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Etica e politica. Cristianesimo e politica.
di Andrea Valentini
Inizio citando l’Enciclica“Octogesima adveniens”di papa Paolo VI. “La politica è una maniera esigente -ma non è la sola- di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri.
Ciascuno esamini se stesso per vedere quello che finora ha fatto e quello che deve fare. Non basta ricordare i principi, affermare le intenzioni, sottolineare le stridenti ingiustizie e proferire denunce profetiche: queste parole non avranno alcun peso reale se non sono accompagnate in ciascuno da una presa di coscienza più viva della propria responsabilità e da un'azione effettiva. È troppo facile scaricare sugli altri la responsabilità dell'ingiustizia, se non si è convinti al tempo stesso che ciascuno vi partecipa e che è necessaria innanzitutto la conversione personale. Questa umiltà di fondo toglierà all'azione ogni durezza e ogni settarismo ed eviterà altresì lo scoraggiamento di fronte a un compito che appare sul misurato”.
La politica entra dappertutto: la parola è sulla bocca di molti, ma con significati contrastanti. Sulla bocca del benpensante, del “degno di nota”, l'affermazione ha una connotazione amara e polemica: l'invadenza della politica è giudicata quasi come un'epidemia, come un contagio sinistro che insidia la pacifica e onesta convivenza civile. Sulla bocca del giovane impegnato e insoddisfatto l'affermazione vuole essere al contrario una dichiarazione di principio: finché non sia chiarita la dimensione politica d'ogni questione, non se n'è neppure raggiunta la consistenza più vera e decisiva. Comune agli uni e agli altri è il fatto di attribuire troppo spesso al termine “politica” un'accezione del tutto generica e confusa, che pregiudica la possibilità di individuare punti di consenso e punti di conflitto sufficientemente precisi. Confusa è infatti la nozione preferita da chi intende la politica come quella cosa sporca di cui si occupano i politicanti per molti motivi, ma comunque sempre per desiderio di potere.
Confusa è anche la nozione preferita da chi, invece, considera politica ogni possibile interessamento per i problemi “sociali”.
Per interrogare la fede cristiana sul tema della politica, per decidere se il Vangelo ha qualche cosa da dire in proposito ed eventualmente che cosa, per decidere in che senso si dia un rapporto tra fede e politica e in che senso debba invece affermarsi una rigorosa distinzione, il primo passo da fare è quello di raggiungere qualche chiarezza a proposito di questo abusatissimo termine. In questo compito preliminare la fede non ci può immediatamente aiutare: occorre piuttosto attenzione ai fatti più caratteristici della moderna vicenda sociale, e quindi una riflessione che cerchi di scoprirne le reciproche connessioni e i problemi emergenti.
L'affermazione che tutto è politica è certo molto generica, e nella sua genericità è indubbiamente eccessiva. Tuttavia riflette un fatto obiettivo, che sta sotto gli occhi di tutti. Nella vita dell'uomo contemporaneo è venuto a modificarsi il rapporto tra momento privato e momento pubblico: il momento pubblico ha acquisito una predominanza sul momento privato. All'origine di questo modificato rapporto sta soprattutto il passaggio del lavoro dalla sfera del privato alla sfera del pubblico.
Accade, per esempio, che gli aspetti economici, giuridici, sanitari del lavoro, non immediatamente connessi con gli obiettivi di produzione, interessino gli operai prima e più degli aspetti specifici del procedimento produttivo in cui essi sono inseriti; i primi aspetti sono quelli comunemente investiti dall'azione sindacale. Il contratto di lavoro diventa il risultato di una contrattazione collettiva, diventa ordinamento sociale e quindi più direttamente coinvolta nella politica. Anche nella sua vita privata - che è come dire nel suo tempo libero, nella sua qualità di “consumatore”- l'uomo di oggi dipende in maniera massiccia dalla società nel suo insieme: dipende addirittura dai bisogni e dalle mete di vita che i mezzi di informazione pubblica occultamente lo persuadono a ricercare. Sicché l'impegno per il miglioramento della propria condizione umana complessiva viene a configurarsi, anche sotto questo profilo, come impegno per la riforma della società, impegno politico appunto. Anche una porzione considerevole delle competenze educative dei genitori nei confronti dei figli spostata alle istituzioni scolastiche è un altro fatto che contribuisce ulteriormente a restringere lo spazio del mondo privato, ossia di quei rapporti nei quali le caratteristiche e le decisioni personali di ciascuno hanno più rilevanza rispetto ai ruoli e alle istituzioni pubbliche. Alla luce di queste problematiche si potrebbe concludere inizialmente che politica è ogni attività umana intesa a promuovere il bene comune. In senso primo e più immediato, è politica il complesso di quelle attività nelle quali si concreta l'iniziativa dell'istituzione politica: e quindi l'attività legislativa del parlamento, l'azione amministrativa del governo, l'opera giurisdizionale della magistratura, e le corrispondenti attività degli organi politici minori.
Poiché però l'istituzione politica nasce dalla società civile e deve sempre interpretarne e realizzarne la volontà, attività politica in senso più ampio è quello di ogni cittadino che nelle diverse forme concorra a determinare gli orientamenti e le decisioni degli organi politici.
Ho detto che politica è ogni attività intesa a promuovere il bene comune ed in effetti gli uomini si legano reciprocamente in vista di scopi determinati: per lavorare, studiare, divertirsi, per formare una famiglia, per costruirsi una casa, e così via. Si associano o si organizzano per promuovere servizi di comune utilità, ad esempio nel campo della scuola, delle attività sportive e culturali, dei problemi collegati al territorio. Ma dal complesso di queste loro decisioni scaturiscono obiettivi legami di interdipendenza che vanno anche al di là di quanto da loro previsto e voluto. Si è ormai affermato nella nostra cultura il termine di “società civile” per indicare questa complessa rete di legami tra gli uomini che è la risultante delle decisioni private: non solo delle decisioni dei singoli, ma anche delle decisioni dei gruppi che si costituiscono per gli scopi più diversi.
Appare subito evidente l'opportunità, e anzi la necessità, che l'intricata rete di legami sociali che costituiscono nel loro complesso la società civile non sia abbandonata all'automatismo delle decisioni e delle relazioni di singoli e di gruppo, ma sia consapevolmente governata in vista del bene comune. In vista di questo obiettivo si costituisce la società politica. Ricorro a un testo del Concilio Vaticano II per una descrizione della società politica e dei suoi rapporti con la società civile (il testo usa il termine comunità, anziché quello più comune di società).
“Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune. Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica. La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all'esistenza. Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione” (Gaudium et spes, 74).
Le ultime affermazioni sottolineano un punto caratteristico dell'insegnamento sociale cristiano, che lo distingue da molte teorie politiche diffuse negli ultimi cent'anni: fine della società politica non è quello di sostituirsi alla società civile e alla molteplicità delle sue espressioni, ma è più semplicemente quello di promuovere le condizioni che consentano il massimo dispiegamento della società civile medesima.
Tali condizioni - e dunque l'idea di bene comune - costituiscono una realtà variabile in rapporto ai tempi e ai luoghi, alle storie concrete d'ogni singola società, ma includeranno sempre e comunque alcuni principi formali generalissimi e irrinunciabili, come la garanzia della libertà associativa, in cui si esprime l'iniziativa dei singoli. La società politica esprime se stessa e persegue il bene comune mediante la creazione della istituzione politica, ossia l'istituzione alla quale è riconosciuto il compito di esercitare il potere legittimo. Questo è potere nel senso che la sua volontà si esercita coercitivamente nei confronti della volontà individuale e di gruppo, ma è legittimo nel senso che si esercita nei limiti e per gli scopi definiti dalla legge in senso giuridico: in questa legge trova espressione il bene comune della società in questione.
Un'opinione diffusa qualifica i cattolici come “pessimisti” di fronte alla realtà politica. Ogni formula, si sa, non può che tradire la verità, e in particolare la verità della fede, complessa e intraducibile in slogan. Il cristiano è insieme pessimista e ottimista. “Pessimista” - se pure ha senso usare codesto aggettivo - in quanto sa che alla sola istituzione politica è preclusa la prospettiva di realizzare definitivamente quella nostalgia di pace, di giustizia, di fraternità, di libertà che inquieta da sempre ogni cuore umano. Non è mediante un ordinamento più equo, ma pur sempre sostenuto dal potere e dalla minaccia della repressione che può essere seccata quella sorgente inesauribile di ingiustizia, di invidia, di falsità, di sopraffazione, che è l'egoismo e l'incredulità del cuore umano. Il vizio originale che intorbida la convivenza umana non è il capitalismo, né il fascismo, né l'imperialismo rosso o di qualsiasi altro colore: tutte queste cose sono soltanto espressioni contingenti di un male più radicale. D'altra parte, è soltanto contro queste espressioni contingenti che si può combattere con le armi del potere politico.
Ma questo “pessimismo” del cristiano – che in realtà meglio sarebbe chiamare “realismo” – è anche, paradossalmente, il sostegno del suo impegno politico coraggioso e mai deluso, il sostegno in tal senso del suo “ottimismo”. Non c'è fallimento storico che possa spegnere la speranza alla quale si alimenta l'impegno politico del credente. Tale impegno è infatti per lui un'espressione dell'obbedienza al comandamento di Dio: amerai il prossimo tuo come te stesso. E chi è il mio prossimo? Ogni uomo è il mio prossimo, anche quello che la stratificazione sociale, la differenza di cultura, la divisione delle nazioni, farebbe apparire lontano e non prossimo. E di questo “lontano” posso volere il bene soltanto mutando quel complesso di strutture sociali che ci separa e insieme ci unisce.
La politica è per il cristiano una maniera, oggi particolarmente urgente, di vivere il suo impegno di carità. Proprio per questo è un impegno che non si lascia scoraggiare da alcun fallimento, da alcuna difficoltà. Non è mai perduto, anzi è guadagnato, ciò che dalla mia vita è speso per il bene degli altri.
“La nostra epoca che stiamo vivendo non è forse densa di «errore, cecità, menzogna?». E noi che cosa facciamo? Al posto degli urli della piazza ed anche della scuola «alta», usiamo il sottovoce, al posto dell’arroganza un volto sereno. Ma lasciamo stare il «vogliamoci bene»: parliamo, discutiamo, confutiamo il falso, interroghiamo; usiamo insomma un discorso razionale! Eppoi, cominciamo noi a spogliarci del male, poniamoci in penitenza; ciascuno se la inventi come può, entri in Chiesa e stia lì per un po’, mangi poco e faccia carità al povero.
In casa, papà e mamma con i bambini, gli anziani e i giovani studenti, professori, teologi e politici ogni sera in ginocchio recitando il Padrenostro.
Fa bene anche alla salute, dice il medico che ci crede!”
(Monsignor G. B. Chiaradia)
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INDELEBILI TRACCE
di M. Giovanna Perroni Lorenzini
Quel succo amaro
Cosa credo, a pensarci, che ci sia
ove rotta si fa la mia poesia?
C’è la corsa del tempo che s’invola,
c’è la nebbia del dubbio che ti sperde,
e il fumo dei ricordi dolorosi,
c’è la vampa di chi odia e il laccio vile
in cui ti fa cadere un tetro inganno,
e poi, pauroso, il fuoco di follia.
E altro c’è, troppo c’è in quel succo amaro
Indelebili tracce ha lasciato in me, ancora bambina, un altro incontro, oltre quello narrato in Una tomba senza nome: l’incontro con la follia, con “il fuoco della follia”, come lo chiamo nei miei versi.
Il fatto avvenne quando avevo forse otto o nove anni proprio su una di quelle corriere di Calevo, di cui parlo con tanta nostalgia ne La pace delle bambole. Quelle corriere che, come ho detto in quelle pagine, durante le mie scuole medie, mi diedero sempre un forte senso di protezione, la protezione del paese, almeno fin tanto che mi depositavano, un po’ spaesata, nella città di La Spezia, che era sede di quelle scuole e che allora, così immensa, mi intimoriva. Le stesse corriere, terminate le lezioni, mi accoglievano quasi in un abbraccio, per trasportarmi di nuovo a casa. E già un poco a casa, ogni giorno, mi sentivo, non appena vi salivo per tornare. Ma questa fu l’opinione positiva che me ne feci, quando fui un po’ più grandicella. Quella volta, invece, assistettero, inconsapevoli o forse indifferenti, a quel mio pauroso incontro. Ed io, raggelata, non seppi nemmeno concepire l’idea di chiamarle in aiuto.
Erano sempre le corriere di Calevo, che, nel periodo estivo, portavano al mare gli Arcolani e i Pitellesi. Tale servizio, organizzato solo per qualche anno dopo la fine della guerra (per i primi tempi si andava al mare a piedi), era regolare. Ma era una regolarità che lasciava molto a desiderare, sia perché era impossibile prevedere ogni giorno il numero di bagnanti, sia perché i mezzi che la Società poteva mettere a disposizione erano pochi e insufficienti; erano macchine predisposte per una trentina di persone al massimo, e in quelle occasioni ne dovevano ospitare più del triplo. Quindi si viaggiava ammucchiati e per così dire ammonticchiati in un groviglio di ombrelloni, borse, secchielli, palloni,braccia e gambe; e in un viaggio che, lentissimo, dato il carico del mezzo e le numerose fermate, durava circa un’ora per chi come noi (io, a quel tempo, andavo al mare insieme al mio amico Gigino e ci accompagnava Bianca, che era la sua governante) scendeva alla spiaggia pubblica, situata tra San Terenzo e Lerici, chiamata La Venere Azzurra. Poi l’autobus continuava la sua corsa verso altri lidi, di cui l’ultimo era Fiascherino.
Anche quel giorno la corriera era pienissima; e, nel salire, mi trovai divisa dai miei due compagni, che avevano cercato una qualche sistemazione entrando dalla porta posteriore. Io invece ero salita davanti. Ed ero stata fortunata, perché avevo visto, e subito occupato, un posticino libero sul cofano del motore ricoperto in legno, cofano che di solito ospitava solo bambini, perché, tondeggiante e scivoloso com’era, era adatto solo a chi possedeva molta agilità di movimenti. E poi i bambini lo preferivano perché, da lì, attraverso l’ampio vetro anteriore, potevano meglio osservare il panorama e anche perché non sarebbero stati obbligati a cedere quella “scomodità” ai grandi, come accadeva con i seggiolini regolari. Ai due lati del cofano motore c’erano il posto dell’autista, a destra, e quello che avrebbe dovuto essere del bigliettaio, a sinistra. Ma, dato che i bigliettai non avevano quasi mai tempo per sedersi, io spesso vi vedevo ammessi dei comuni passeggeri. Anche quella volta sul sedile del bigliettaio c’era un uomo che non conoscevo, cui lì per lì non feci caso. Il piccolo spazio che prendevo sul cofano era piuttosto avanti sulla sinistra, quasi sotto il grande vetro e quindi vicino al posto occupato da quello sconosciuto. Subito dietro di me c’erano altre persone tra cui una donna sistemata sulla mia sinistra. Dietro ancora, il groviglio di corpi di cui ho detto, quel giorno ancora più fitto del solito. E ad ogni successiva fermata continuava a salire gente. Ci si pigiava di più e si ripartiva. Per un poco non accadde nulla. Poi all’improvviso mi accorsi che qualcuno mi toccava. Lì per lì pensai a toccamenti casuali; ma quasi subito dovetti ammettere che erano fatti con determinazione e insistenza… E a toccarmi era l’uomo che stava seduto al posto del bigliettaio. Mi spostai allora indietro per quanto potevo. Ma lui mi seguiva nei miei movimenti e non smetteva le sue manovre. Allora lo guardai bene. E quello che di lui mi fece più impressione furono gli occhi con cui sembrava volermi ipnotizzare: occhi fissi, senza sguardo, ardenti di un fuoco strano, terribili. Io, subito terrorizzata ma incapace di reagire, mi spostai più indietro che potevo e cercai di tenere ben strette le gambe; cosa difficile, essendo accovacciata sul fianco destro su una superficie a schiena d’asino. Oltre a quella reazione passiva, non sapevo che fare. E fissavo come stregata quegli orribili occhi. Non ero ancora in grado di capire cosa volesse quell’uomo da me. Riuscivo solo a intuire che quello che faceva e voleva era qualcosa di spaventoso. Ad un certo punto, dato che per allontanarmi da lui premevo contro la donna che mi stava dietro, ella si risentì: “Ma quanto spazio occupi, bimba mia!”. Allora le chiesi di scambiare il suo posto con il mio; e lei assentì, brontolando, senza capire. E una volta completata la difficile operazione dello scambio su quel cofano scivoloso, mi misi tranquilla, credendomi in salvo. Ma, cosa per me anche adesso incredibile, l’uomo non si sgomentò e continuò nelle sue manovre pur con la donna tra di noi. Io, ormai disperata, guardavo nella calca, sperando che qualcuno si accorgesse della cosa, per me, allora, inspiegabile, che però mi terrorizzava. Ma nessuno si avvedeva di nulla. E per di più, per qualche movimento che era avvenuto tra i passeggeri, dovuto probabilmente al fatto che stavamo discendendo l’ultimo colle prospiciente il mare, mi trovavo ora spinta inesorabilmente in avanti verso di lui, senza più possibilità di indietreggiare. E, ormai, mentre lui si dimostrava sempre più aggressivo, dominata da quegli occhi pieni del fuoco ardente della follia, a me non restava che sperare di arrivare presto a destinazione.
E finalmente, dopo quella che mi parve un’eternità, arrivammo alla Venere Azzurra, la spiaggia cui eravamo diretti. La corriera si fermò e tutta la gente vicina alle porte scese per far largo a quelli che erano giunti alla loro meta. Allora anch’io mi alzai di colpo, come riscuotendomi da un incubo. Di quel momento ricordo il lampo di delusione negli occhi dell’uomo e io scesi di corsa. E la corriera di Calevo ripartì, portando con sé quegli occhi e quelle mani. Appena a terra ricordo che Bianca mi fece delle domande, ma io non riuscivo a rispondere, tanto ero scossa e tanto faticavo e rientrare nella normalità. Lei allora, accortasi del mio turbamento, mi chiese, con insistenza, cosa avessi. Ma io non potei parlare se non molto dopo, quando fummo in spiaggia, e con parole rotte. Non so cosa le raccontai. Ma la donna capì egualmente che razza di persona avevo trovato; infatti mi disse: “Perché non hai gridato, perché non mi hai chiamata? Avrei fatto un pandemonio, gli avrei cavato gli occhi, gliene avrei fatta passare per sempre la voglia!”. Già, perché non avevo chiamato? Perché non avevo urlato? Io so solo che non avevo potuto farlo.
Ed è da quel momento che so come si sentono quei bambini che divengono preda di maniaci, di sadici. Ed ora, ogni volta che sento parlare di qualche fanciullo rapito o di qualche pedofilo arrestato, provo nuovamente quella terribile sensazione di impotente terrore e un forte senso di smarrimento di fronte ad ogni umana perversione.
Per quanto mi riguarda, ero stata in un certo senso fortunata a trovare un folle che, forse, era un mio compaesano, in un autobus pieno di gente. Me ne resi ben conto quando fui in grado di capire. Comunque, troppo brusco era stato il salto nella consapevolezza di ciò che può riservarci la follia umana. Ché, pur così bambina, ero stata costretta a rendermi improvvisamente conto che i mostri esistono e ci vivono accanto; e che da essi, per chi è debole, non esiste difesa.
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L’ANNO DELLA FEDE, DONO DI DIO
di Angelo Brizzi
Egli soleva dire a chi gli chiedeva grazia: “Va’, la tua Fede ti ha salvato”. La Fede non la troviamo in nessun mercato sulla terra; non si compra e non si baratta. La Fede è di Dio che ne fa dono esplicito agli uomini; quindi, come tale, va conservata e onorata, facendola fruttare, in attesa del momento in cui Dio ce ne chiederà conto. Dalla Fede ci proviene la forza che ci fa innamorare delle piccole e grandi cause: per la perfezione individuale, per il benessere delle nostre famiglie, per il decoro delle nostre professioni, per la salvezza della nostra anima, per la carità verso i più bisognosi, per tutto ciò che è gloria a Dio. La Fede è coraggio a non perdere tempo nel cercare giustificazioni: è essa l’unica giustificazione del nostro agire con sapienza e consapevolezza. La Fede non ci trasforma in tempesta, ma in luce diffusa per tutti quelli che ci guardano. La Fede ci dice di essere uomini partecipi della vita di Gesù; la virtù che ci viene dall’unione spirituale col divino Maestro ci riempie d’orgoglio per il mantenimento del comportamento cristiano nella famiglia e nella società in cui viviamo.
I Greci si vantavano di aver portato a Roma la scienza; San Pietro certamente poteva dire: “Io, nel nome di Gesù Cristo, col suo santo aiuto, vi ho portato la Fede”. E’ con questa Fede e col martirio che i cristiani conquistarono la loro libertà. Libertà di Fede che oggi viene messa in discussione da tali “maestri” della società delle scienze, del consumismo, del laicismo radicato… L’imperatore Costantino emanò un editto nel quale riconosceva ai cristiani la libertà di Fede e di culto. Quel messaggio di Fede e di libertà non si è mai arrestato nei secoli: oggi quel dono che Dio ha donato agli uomini è deriso, bistrattato, tacciato di ipocrisia.
“Non si turbi il vostro cuore: voi che credete in Dio, credete anche in me; la Fede che avrete in me e nel Padre mio è più potente di tutti gli avvenimenti che possono accadere; nessuna difficoltà può prevalere contro di Lei” (Gv. 14-1). Crediamo con passione e serenità nel nostro Salvatore, Gesù e “la ricompensa della nostra Fede sarà vedere e godere quello che avremo creduto”, ci dice sant’Agostino. Gesù, nel Vangelo, ci promette l’assistenza dello Spirito Santo: “Se mi amate e osservate i miei comandamenti, io pregherò il Padre che vi darà un altro Consolatore perché resti con voi sempre” (Gv. 14,15-16). Gesù queste parole le rivolge ai suoi apostoli e discepoli ma anche ai loro successori e a tutti noi. Ci fa conoscere l’opera che il santo Consolatore compirà, infondendo su tutti conoscenza e Fede. Crediamo con Fede piena, con generosa costanza e ferma volontà questo mistero. Quanto supera il nostro intelletto, tanto più dobbiamo credere, senza obiezioni né difficoltà, ma anzi deve essere motivo di grande gioia, poiché ci assicura un paradiso più bello di quanto possiamo immaginarlo. “Tanto è il bene che aspetto, che ogni pena mi è diletto”, diceva San Francesco d’Assisi.
La certezza che non le leggi o l’industriosità con il materialismo siano capaci di dare la pace alle anime ed al mondo, ma che Lui solo, Lui, il Salvatore, ha la vera pace universale: è Fede. Convertiamoci e diffondiamo il Vangelo per Fede in Cristo, con Fede in Gesù Cristo!
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Lettera (e-mail) a “Il Sentiero”
di Carlo Lorenzini
Carissimi della Redazione,
vedo che ormai è da diversi numeri non compaio sul ‘Sentiero’. Forse il motivo è nel fatto che avete esaurito tutto ciò che vi ho inviato. E, a onor del vero, è da un po’ che non vi mando miei scritti. Ma confidavo nel mio ‘Com’eravamo’; il quale è una miniera di cose interessanti e di colore locale; è un libro tutto nicolese e ortonovese.
Carissimi, ci tengo a comparire sul giornalino. Per me, quando un mio articolo viene pubblicato da voi, è un po’ come ritornarmene nei miei luoghi fra la mia gente. E’ un po’ come essere lì a parlare con i miei compaesani e a dialogare con voi, amici della Redazione. Con Marta, con Doretto, con Walter, con Romano e gli altri che non conosco. Infatti sarà difficile che io possa più venire di persona. Il mio paese, così bello, così pieno di luce e di colori; lo potrò vedere solo con l’aiuto della memoria, oppure ritrovandolo in tutta la sua primavera nei miei scritti. Dal momento che il mio Parkinson dà del filo da torcere, e non poco, alle mie gambe. Per cui molta parte della giornata la passo in casa, in compagnia di me stesso, col mio presente, col mio passato, col mio futuro. Un passato che non c’è più, un presente che non c’è, e un futuro che, chissà? Ma, pazienza… Sarà quel che Dio vorrà.
Dicevo ‘Com’eravamo’. Lo prendo in mano, apro a caso e incontro pagine che non sfigurerebbero nel ‘Sentiero’. Esempio: Un medico d’altri tempi (pag 170); Poesia e libertà, (pag.149); Andando e tornando da scuola (pag.22); Le mie quaresime più importanti (pag.44); I carri delle vendemmie (pag.77); I tordèi, (pag.97); Il gioco con il ‘picchio’ (pag.133); Sempre per gioco (pag.215)... Ti mando il file che contiene il libro. Così tu puoi servirtene con facilità e liberamente.
Oppure… Mi sono divertito tempo fa a riunire in un file pagine di ritratti femminili sparsi qua e là nelle mie opere. Ed è venuta fuori una galleria di figure che potrebbe essere un dovuto omaggio alle donne. Te lo mando. Potresti servirtene, in occasione del prossimo marzo, che è la loro festa. E anche in altre occasioni. Questi ritratti contengono la loro civetteria, la loro seduzione; ma anche il loro sguardo, il loro sorriso, la loro bellezza; ma anche la loro abnegazione, il loro eroismo; ed anche il loro pensiero e la loro saggezza…
Per ora la mia preoccupazione principale è la Bibbia. Il Vecchio Testamento. La sto leggendo con grande interesse. E’ un libro forte, con un concetto di Dio grandioso ed eroico. Spesso terribile. Un Dio severo e vendicativo, quale lo possono concepire solo i popoli primitivi, e che si affacciano primamente alle soglie della Storia. Un dio adatto per i popoli pieni di orgoglio e di dignità; che, nella loro sicurezza morale, hanno saputo prospettare per sé, nel caso di errori e prevaricazioni, quei castighi terribili e inesorabili, quali incontriamo da parte del Signore nel corso del Vecchio Testamento. In questa mia lettura mi sono accorto che in realtà la Bibbia sono due libri, in un certo senso indipendenti l’uno dall’altro: il Vecchio Testamento (VT) e il Nuovo Testamento (NT): ognuno con un concetto tutto particolare della divinità. Il dio del VT è il dio Signore, un dio che dà ordini e vuole essere ubbidito, un dio punitore; un dio creatore a propria immagine e somiglianza, un dio di cui l’uomo è servo (“vai dal mio servo Davide e digli: Così ha parlato il Signore…”), un dio Signore delle cose tutte, e Signore del bene e del male, i cui disegni sono imperscrutabili, un dio eterno e incommensurabile, un dio che è tutto, rispetto al quale l’uomo non è nulla. Il dio del NT è un dio padre è un dio amore, rispetto a cui l’uomo non è servo, ma è creatura, da amare, da proteggere e da salvare; è un dio che prende su di sé il peccato dell’uomo, lui stesso si fa uomo, scende sulla terra in mezzo agli uomini e per gli uomini, per la loro salvezza, muore sulla croce. La religione del NT è una religione maturata alla scuola dell’umanesimo greco-romano. Nel VT al centro abbiamo la Divinità celebratrice di se stessa. Nel NT al centro abbiamo la Divinità salvatrice dell’uomo. Tutti, credo, si ricordano di Giosuè che si rivolge al sole e, in nome di Dio, gli ordina di fermarsi. Un episodio che ha dato non poche preoccupazioni al nostro Galileo Galilei. Ebbene nella religione greco romana abbiamo un fatto analogo: abbiamo il dio Giove che ordina alla notte di fermarsi. E sia il Sole che la Notte ubbidiscono ai divini comandi. Due atteggiamenti analoghi che però nascono da due motivazioni diverse. Giosuè dice al sole di fermarsi, per poter ancora uccidere i nemici vinti. Vuole che il Sole illumini la sua strage. Giove dice alla notte di fermarsi, per poter restare ancora presso l’ignara Alcumena e goderne le grazie. Ignara, perché la donna non sa di tenere fra le braccia il dio Giove, che per l’occasione ha preso le sembianze del marito Anfitrione, impegnato lontano in una spedizione militare. Due fatti come due metafore. Qui siamo di fronte a due diverse religioni e a due diverse civiltà. Il NT è il libro di una di queste due civiltà, della civiltà occidentale, cioè greco-romana.
Nel file, ‘La Bibbia. Due libri. Un libro’, vi mando alcune riflessioni su questo difficile argomento. Fatene quello che volete: riassumetelo, prendetene una parte, non fatene nulla. Come desiderate. Per la poesia di Nicola, allego qui il racconto ‘Un altro più soave profumo’. Data la sua lunghezza, ne ho levate alcune parti. Credo, senza danneggiarlo.
Buona lettura. Noi, io e Maria Giovanna, auguriamo a voi tutti gli amici un felice 2013, con un abbraccio fraterno.
Montepulciano, 08.01.2013
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Pellegrinaggio del 1° sabato
di Paola G. Vitale
Oggi siamo al Santuario della Madonna di Soviore (patrona della nostra diocesi), il più antico della Liguria. Già in diverse occasioni ci siamo ritrovati qui, in preghiera, ma questa volta, ancora di più, ciascuno di noi ha da rendere forte e fermo il proprio impegno.
Il nostro vescovo, Luigi Ernesto, ci dirà cose antiche e cose nuove; pregherà con noi e per noi. Possa ciascuno di noi serbare ogni cosa nel cuore e ogni cosa meditare sovente, nel silenzio, affinché nasca in noi la vita nuova, proprio quella di Gesù, che tanto stenta ad apparire nel frastuono del mondo.
Tanto è il bene che non fa rumore; a noi spetta non perderlo di vista e, per quanto ci è possibile, ampliarlo senza timore, proprio come il seme nel silenzio del terreno si sviluppa ed esce alla luce. La mentuccia, il filo d’erba, la margheritina che forano l’asfalto con una forza che ci sorprende ci siano d’esempio e di conforto sia a livello personale, sociale, familiare e nella parrocchia.
Gesù ha detto in risposta agli apostoli: “Ciò che è impossibile all’uomo, è possibile a Dio”. Preghiamo, dunque, perché il soffio divino della vita scenda copioso su di noi.
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Diario di un "altro" parrocchiano
di Walter
Sabato 5 gennaio 2013
Questo 1° sabato del mese e dell’anno ci ritroviamo al Santuario di Nostra Signora di Soviore (Monterosso), patrona della nostra diocesi, il più antico Santuario della Liguria. Da qui sono iniziati, diversi anni fa, i pellegrinaggi del 1° sabato del mese, voluti fortemente dal vescovo Francesco Moraglia, per chiedere al Signore nuove vocazioni sacerdotali e per la santificazione dei nostri sacerdoti. Da qui, oggi, inizia a presiederli il nuovo vescovo Luigi Ernesto Palletti. Un sentito ringraziamento, da parte di noi tutti che partecipiamo a questi incontri, al vescovo emerito Bassano, che nel periodo vacante si è addossato questo compito e lo ha fatto, nonostante l’età e i vari problemi fisici, in modo egregio. Anche oggi il nostro pullman, che raccoglie i partecipanti delle parrocchie di Ortonovo e di quella di Fiumaretta, è quasi al completo. Ormai questo è un gruppo che si è compattato: un gruppetto siamo sempre i soliti, altri si alternano di volta in volta. Per me (e penso anche per altri) è questa un’occasione importante per il mio percorso spirituale. C’è il consueto rito della Confessione (spesso sotto una pianta o in angolo di una piazza se non ci sono confessionali sufficienti), l’ascolto della parola del nostro Pastore, l’incontro con le altre comunità della diocesi e, perché no, anche un motivo culturale: ho potuto ammirare in queste occasioni incantevoli luoghi della nostra provincia che, forse, non mai avrei mai visto. Inoltre al temine della celebrazione c’è sempre un momento di fraternità offerto dai padroni di casa. E sul pullman per il rientro a casa, quando passo a ritirare la quota stabilita volta per volta, vedo tante facce liete anche se, a volte, abbiamo preso acqua e freddo. Scusatemi se insisto nel raccontare ogni volta di questi e altri momenti di preghiera comunitaria, ma altre persone condividono queste mie riflessioni e mi invitano a parlarne, per far capire che c’è bisogno di queste esperienze per rasserenare e dare un po’ di ordine alla nostra vita.
Domenica 6 gennaio
Oggi la Chiesa celebra l’Epifania di nostro Signore. La tradizione vuole che in questo giorno i Re Magi arrivino ad adorare il Bambino Gesù. Anche qui ad Ortonovo, durante la celebrazione della santa Messa, all’Offertorio, tre Re Magi hanno portato i loro doni a Gesù e, al termine della Messa anche a tutti i bambini presenti. Poi, sul sagrato della chiesa, c’è stata l’estrazione dei numeri della lotteria a favore delle opere parrocchiali. I premi in palio erano tutti manufatti (anche di valore) fatti dalle “donne del mercatino”. Queste donne da diversi anni si ritrovano di sera in un locale della parrocchia per creare questi manufatti (sciarpe, cappelli, lavori all’uncinetto e altro) che vengono venduti a prezzi modici e col ricavato si pagano le rate del mutuo per la facciata della chiesa, e piccoli restauri (portoni, candelieri…).
I re Magi sono arrivati, ieri sera, anche a Cafaggiola, nella chiesa del Preziosissimo Sangue, al termine della consueta recita che i ragazzi dell’oratorio “Don Ludovico Capellini” ogni anno organizzano in questa occasione.
Giovedì 10 gennaio 2013
Questa sera l’ora di adorazione interparrocchiale per le vocazioni si tiene nella chiesa Maria Ausiliatrice di Isola. Anche stasera scendiamo da Ortonovo col pulmino del Santuario al completo. Don Andrea ha preparato questo incontro sulla figura di S. Giovanni Bosco in occasione della festa patronale del 31 gennaio. Molto interessanti le letture e bene tutto il resto (partecipazione, canti…).
Domenica 20 gennaio 2013
Padre Mario qualche giorno fa mi aveva chiesto se ero disponibile per un incontro per questo pomeriggio, al Santuario, con alcuni altri, per il progetto di formare un gruppo di laici che approfondiscano la spiritualità della Fraternità Missionaria di Maria. Come ho già detto in un’altra occasione, di questo si era già parlato quando c’era padre Carlos; poi ci siamo incontrati qualche mese fa, e quindi oggi. Dei quattro che dovevamo essere, siamo solo tre, più padre Mario. Abbiamo palato di questo progetto che è già funzionante (almeno in parte) a Cassino, ma che sta andando molto bene in Venezuela e Guatemala. Per ora si tratterà solo di incontrarci in particolari occasioni di preghiera (ad esempio la recita delle Lodi il sabato mattina) e, saltuariamente per ora, in qualche domenica pomeriggio. Chi volesse aderire può comunicarlo a padre Mario o presentarsi direttamente il sabato mattina, dalle 8 alle 9 al Mirteto.
Mercoledì 23 gennaio 2013
Oggi pomeriggio è venuto in visita nel nostro Comune il vescovo diocesano Luigi Ernesto. Ha visitato i luoghi colpiti dall’ultimo nubifragio, in maggior parte lungo il torrente Parmignola; ha incontrato il Sindaco, alcuni Assessori e le persone che hanno avuto i maggiori disagi. Al termine di questi incontri, la celebrazione della Santa Messa nella chiesa del Preziosissimo Sangue concelebrata dai parroci del Vicariato e dai due diaconi, Paolo e Agostino. La chiesa era strapiena di fedeli e il Vescovo è rimasto molto contento di “questa dimostrazione di affetto nei suoi confronti”: forse non si aspettava un’accoglienza così, visto che questa era una visita non ufficiale.
In occasione di questa alluvione giornali e televisioni (anche a carattere nazionale) hanno parlato molto dei danni provocati in particolare dal torrente Parmìgnola (o Parmignòla come dicevano in TV). Quanti danni, questo piccolo torrente! E pensare che un tempo era la risorsa del nostro territorio. Sul suo breve percorso (da Annunziata a Serravalle) c’erano una decina tra frantoi e molini (ora neanche uno), inoltre alimentava una serie di gore e bedali che portavano acqua in tutto il nostro territorio. Ho detto questo per invitare qualche studioso o appassionato del territorio a fare una ricerca in merito e pubblicarla su queste pagine. Chi ha ideato e costruito la “gora” che da San Martino arrivava fino a Serravalle? Come si chiamavano i vari molini e frantoi? Spero che qualcuno risponda a questa nostra richiesta.
Giovedì 24 gennaio 2013
Stasera -ore 21- nella chiesa di Isola, in preparazione alla festa patronale di giovedì prossimo, don Andrea ha promosso un incontro su San Giovanni Bosco ed ha invitato a parlarcene don Franco Pagano, rettore del seminario diocesano di Sarzana. Don Franco non ci ha parlato della vita di questo Santo con particolari aneddoti e fatti, ma ce lo ha fatto conoscere, in particolare, riflettendo su ciò che lui ha fatto in rapporto con le Sacre Scritture. Ne è venuto fuori una cosa molto interessante.
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