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Il mio viaggio in Terrasanta, sulle orme di Gesù. (Prima parte)
di Giuliana Rossini
Quando, all’inizio dell’estate, mia sorella mi ha proposto di partecipare ad un viaggio in Terrasanta non ci sono stata a pensare su due volte, ho accettato immediatamente. Non me ne sono pentita, si è trattato di un viaggio, anzi di un incontro eccezionale con Gesù, rivivendo i momenti più importanti della sua vita.
Partiamo il 16 ottobre, alle ore 15,30 dall’aeroporto di Malpensa ed arriviamo a Tel Aviv poco prima delle 19. Dopo controlli minuziosi, finalmente saliamo sull’autobus che ci porta a Nazareth, in Galilea, nel nord del Paese, dove giungiamo in tarda serata.
A Nazareth visitiamo la basilica dell’Annunciazione, poco lontana dalla chiesa di S. Gabriele di rito ortodosso che sorge nel luogo in cui, secondo i vangeli apocrifi, Maria, andando ad attingere l’acqua alla fonte, avrebbe visto l’arcangelo. E’ un’immagine bella e fresca quella della giovinetta che, magari insieme alle amiche, va alla fonte. Mi commuovo di fronte al luogo in cui Maria ha detto il suo sì alla volontà di Dio, permettendo che essa si realizzasse: l’incarnazione del Verbo.
Nella stessa chiesa vi è un altro luogo dove Samir, la nostra guida, ci dice esservi stata la casa di Giuseppe (la casetta di Loreto?). Qui probabilmente visse la Sacra Famiglia, poiché Giuseppe, uomo giusto, prese Maria sua sposa con sé. Qui crebbe in sapienza, età e grazia Gesù, tra le cure amorevoli dei suoi genitori.
La Galilea è piena dei segni lasciati dal passaggio di Gesù. Si può dire che uno dei maggiori centri della sua manifestazione sia il lago di Genezaret o mare di Galilea o di Tiberiade dove Egli scelse i suoi primi discepoli dopo la pesca miracolosa; dove camminò sulle acque; dove sedò la tempesta; dove moltiplicò i pani e i pesci… Una particolare emozione ha suscitato in me la località di Tabga, dove Gesù fece il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, non lontano dal monte delle Beatitudini. A Tabga Gesù si presentò ai suoi discepoli dopo la sua risurrezione e fece a Pietro la famosa domanda, ripetuta tre volte: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” e alla risposta affermativa dell’apostolo gli disse: “Pasci le mie pecore” (Gv 21, 15-18). Solo che lo stesso Pietro lo aveva appena rinnegato tre volte. Gesù non lo rimprovera, non gli chiede nessun chiarimento, soltanto chiede il suo amore e gli affida la sua Chiesa.
Don Claudio, parroco di Predare (Bergamo), che aveva organizzato il pellegrinaggio, da subito ci aveva invitato a rispondere alla domanda chi fosse Gesù per ciascuno di noi: ogni luogo ci avrebbe fornito un suggerimento, una perla che, unite tutte insieme, avrebbero formato una collana, la nostra risposta appunto. Se dovessi definire la Galilea la chiamerei la terra della gioia dell’annuncio: a Cana Gesù si è manifestato col suo primo miracolo; sulle rive del lago di Tiberiade ha scelto i suoi primi discepoli; sul monte Tabor il Padre lo ha glorificato e ci ha invitati ad ascoltarlo; sul monte delle Beatitudini Gesù ha mostrato il suo ”stile”: beati i puri di spirito, i misericordiosi, gli operatori di pace…; infine a Cafarnao Gesù ha vissuto per ben due anni annunciando la Buona Novella, operando miracoli, insegnando nella sinagoga, avendo al seguito moltitudini di uomini. A differenza di altri luoghi in questa città gli scavi, compiuti dai frati francescani, hanno riportato alla luce l’antica città, importante porto dell’epoca, con la casa di Pietro, dove ha vissuto Gesù poiché a Nazareth i suoi non lo avevano accolto, la sinagoga, il frantoio ecc.
Dopo circa tre giorni di permanenza in Galilea passiamo per Gerusalemme, antica capitale della Giudea,. Lungo il cammino, costeggiando il Giordano, osserviamo alcuni kibbutz, piccoli centri agricoli condotti in modo collettivo, dove alcuni Ebrei vivono su terre appartenenti allo Stato, che lavorano condividendo mensa, momenti spirituali ed educativi. Si può veramente dire che questo popolo ha fatto fiorire il deserto: siamo circondati da ortaggi e frutti di ogni tipo, soprattutto pomodori, agrumi melograni e banane. Attraversiamo la Samaria, terra deserta e sassosa (mi viene spontaneo pensare a Gesù che attraversava quei luoghi predicando in lungo e in largo) e a metà mattinata ci fermiamo in un luogo all’aperto per celebrare la Santa Messa su un altare di fortuna. Qui nel deserto è più facile spogliarci di ogni attaccamento a tutto ciò che ci può distrarre dall’unione con Dio. Poco oltre viviamo un momento indimenticabile. Tra Gerico e Gerusalemme vi è il luogo sul Giordano dove Giovanni Battista ha battezzato Gesù e intorno il deserto della quarantena. Dopo aver rinnovato tutti insieme le promesse battesimali, don Claudio versa sul capo di ciascuno l’acqua del fiume. Sono veramente commossa! Mi sembra di vivere ai tempi di Gesù e di averlo proprio lì, al mio fianco! Il fiume Giordano si getta nel mar Morto e lì finisce; il mare (in realtà un lago) non avendo emissari riceve tutti i sali che con l’evaporazione dell’acqua si concentrano, oltre ai fanghi, dandogli la caratteristica tipica di tenerti facilmente a galla: è un’esperienza bella e nuova per noi galleggiare in quell’acqua calda e massaggiarci con i fanghi curativi.
Il giorno dopo visitiamo Betlemme. Dopo l’occupazione di Israele da parte degli Ebrei, la città in cui è nato Gesù è rimasta in Palestina ed è divisa da Gerusalemme da un alto muro. Il primo luogo che visitiamo è un moderno e ben attrezzato ospedale pediatrico. Ci riceve suor Donatella che vive lì da diversi anni. Tra l’altro ci racconta come il loro ospedale, per motivi economici, sia privo della divisione chirurgica e come, dopo la costruzione del muro, sia molto difficile inviare i bambini che ne hanno bisogno nel vicino ospedale di Gerusalemme, perché occorrono permessi speciali che talvolta non giungono in tempo. Questo fatto ci turba profondamente e quando ci rechiamo nella vicina grotta dei pastori per assistere alla “Messa di Natale” non posso trattenere le lacrime. Dio è sceso fino alla terra, al nostro livello per amore, ma noi non Lo accogliamo. In questo luogo respiro il rifiuto dei sacerdoti, degli scribi e dei farisei. Alla grotta della Natività, Samir, la nostra guida arabo-cristiana, ci spiega come, all’epoca di Gesù, le case fossero costruite nella roccia con una parte in muratura (qualcosa di simile ai Sassi di Matera). Quando Giuseppe e Maria giunsero a Betlemme non c’era posto per loro nella casa (le zone in muratura appunto) e furono ospitati nella parte interna, la grotta riservata agli animali. Ci dice anche che la Santa Grotta è custodita congiuntamente da ortodossi, armeni e cattolici non sempre in armonia tra di loro. Davanti al luogo dove è nato Gesù si rinnova il dolore della divisione insieme ad un forte sentimento di tenerezza: immagino il Dio-bambino che si offre all’umanità povero e indifeso e prego per tutti i piccoli, soprattutto per quelli in difficoltà. Il pomeriggio è dedicato alla visita dei luoghi santi intorno a Gerusalemme: sono tantissimi e tutti straordinari. Anzitutto Ein Karim dove Maria, mossa da carità, venne a visitare la cugina Elisabetta e proruppe nel meravigliosa cantico del Magnificat. Qui nacque Giovanni il Battista.
(Fine della prima parte)
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L’EGOISMO DEL DOLORE
di Maria Giovanna Perroni Lorenzini
L’EGOISMO DEL DOLORE
Befana e Befanotto
La Befana non venne quella volta,
quel primo dopo guerra così triste;
e io invano volgevo gli occhi attorno,
dal tavolo al camino, in ogni dove,
a cercare, in quel vuoto, un luccicore
di stagnola od un pacco bene avvolto
e legato da un fiocco, od una calza…
Ma gli occhi della nonna, asciutti e duri,
mi dissuasero dal cercare ancora.
Poi vennero le lacrime. E, a calmarle,
lo zio Mino, dal cuore di bambino,
si inventò lì per lì, a lenire il male
dovuto all’egoismo del dolore,
la pietosa bugia del Befanotto.
Non sono ben certa di quale fu il primo momento in cui mi accorsi chiaramente che nella mia famiglia c’era qualcosa di molto cambiato; ma sicuramente dovetti accorgemene nelle festività del Natale. Il Natale del 1945. Era, credo, il secondo Natale che passavo a Arcola. Per capire la reazione che ebbi nei confronti di questo qualcosa di negativo, bisogna considerare che fino ad allora, e particolarmente a Pola, ero stata una bambina privilegiata e forse anche un po’ viziata, sempre relativamente ai tempi: infatti, oltre ai regalucci che con qualche difficoltà i miei genitori mi facevano, i più bei doni mi venivano dagli ospiti, che erano compaesani militari che si trovavano di stanza a Pola con le loro navi o con i loro reparti e che, nei momenti di libertà, ottenevano accoglienza a casa dei miei genitori (un pezzo di Arcola lontano da casa); oppure si trattava di colleghi di mio padre all’arsenale, quelli che, lontani dalle loro famiglie, ne trovavano un surrogato in casa nostra. Tutti ricambiavano con un regalo alla bambina, a me bambina. Così le famose cinque bambole che mi portai in treno da Pola e che danno il titolo al mio primo libro di narrativa, erano quasi tutte regali di questi amici ospiti. Comunque fino ad allora, non era passato un Natale o una festa dell’Epifania, senza che Gesù Bambino prima o la Befana poi mi avessero portato un qualche piccolo dono. Ed ero fiduciosa che la cosa sarebbe continuata. Anche perché sentivo di meritarmelo: non ero infatti buona ed ubbidiente?
Ma avevo fatto male i miei conti: infatti, nel breve spazio di tempo fra la primavera e l’inizio dell’estate del ’45, c’era stata quella duplice uccisione, E quella quasi contemporanea duplice perdita aveva gettato tutti i parenti nella più nera desolazione. Per cui quell’anno non si pensò a festeggiare. Ma io ero troppo piccola per poter già comprendere appieno le angosce dei miei, anche perché, data la mia lontananza, il nonno e lo zio Alberto li avevo appena conosciuti, e rammento che il mattino di Natale provai un senso di vuoto non trovando nulla. Anche se in casa, dove c’erano ancora degli sfollati, avevo avuto comunque di che distrarmi; infatti essi in qualche modo avevano onorato la ricorrenza del Santo Natale, facendo partecipare anche me ai loro festeggiamenti. Mentre invece, a darmi una vera stretta al cuore fu, in quel giorno, lo squallore che trovai da nonna Giselda e da zia Elena. E ancora mi rivedo dell’atto di guardare, disorientata e sgomenta, la casa, che si presentava disadorna com’era tutti i giorni, senza alcun segno di festa e senza nessun preparativo particolare per il pranzo. Ma fu soprattutto l’atteggiamento della nonna che, severa e tutta chiusa nell’egoismo del suo dolore, appariva decisa a schivare il minimo accenno ad un augurio e perfino il solito abbraccio, che mi tolse l’illusione da me cullata che Gesù Bambino mi avesse portato, almeno lì, qualche dono. Tornai a casa ancora più mogia; ma qualcuno, accorgendosene, mi disse che, ad Arcola, Gesù Bambino quell’anno non aveva portato niente; ma che ci avrebbe pensato la Befana. E allora mi misi ad aspettare la Befana.
Ed il giorno della Befana arrivò. Mi svegliai prestissimo, ma per la seconda volta dovetti accorgermi che a casa mia non era arrivato niente. Dopo essermene resa ben conto, provai ancora da nonna Giselda; dove, disperata ormai, ritrovai la stessa atmosfera di Natale e la stessa quasi ostile indifferenza, mentre io invano sbirciavo dappertutto, anche dentro il camino. Ma nulla.
Lungo il breve tratto di strada del ritorno riuscii a frenarmi; ma, appena arrivata in casa, non seppi trattenere un grande scoppio di pianto. E allora in famiglia qualcosa si sciolse. I miei di casa, contrariamente a nonna Giselda e a zia Elena, che durarono nel loro atteggiamento per diversi anni, provarono subito rimorso per quella che da parte loro era stata solo una distrazione, dovuta alla tragicità della situazione e alle preoccupazioni per il futuro. E lo zio Mino, quello che più mi coccolava, vedendo il mio pianto cercò di rimediare; e, dal momento che era difficile dirmi la verità senza rompere le mie illusioni, dato che io credevo ancora che fossero veramente Gesù Bambino e la Befana a portare i regali, inventò lì per lì che la Befana aveva avuto troppo da fare; ma che di lì a una settimana sarebbe passato il Befanotto. E il Befanotto venne, infatti, la domenica 13 gennaio e mi portò il regalo tanto atteso. Che senza dubbio fu, data la situazione, un regalo riciclato da tempi migliori. Ma la gioia di poterlo finalmente toccare, non mi consolò che in parte dei doni che non avevo avuto a Natale e alla Befana. E ne è la prova il fatto che mi è rimasto per sempre impresso il ricordo di quel vuoto e di quel senso di desolazione.
dal libro “La casa sepolta” ed. Albatros.
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S. MARTINO E L’ANNO DELLA FEDE
di Don Romeo Rossetti
S. MARTINO E L’ANNO DELLA FEDE
Innanzitutto una felice coincidenza : anche la mia attuale parrocchia ha come titolare S. Martino e ciò mi aiuta a conservare nella mia mente e specialmente e nel mio cuore la mia antica parrocchia che ho tanto amato con particolare riferimento alla Chiesa di S. Martino dove ho trascorso di giorno e anche di notte le ore più belle del mio iniziale sacerdozio.
Purtroppo la Chiesa ha subito delle modifiche in quanto l’antico e storico altare è stato alterato e forse in modo da non essere più conforme alla storia e antichità della Chiesa , di stile Romanico;
La stessa balaustra è stata eliminata: tutto ciò provoca una grave stonatura liturgica e artistica.
Comunque la figura del titolare S. Martino rimane ugualmente grande ed è uno dei santi più indicati come esempio in questo “ Anno della Fede” che ha come finalità quella di operare nella Chiesa una nuova Evangelizzazione cioè cercare di riportare la Chiesa a vivere secondo la Comunità Primitiva cioè in pratica secondo la parola e gli esempi di vita di Gesù stesso. Il verbo di DIO fatto carne per la nostra salvezza .
In questo cammino di ritorno alla Chiesa evangelica che possiamo chiamare anche Apostolica ci sono di grande aiuto specialmente i santi vissuti vicino a quel periodo e S. Martino è proprio uno di quelli , essendo vissuto nel periodo 315-397d.c. .
Con l’esempio della sua vita ci aiuta in questo grande ritorno offrendoci ad imitazione le virtù propriamente evangeliche: la Fede, la Povertà, la Carità e l’indipendenza dal potere politico;
Figlio di un soldato, catecumeno già a 10 anni, a 15 anni arruolato dal padre nella cavalleria militare ; a 18-19 anni viene trasferito nella Gallia ed è proprio nella Gallia che avviene quel famoso gesto di carità verso un povero morto di fame e di freddo: tagliò con la spada in due il suo pesante mantello militare e con una delle parti coprì quel povero cristiano: questo episodio è storicamente accertato; congedatosi dalla vita militare ha inizio in Martino quella vita religiosa ed apostolica di grande intensità che comprende, per essere brevi, periodi di ritiro eremitico, di esilio da parte della autorità politica per colpa della setta ariana; riceve il battesimo e anche l’ordine sacro di Esorcista, entra nell’orbita della vita e attività di S. Ilario, comincia a fondare dei monasteri, di Fede e di carità verso tanta povera gente bisognosa di tutto, diventa si può dire il fondatore della religione cristiana in tutta la Gallia. Diventa vescovo di Tours.
Muore santamente nel 397d.c.
Il santo esempio della vita di S. Martino mi auguro possa in questo Anno della Fede essere di imitazione nella zona già ricca di fede delle parrocchie che fanno capo al bollettino parrocchiale “ il Sentiero”.
Varano De Melegari 23/11/2012
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UN SABATO SPECIALE
di Paola G. Vitale
Questo 1° sabato di novembre, pellegrinaggio di preghiera a Maria Santissima, è stato voluto ai luoghi nativi di S. Antonio Maria Gianelli, nella Val di Vara e dedicato al vescovo eletto, Luigi Ernesto, che attendiamo con amore. Il Santo patrono dei vescovi possa benedirci ed aiutarci tutti! Il lungo cammino sotto la pioggia non ha offuscato la gioia di essere concordi nella preghiera. Le suore “gianelline” avevano allestito con cura un vasto locale dove mons. Bassano, vescovo emerito, e tanti, tanti sacerdoti e fedeli hanno reso prezioso il ringraziamento ivi celebrato.
Torno a casa e trovo serenità e pace; riesco a coordinare con tranquillità ogni necessaria incombenza. Non è già questa una grande benedizione?
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L’ADORAZIONE INTERPARROCCHIALE
di Paola G. Vitale
San Martino è chiesa antica (la più antica del nostro territorio), è bella, è amata, e i Padri della Fraternità Missionaria di Maria sono un po’ speciali, per cui la prima adorazione interparrocchiale dell’Anno della Fede è stata particolarmente celebrata e sentita. Buona anche la partecipazione, nonostante il tempo piovoso e un po’ burrascoso.
Anche da Luni Mare ci siamo mossi in buon numero, contenti di salire lassù a salutare anche il Camposanto che già ha accolto diversi abitanti della nostra frazione relativamente recente. Il raccoglimento e il canto hanno reso più bella la preghiera. In dicembre sarà a Luni Mare e dovremo darci da fare per rendere un po’ preziosa anche questa ora di adorazione. I giorni corrono veloci, perciò a presto, amici!
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I NOSTRI CARI DEFUNTI
di Paola G. Vitale
Mamma, come ricordo quella volta che ti sei affacciata sul terrazzo e ci hai salutati con amore! Sì, quel giorno ci hai salutati con amore e non con il cruccio di chi vede ancora allontanarsi dei figli, dei nipoti, e ne prova forse un po’ di rancore. Rivedo i tuoi occhi verdi, sereni e colmi di affetto e vorrei tanto abbracciarti e restare ancora sul tuo cuore.
Il tempo è volato, ognuno alla sua giornata, ognuno ai suoi problemi, ma durante quel viaggio di ritorno i tuoi occhi ridenti sono rimasti assieme a me e hanno colmato i tanti giorni di lontananza. Babbo diceva: “Tornate presto!” e la sua voce era più d’una carezza per la visita fatta, sempre troppo breve per me e per loro.
Ora sapete bene che vi ho sempre amato al di là di ogni problema e di ogni distanza: spero solo nell’amore di nostro Signore, morto e risorto per noi. Possa ancora farci rivedere!
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UN ATTO DI FEDE
di Marta
Dopo tanto tempo, per combinazione, due amiche si ritrovano: un breve saluto poi decidono di andare a prendere qualcosa al bar e così parlare un po’ della loro vita. Dopo diversi argomenti il discorso cade sulla propria religiosità e in particolare della fede.
“Io, dice Maurizia, non vado mai alla Messa. Vedi, abito nel paese proprio sulla piazza; dalla mia finestra vedo la strada principale fino alla chiesa e così vedo le assidue che vanno in chiesa tutti i giorni, e anche di più: poverine, mi mettono tanto in ansia che mi viene fino da piangere”. “E perché mai?” Chiede l’amica, Roberta. E l’altra: “Passa la Anna, sempre vestita di nero, l’aria sconsolata, in eterno lutto, che per me non c’è; la Dina, tutta gobba, rattrappita, sembra il simbolo del dolore; Viviana poi, guarda sempre a terra, non sorride mai; la Sandra, non guarda in terra ma il suo stomaco, con quella testa sempre ciondoloni…E poi mi fermo qui, altrimenti ce n’ho per tutto il paese: io non voglio diventare così.
Roberta, a quel punto, dice all’amica: “Sarà un caso. Per me queste donne hanno la loro personalità, vivono la loro fede forse con mestizia, ma tu prova a frequentare un’altra parrocchia: ti assicuro che non è così!”. Maurizia, comunque, rimane della propria idea e così termina l’incontro.
Siamo vicini alle feste di Natale, le vetrine e le strade sono tutte addobbate ed illuminate; questo clima di festa invita le persone a essere, se non più buone, almeno più gentili tra loro e sorridenti. Sembra che tutti siano più ben disposti anche verso il prossimo. La vigilia di Natale entrando in chiesa per la Santa Messa, vedo che c’è anche Roberta: un cenno di saluto con gli occhi e basta. Al termine della Messa la ritrovo sul piazzale (quasi mi aspettasse) e mi dice: “Sai, Maurizia, mi sono proprio ricreduta; non resto più con un “lungo niente” davanti alla finestra a vedere chi passa. Ho capito la mia limitazione. Se voglio cambiare qualcosa della mia vita devo riempire un po’ del mio tempo con buone azioni e proponimenti”.
Maurizia ha trovato così il suo piccolo atto di Fede e lo vive con gioia e serenità. Salutandosi caramente, si scambiano gli auguri di Buon Natale e felice Anno nuovo e così faccio anch’io con voi tutti, cari lettori.
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Un parroco fedele al suo ministero e all’evangelizzazione
di Liliana
Sabato 10 novembre: sono due anni che il nostro parroco, don Lodovico, è tornato alla Casa del Padre.
Io, sua parrocchiana e sorella di comunità neocatecumenale, voglio ricordarlo come “servo buono e fedele”. Quello che ha fatto materialmente è sotto gli occhi di tutti, ma io voglio ringraziare il Signore soprattutto per il suo costante impegno nell’operare per l’evangelizzazione.
A me, come ad altri, ha offerto l’opportunità di arrivare a conoscere l’amore di Dio nella mia vita e a sperimentare la sua misericordia; ad amare la Chiesa rispettando tutti i consacrati; a rimanere nell’obbedienza del proprio Parroco, del Vescovo e ad essere fedele al Papa nelle sue decisioni etiche di vita.
In tutti gli anni trascorsi ad ascoltare la Parola ho condiviso con don Lodovico e la comunità tanti momenti belli e anche tante sofferenze, sempre superate con l’aiuto di Dio. Nonostante le mie cadute e la mia pochezza umana ho capito cosa il Signore vuole da me ed ho compreso che ciò che ho ricevuto è un dono da condividere perché la conoscenza di Dio attraverso la sua Parola deve essere portata a tutti.
C’è bisogno che ad ogni uomo venga annunciato il Vangelo e don Lodovico, pur nella sua fragilità umana ma nella sua grandezza di uomo di Dio, si è prodigato fino all’ultimo senza trascurare nulla di quello che il Signore gli aveva affidato per annunciare Cristo morto e Risorto.
Pensandolo in compagnia di Gesù e Maria, confido sempre nelle sue preghiere per la nostra parrocchia, per don Andrea, per le comunità neocatecumenali e per quanti lo hanno conosciuto.
Con grande rispetto ed affetto voglio ricordarlo e ringraziarlo continuando a pregare per lui.
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Diario di un parrocchiano
di Walter
Diario dicembre
Giovedì 1° novembre 2012: Ognissanti
Vado in chiesa un po’ prima delle 11 per la Santa Messa. Entrando in sacrestia vedo che c’è già molta gente: padre Carlos sta indossando i paramenti (qualcuno dirà: ma non doveva partire lunedì? A causa dell’uragano su New York la partenza è stata rimandata e lui è ben felice di essere rimasto ancora per qualche giorno: partirà questa notte); Agostino sta dando istruzioni alle numerose chierichette (ben otto); Claudio e Tatiana stanno scegliendo i canti; padre Victorio mi informa sugli avvisi della settimana da dare alla fine della Messa. Padre Carlos è molto contento di quel trambusto; mi chiede: “C’è anche la corale?” . “Troppa grazia! - gli rispondo- il maestro non c’è; canteremo lo stesso qualcosa, anche senza organista”. Ed infatti poi cantiamo il Gloria e il Sanctus della Messa degli Angeli ed altri canti.
Santa Messa solenne, quindi, come d’altronde la solennità di oggi prevede. Anch’io, oggi, sono molto felice: vedo nelle prime panche Elia e l’Adele; Jacopo Gianmaria è in braccio alla mamma in giro per la chiesa, mentre Emma, la più grande (ha quasi 8 anni), è con le altre chierichette qui all’altare. Questi che ho nominato sono (per chi non lo sapesse) i miei quattro nipoti (scusate questo sfogo di “nonnismo”). Anche al termine della Messa la sacrestia si riempie di persone che vengono a risalutare padre Carlos.
Sabato 3 novembre 2012.
Oggi è il primo sabato del mese; oggi si va in pellegrinaggio al Santuario di Cerreta di Carro, paese natale di S. Antonio Maria Gianelli, il Santo patrono della Val di Vara e patrono dei Vescovi. L’anno scorso, col vescovo Moraglia, eravamo andati a Bobbio dove il Gianelli era stato vescovo e dove sono custodite le sue spoglie. Oggi, qui alla Cerreta, il vescovo emerito Bassano ci invita a pregare per il vescovo eletto della nostra diocesi, Luigi Ernesto Palletti, e metterlo così sotto la protezione di questo nostro grande Santo. La pioggia ci ha accompagnato per tutta la mattinata per cui non abbiamo la possibilità ammirare pienamente le bellezze di questi luoghi: bisognerà tornarci in una stagione migliore.
Giovedì 8 novembre 2012.
Stasera - ore 21 - c’è l’ora di adorazione interparrocchiale a San Martino (domenica prossima si svolgerà qui la tradizionale festa patronale). Da Ortonovo, centro storico, scendiamo col pulmino del Santuario. La piccola chiesa è piena: questi incontri si stanno sempre più confermando come un bel momento di comunione tra le varie parrocchie del nostro territorio.
Lunedì 12 – domenica 24 novembre.
In questo periodo sono andato “in vacanza” a Milano per un intervento da tempo previsto: lunedì mattina presto partenza; martedì l’intervento; mercoledì 21 dimesso.
Il chirurgo mi dice che tutto è andato bene e che per quasi 20 anni non vuole più vedermi, se non per qualche controllo di tanto in tanto. Speriamo sia così. Due cose da ricordare: la prima molto banale. La prima notte che ho trascorso lassù, a una certa ora mi sono svegliato; ho notato un bagliore che veniva dalle grandi finestre (le tapparelle non erano state abbassate); ho pensato: saranno le 5,30-6, sta albeggiando. Passa il tempo, recito un po’ di Ave Marie, vedo il mio vicino che va in bagno, ritorna; continuo le recite ma il giorno non arriva… Poi mi sono reso conto che non era l’alba, era il normale bagliore della città. E così ho scoperto che a Milano (e così nelle altre grandi città) non viene più la notte bella buia come da noi e così anche l’alba non si nota. L’altra cosa, invece, mi ha fatto stare tanto male: la notizia della morte tragica del piccolo Mattia. Quando queste brutte notizie ti giungono che sei lontano, in un primo momento pensi che sia meglio, poi, invece, vorresti essere lì per portare il tuo abbraccio ai familiari, dire una parola di conforto; e non poterlo fare ti fa stare ancora più male. Così è successo a me: avrei voluto parlare con Gabriele, con Maria, con Giuliano e gli altri, ma non mi era possibile: ho solo potuto pregare per loro affinché il Signore desse loro la forza per superare anche questa durissima ed inspiegabile prova. Devono credere che ora hanno due angioletti che li osservano continuamente e che li aiuteranno a proseguire il loro percorso di vita con forza ed uniti. Mercoledì scorso, come detto, il rientro a casa e incomincia subito il lavoro: i nipotini, gli articoli del “Sentiero” da sistemare… e domenica (ieri) il rientro al mio posto in chiesa vicino al parroco e alle chierichette. Approfitto di questo spazio per ringraziare quanti (tantissimi) mi hanno telefonato, inviato messaggi di auguri e quanti mi sono stati vicini con la preghiera. Grazie di cuore a tutti.
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