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COROLLARIO A ‘INDELEBILI TRACCE’
di M. G. Perroni Lorenzini
Polvere
Mi piace setacciare
La polvere minuta
Dei ricordi,
in cerca
di pepite sfolgoranti;
ma ora trovo
soltanto
un sasso scuro.
Un sasso scuro, se non proprio nero, è il risultato della mia ricerca tra i ricordi, ogni volta che ripenso a un episodio che è come un corollario a quello che ho chiamato “incontro con la follia”. Non è così drammatico; solo dimostra a me stessa quale influenza negativa l’altro incontro abbia avuto su di me. Tra i due fatti non dovrebbe essere passato molto tempo. Forse addirittura pochi mesi. Questa seconda esperienza la vissi che facevo il primo anno delle scuole medie inferiori, a La Spezia, proprio in quei primi mesi in cui, gettata così bambina (tra l’altro a scuola ero un anno avanti) dal paese in un mondo praticamente a me sconosciuto, di quel mondo avevo quasi paura.
Dunque, un giorno, non ricordo per qual motivo, mi fecero uscire da scuola molto tempo prima. Io sapevo che fino all’ora solita non ci sarebbero stati autobus per riportarmi a casa; e che non avevo niente altro da fare che aspettare il momento della partenza; per cui decisi di farlo alla stazione delle corriere. Ché non avrebbe avuto senso andare ad attendere il mezzo alla fermata solita, dove sarei dovuta stare per molto tempo in piedi, da sola, a lato di una strada di intenso traffico. Alla stazione, invece, c’era sempre animazione e quindi possibilità di distrarsi ed anche di sedersi su qualche panchina, dato che essa si trovava allora vicino ai giardini pubblici. E poi, forse, vi avrei anche potuto incontrare qualche conoscente. Infatti, appena arrivata al luogo dove partivano le corriere per Arcola, vidi un signore che sapevo del mio paese. Anche lui mi riconobbe e mi disse di aver perduto l’autobus precedente per pochi minuti; e così ora doveva attendere un bel po’. L’uomo era già anziano e ben presto si stancò di stare in piedi; mi propose allora di andarci a sedere su una panchina. Io mi diressi subito verso quella che vedevo di fronte a noi sull’altro lato della strada; ma a lui quella soluzione non piacque, perché ci batteva troppo il sole; e voleva invece stare all’ombra. Si incamminò, quindi, deciso, nell’interno del giardino, in cerca della sua panchina, mentre io lo seguivo. Ero convinta che avrebbe trovato subito il posto giusto. Invece mi accorsi che ci stavamo addentrando sempre più tra i vialetti e che ormai eravamo lontani dalla stazione e in una zona che appariva deserta. Incominciai allora a preoccuparmi, anche perché mi risuonavano nelle orecchie le ingiunzioni dei miei di non seguire in luoghi deserti mai nessuno che non conoscessi bene. E al suono di queste parole si aggiunse, improvviso come una folgorazione, il recente ricordo di due occhi folli e di due mani brancicanti. E così, quando quel signore ebbe trovata la panchina che desiderava, io ero già pentitissima di averlo seguito; e, mentre lui parlava e parlava, io assentivo, ma intanto guardavo in giro, se potevo scorgere qualche altra persona a cui eventualmente chiedere aiuto; perché ora avrei saputo farlo; ma nei pressi non c’era nessuno. Per cui di nuovo mi sentii sola e abbandonata. Ebbi poi veramente paura quando lui mi offerse una caramella, che rifiutai: non avevo infatti sentito dire che erano proprio le caramelle il mezzo con cui si attiravano i bambini?
Mi tenevo il più discosta possibile da lui e ogni volta che si faceva più presso a me, o, nel parlare, allungava una mano, io mi ritraevo di colpo. Ormai partecipavo sempre meno alla conversazione, tutta presa com’ero di vederlo trasformarsi da un momento all’altro in un mostro. Così, ad un certo punto, anche lui si rese conto del mio disagio e mi domandò che avessi. Non ricordo quale fu la mia risposta; comunque non lo convinse. E dopo aver provato ancora a tranquillizzarmi, ma invano, lui, con un’alzata di spalle come di persona offesa, disse che allora era meglio tornare alla stazione delle corriere. Io mi alzai subito e lo seguii, sollevata e amareggiata insieme. Là giunti, egli trovò altra compagnia e non badò più a me.
Una volta arrivata a casa, non seppi tenermi dal confessare che avevo disubbidito alle raccomandazioni fattemi di non seguire sconosciuti in luoghi deserti. E raccontai la cosa. Alle insistenti domande su chi fosse quel compaesano non ne seppi dire il nome e ci volle un po’ prima che i miei riuscissero a capire di chi si trattava. In principio anche loro sospettarono che quell’uomo non avesse intenzioni del tutto buone. Ma quando mi ricordai di sapere dove abitava, per cui fu chiaro di chi si trattava, esplosero in una risata di liberazione: l’uomo che mi aveva fatto tanta paura era un gentile amico di papà, già nonno, uomo serio, con una fama integerrima.
Non so se in seguito lui e mio padre abbiano parlato insieme della cosa; e se ci sia stata qualche spiegazione. Per parte mia dovetti subire una bella ramanzina seguita dall’ordine di non disubbidire mai più. Io però non accantonai l’episodio dentro di me, come sono soliti fare i bambini, se non dopo parecchio tempo. Riflettevo, infatti, che avevo sospettato di un innocente. E questa era una colpa grave. In più quell’innocente era un compaesano e amico della mia famiglia. E questo rendeva la colpa ancora più grave. Pensavo, inoltre, che se per caso quel signore fosse stato simile all’uomo incontrato in corriera, non mi sarei salvata, perché gli ero andata supinamente dietro fino a un luogo quasi deserto.. Con inquietudine, quindi, dovevo ammettere che non ero ancora così sicura delle mie convinzioni, da sapermi guardare da un adulto; anche se, purtroppo per me, avevo ormai perduto gran parte di quella serena innocenza che aveva resa beata la mia infanzia.
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La via per arrivare a Dio: il fratello!
di Doretto
Ho letto uno scritto di Chiara Lubich che dice: ”Sappiamo come, attraverso i secoli, nella chiesa siano sorte persone eccezionali, i Santi, i quali sono tali proprio perché sono riusciti a conquistare l’unione con Dio.
In che modo e a quale prezzo?
Spesso ritirandosi dal mondo e isolandosi nei deserti o chiudendosi nei conventi, protetti da mura, per essere facilitati , lontani dalle tentazioni del mondo, nel loro rapporto con il Signore presente nei loro cuori.
Oggi però i tempi richiedono altri modi e lo Spirito Santo si adegua ai nuovi cambiamenti. Oggi la Santità deve fuoriuscire dai conventi, essere presente nelle case, nelle scuole, nelle strade, negli uffici, nelle fabbriche, nei parlamenti…, perché oggi, più di una volta, si è preso coscienza che anche i laici sono chiamati alla Santità. Ora io mi chiedo: come fare per realizzare questo progetto di Dio ?
Giovanni Paolo II ha detto che la via della Chiesa oggi è l’uomo!
Eccola la via per arrivare a Dio. Il fratello, la sorella! L’unione con Dio e l’ unione con i fratelli.
Ma come? Semplice. Amandoli ad uno a uno durante la giornata, tutta la giornata.
Il fratello è quindi la porta per entrare nella vita divina, per entrare nella luce. Sta scritto infatti: “Chi ama il suo fratello rimane nella luce “ (Gv 2,10). E anche: “Egli (Gesù) ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i nostri fratelli “ (Gv 3,16).
Ricordo quella volta che dopo aver ricevuto l’ Eucarestia guardai il Tabernacolo e ringraziai Gesù per il bene che mi voleva, ma la solita vocina mi disse: “Perché mi guardi qui nel tabernacolo? In questo momento io sono dentro di te, il mio tabernacolo ora sei tu, io sono te!”. “Gesù, se tu sei in me, cosa vuoi che io faccia?”.
“Semplice: ama. Ama come ti amo io”. “Gesù, ma tu mi ami sino a dare la vita per me”. “Tu fai altrettanto con i tuoi fratelli, amali come li amo io!”.
“Gesù, è dura!”. “E io cosa ci sto a fare con te?”
E mi sono accorto, con il passare del tempo, che sforzandomi di amare così il mio prossimo, cioè tutti quelli che incontro nell’arco della giornata attimo per attimo, a cominciare da quelli più vicini a me, cioè la mia famiglia, più li amo più mi avvicino a Te. E più amando Te, più amo il mio prossimo.
Ecco la strada per diventare santi oggi. Il fratello:l’ uomo!
Poi ho imparato una cosa molto facile per realizzare questa meravigliosa scoperta.
Bisogna farlo insieme. In unità con altre anime vicine che si nutrono dello stesso corpo di Gesù insieme a te!
Che bello la domenica ritrovarsi insieme riuniti alla mensa Eucaristica con il nostro parroco e celebrare il mistero della risurrezione.!
Sì, anche della nostra risurrezione. La nostra Pasqua!
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QUEGLI OCCHI SPALANCATI NEL NULLA
di Marta
Cosa dicono, ragazzi miei, quegli occhi spalancati su questo mondo? La vostra età, la più bella, la più spensierata, è quella che vi proietta nel domani. Si apre per voi una strada, dopo tanti anni di studio, per un futuro ricco di aspettative: di lavoro, amicizie, di contatti umani importanti, secondo le vostre attitudini. Ma, ahimé, questa nostra epoca vi porta al pessimismo più nero. Le cronache odierne ci fanno inorridire: fallimenti di fabbriche, chiusura di negozi e aziende artigianali; quelle aziende dove in tanti hanno imparato un mestiere. E tutto questo fa sì che manchino i soldi per pagare le bollette, i mutui… Poi ci pensa Equitalia: se non paghi ti espropriano la casa; quella casa che per farla hai sudato sangue! Ma c’è qualcuno che ci tutela ? La prima casa è un bene di tante famiglie fatta con tanti sacrifici!
Ma quali governanti abbiamo? Dov’è finito il grande esempio di tanti governanti di un tempo? Come ad esempio La Pira, terziario francescano; Pertini, gran partigiano; De Gasperi, grande statista… Uomini da prendere come esempio: integerrimi, chiari, limpidi. Certo, questi uomini erano figli di una scuola dove si insegnava principalmente l’onestà e il rispetto degli altri. Anche quelli erano tempi di grande povertà, ma aperti a tante nuove iniziative; non come oggi che vi tarpano le ali prima ancora che impariate a volare!
Ragazzi miei, quelli di voi che oggi hanno Gesù come amico e confidente, sono avvantaggiati nei confronti degli altri che sono nella solitudine, nello scoraggiamento, se non nella depressione. Siate decisi, comunque, ad andare avanti speranzosi e gioiosi per poter apprezzare le tante piccole e belle cose che vi circondano ed abbiate tanta fiducia in voi stessi. Chi di voi riuscirà a inserirsi con successo nella società, sia di aiuto agli altri con esempi di vera fratellanza, come ci ha insegnato Gesù.
Certo, io ho ben poco da offrirvi, oltre a queste semplici parole e alle mie tante rughe; parole e rughe che vi parlano di un passato irto di difficoltà: guerra, fame, freddo; si moriva per un’influenza (la Spagnola), dal tifo, tubercolosi, ecc. Ma anche con tutto questo non finirò certo di spronarvi a lottare per il vostro diritto alla vita e al lavoro. Siete giovani e avete un grande avvenire davanti, basta volerlo, impegnarsi seriamente e confidare anche nell’aiuto del Signore del quale, presto, festeggeremo la gloriosa Resurrezione.
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Cose e cose
di Paola G. Vitale
Diciamolo pure: la maggior parte degli oggetti con cui abbiamo a che fare quotidianamente richiede da parte nostra un vero esercizio di autocontrollo e di pazienza. Se l’oggetto è piccolo, come un tappo di bottiglia, dovrai prestare molta attenzione per raccoglierlo, perché inevitabilmente si nasconderà in qualche angoletto, dietro il mobile o dietro le zampe del tavolo. Più di tutto è incredibile la lotta che un filo fa con la cruna dell’ago in cui vorresti infilarlo: non basta un’Ave Maria! E le pastigliette nella borsa? Dalla loro scatola ne esce una dopo qualche tentativo, ma poi: sorpresa! Vai a sera a prenderne una per rinfrescarti l’alito e prendi in mano la scatoletta: vuota! Allora cerchi, svuoti la borsa e le pastigliette sono tutte lì, sul fondo e tu sgrani gli occhi dicendoti: “Ma come avranno fatto?”.
E non pensare di appoggiare gli occhiali da vista mentre ti muovi frettolosamente da una stanza all’altra per qualcosa che ti è venuto in mente! Dopo dovrai tornare sui tuoi passi, ponderando pazientemente tutti i tuoi movimenti, e allora, forse, li ritroverai. Se vuoi prenderti una bevanda calda come una tisana o un buon the, allora prepara con calma la tazza, la bustina dell’infuso, ma non guardare il bollitore, altrimenti lui farà di tutto per darti l’impressione di non voler entrare in ebollizione. Questa cosa però l’avevo già letta da ragazzina nel libro “Tre uomini in barca”, ma allora, a quei tempi, mi facevo un sacco di risate su quelle spiritose osservazioni. Ora, al massimo, fisso il bollitore con aria di sfida, ma non oso allontanarmi da esso, perché, sicuramente, tornerei sul luogo in gran ritardo sullo svolgimento dei fatti. Non vi sto a ricordare i tentativi per staccare dal fondo della pentola l’ultimo filo di pasta: l’unico rimasto tenacemente avvinto al metallo!
Sempre garbo, sempre pazienza. Così le cose ci insegnano a trattare i nostri pari, le persone tutte, specialmente quelle “un po’ spinose”. Garbo, pazienza… Mi viene in mente la canzoncina di Mary Poppins, quella che diceva: “Con un poco di zucchero, la pillola va giù, la pillola va giù…”. Il finale lo puoi constatare ogni volta: “e tutto brillerà di più!”.
Ci piace la pace, la buona vitale serenità…e allora dobbiamo guadagnarcela!
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La bambola rosa
di Marisa Lisia
Potevo avere al massimo sei - sette anni, quando un mio zio, recandosi all’estero, inviò a me e a mia sorella due magnifiche bambole da salotto che noi naturalmente dovevamo solo guardare da molto lontano (dovevano essergli costate una vera fortuna!). Mai viste bambole simili in vita mia e di anni ne ho tantissimi.
Erano fra di loro identiche, differivano solo dal colore dei vestitini e de cappellini: una rosa destinata a mia sorella ed una celeste destinata a me, cioè alla sottoscritta. Ma il mio interesse era soprattutto per la bambola rosa, forse la più vistosa, penso, della mia, così che la povera bambola ne fu la vittima innocente ed ebbe le mie inopportune attenzioni per niente edificanti.
Assicurandomi di non essere vista le davo tante scoppole in testa per renderla più brutta della mia: era odio ed amore, oppure gelosia. Boh! Però me ne resi conto ben presto, così la bambola rosa fu lasciata in pace a vivere i suoi giorni di gloria.
Questo episodio della mia fanciullezza non fu infruttuoso: non soffrii mai più di quel difetto, anche quando mi accorsi, nel crescere, di essere il brutto anatroccolo della mia onorabile famiglia. Ma il brutto anatroccolo sapeva tenere allegra tutta la combriccola, compresa la mia mitica super sorella che rideva divertita alle mie trovate (anche da adulte ci siamo tolte la voglia di ridere). Così io mi sentivo importante ed ero felice per loro tutti.
La bimbetta che ero vinse la sua prima importantissima battaglia per un mondo migliore.
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