i venerdì dell’anno si sonavano i ‘rintocchi del venerdì’: rintocchi melanconici che facevano dire a mamma: “Senti? Gesù muore: preghiamo”. Si diceva: “Grazie, Gesù”, e si baciava la Croce. Mamma diceva che un tempo la cena dei giorni del digiuno si limitava a poche once di pane e un bicchiere di vino, se c’era. Ai giovanotti nel pieno della crescita era concessa la pietanza di cavoli bolliti e l’insalata d’erbe. L’appetito rimaneva gagliardo e alle rimostranze i nonni dicevano che ‘quaresimare o far digiuno fa bene alla salute ed allunga la vita’.

            Ricordo che, coricandomi, la mamma mi ninnava la storia di “K’l ricon d’l’Epulon/che d l’moscina in n’ha mai fà/’l Paradiso g’ha troo s’rà/e a l’Inferno g’hè n’dà”. A fine pranzo o cena si usava mettere nel ‘cestino del digiuno’ quanto non era stato consumato per penitenza che era detto ‘quello dei poveri’ e i poveri avrebbero pregato per noi e per le anime dei nostri morti. Rientrava nella dieta quaresimale anche l’astinenza dal vino: ‘in Quaresima anche il vino deve riposare per maturare e migliorare’. Contrariamente al vino la nostra povera e brava gente riposava lavorando e migliorava quaresimando tutto l’anno in compagnia di ‘Santa Miseria, stomaco leggero e coscienza tranquilla!’ Già! Coscienza tranquilla! Dicevano che “Una buona coscienza è il cuscino più bello!”; ed anche che “L’onore porta ora, ma l’oro non porta onore!”. E la nostra povera e brava  gente continua ad avere ragione!

 

                                                                                   (da un racconto piemontese)
 
 


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  RIFLESSIONE SUL VENERDI SANTO
di Dalle « Catechesi » di san Giovanni Crisostomo, vescovo (347 – 407) (Catech. 3,13-19; SC 50,174-177)


 
 
 

                                                La forza del sangue di Cristo

Vuoi conoscere la forza del sangue di Cristo? Richiamiamone la figura, scorrendo le pagine dell'Antico Testamento.

«Immolate, dice Mosè, un agnello di un anno e col suo sangue segnate le porte» (Es 12,5). Cosa dici, Mosè? Quando mai il sangue di un agnello ha salvato l'uomo ragionevole? Certamente, sembra rispondere, non perché è sangue, ma perché è immagine del sangue del Signore. Molto più di allora il nemico passerà senza nuocere se vedrà sui battenti non il sangue dell'antico simbolo, ma quello della nuova realtà, vivo e splendente sulle labbra dei fedeli, sulla porta del tempio di Cristo.

Se vuoi comprendere ancor più profondamente la forza di questo sangue, considera da dove cominciò a scorrere e da quale sorgente scaturì. Fu versato sulla croce e sgorgò dal costato del Signore. A Gesù morto e ancora appeso alla croce, racconta il Vangelo, s'avvicinò un soldato che gli aprì con un colpo di lancia il costato: ne uscì acqua e sangue.

L'una simbolo del battesimo, l'altro dell'eucaristia. Il soldato aprì il costato: dischiuse il tempio sacro, dove ho scoperto un tesoro e dove ho la gioia di trovare splendide ricchezze. La stessa cosa accadde per l'Agnello: i Giudei sgozzarono la vittima ed io godo la salvezza, frutto di quel sacrificio.

«E uscì dal fianco sangue ed acqua» (cfr. Gv19,34). Carissimo, non passare troppo facilmente sopra a questo mistero. Ho ancora un altro significato mistico da spiegarti. Ho detto che quell'acqua e quel sangue sono simbolo del battesimo e dell'eucaristia. Ora la Chiesa è nata da questi due sacramenti, da questo bagno di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo per mezzo del battesimo e dell'Eucaristia. E i simboli del battesimo e dell'Eucaristia sono usciti dal costato. Quindi è dal suo costato che Cristo ha formato la Chiesa, come dal costato di Adamo fu formata Eva.

Per questo Mosè, parlando del primo uomo, usa l'espressione: «ossa delle mie ossa, carne della mia carne» (Gn 2,23), per indicarci il costato del Signore. Similmente come Dio formò la donna dal fianco di Adamo, così Cristo ci ha donato l'acqua e il sangue dal suo costato per formare la Chiesa. E come il fianco di Adamo fu toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l'acqua durante il sonno della sua morte.

Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio latte, così il Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato.

 

                

 

  Partire sempre dall’amore di Dio
di Giuliana Rossini


 
 
 

Partire sempre dall’amore di Dio


            E’ stato come se mi avesse investito una schiacciasassi che mi costringeva a mettermi in discussione ed esaminarmi profondamente. Ho partecipato recentemente ad un incontro il cui argomento era: “L’amore al fratello”. Le parole vere, perché supportate dallo stile di vita di chi ci invitava a vedere Gesù nell’altro; le testimonianze, che ci facevano intravedere la meravigliosa rivoluzione che può operare l’amore vissuto verso gli altri, mi hanno toccata intensamente. Non che ciò che stavo ascoltando fosse per me una cosa nuova, anzi! Da diversi anni mi impegno a vivere, come posso, il Vangelo cercando di mettere al centro della mia vita l’amore a Dio e al prossimo.

            Ma ora mi sentivo direttamente interpellata. Davvero avevo amato tutti, avevo visto Gesù nell’altro, guardandolo con i Suoi occhi, avevo amato e perdonato per prima, mi ero fatta l’altro facendo il vuoto dentro di me per ascoltarlo e condividerne gioie e dolori? Il mio amore era stato concreto servizio al prossimo? In una parola, avevo veramente vissuto l’arte di amare? Beh, forse, qualche volta. Certamente mi era capitato di essere accogliente, di ascoltare con attenzione e rispetto chi aveva un fardello pesante da condividere, di ricucire rapporti lacerati, di chiedere scusa anche quando ero, o credevo d’essere, dalla parte della ragione. Ma non sempre e, più raramente, in famiglia. Perché è qui la maggiore difficoltà, il luogo per eccellenza dove devi vivere attimo per attimo l’amore a chi ti sta accanto.

Troppe volte non avevo ascoltato fino in fondo, perché piena di me, delle mie pene e non avevo saputo fare il vuoto, affidando il mio fardello al cuore di Gesù. Troppe volte avevo creduto di avere la soluzione pronta, invece di cercarla insieme agli altri, ritenendo di avere da insegnare qualcosa, dimenticando che solo Gesù è il vero Maestro. Troppe volte non mi ero fidata degli altri, dimenticando che tutti, proprio tutti, siamo figli di Dio e perciò degni della massima fiducia… e potrei continuare.

Subito una profonda amarezza mi ha invaso: non nascondo di essermi sentita un po’ a disagio per le volte che non ero stata coerente. Ma poi, a poco a poco, una luce si è fatta strada in me: Dio mi ama immensamente (Dio “ci” ama immensamente!), mi accoglie così come sono, con tutti i miei limiti e le mie mancanze: posso allora ricominciare, anzi le mie cadute possono essere una pedana di lancio per andare più avanti. Questa certezza si faceva più luminosa man mano che il tempo passava. Ora, ne ero certa, potevo tornare a casa nella pace. Certo, avrei ancora sbagliato, sarei ancora caduta, ma potevo sempre riprovarci. Capivo che dovevo fare principalmente una cosa: affidarmi al Padre, credere nel Suo Amore, abbandonarmi alla Sua volontà, lasciare che fosse Lui a dirigere i miei passi, senza voler fare tutto di testa mia, limitandomi a compiere la mia parte. Essere sicura che tutto ciò che mi sarebbe potuto accadere, sarebbe stato per il mio bene anche se, sul momento, avrebbe potuto sembrare il contrario. Questa certezza mi rendeva libera e leggera, nella pace e nella gioia. Ero come un bambino che si consegnava fiducioso alla tenerezza delle braccia paterne.

Tornando a casa avrei potuto donare questa esperienza ad altri e insieme avremmo potuto essere strumenti per la diffusione dell’annuncio evangelico, che è amore, e della fratellanza universale. Buona Quaresima e Buona Pasqua a tutti.

                                                                                 

 

 

  PENSIERI DI CHARLES DE FAUCAULD
di La Redazione


 
 
 

           

            In che modo fare l’elemosina meglio che per il passato? Facendola come la faceva Gesù, in un’imitazione più fedele del Modello Divino. Preoccupandosi meno di dare denaro e dando più quello che dava Gesù: la nostra fraterna tenerezza, il nostro tempo, la nostra pena.

            In che modo praticare l’eguaglianza e la fraternità con gli indigeni? Lasciandoli avvicinare a me, parlarmi, soprattutto non impiegando i soldati per allontanarli da me, non avendo paura di dedicare loro il mio tempo; anziché evitare le loro lunghe conversazioni, desiderarle, ma spostarle sempre verso Dio: riuscire a guidare  io queste chiacchierate, distaccarle dalla terra e farle sempre salire alle cose spirituali.

Non temere il contatto con gli indigeni, né quello dei loro vestiti, coperte. Non avere paura né della loro sporcizia né delle loro pulci. Vivere insieme agli indigeni con la familiarità che aveva Gesù verso i suoi apostoli, i quali erano simili ad essi.

Soprattutto, vedere sempre Gesù in loro e, di conseguenza, trattarli non soltanto con senso di eguaglianza e di fraternità, ma anche con l’umiltà, col rispetto, con l’amore, con la dedizione comandate da questa fede.
 
 
 
 

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