N° 2 - Febbraio 2012
Storie dei lettori

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  Nel primo anniversario della nascita al Cielo di don Giancarlo,
di Gino Pecorini


 

 

 

 

 

Siamo riuniti in questo sacro luogo a ricordare il nostro amato don Giancarlo che, un anno fa, ha fatto ritorno alla Casa del Padre.

In quello splendido luogo, nell’eterno giardino di Dio, il maestro, Padre Candido,   e il suo allievo, don Giancarlo, si sono riabbracciati, al cospetto del Signore. Proprio qui, alla Scala Santa di Roma, in questo luogo di preghiera, Padre Candido ha svolto il suo apostolato per ben trentasei anni, portando a compimento il mandato che Iddio gli aveva affidato. E proprio qui iniziò tra questi due santi sacerdoti di Dio, una proficua intesa spirituale, nella preghiera e nel dono totale di sé, ben consci che chi perde la propria vita per la gloria di Dio la guadagna in eterno!

Cristianamente c’inchiniamo dinanzi alla volontà del Signore, e accettiamo la morte come tramite per l’Eternità. Un giorno tutti noi di questa terra ci ritroveremo accanto a quelli che ci hanno preceduto in Cielo, e sarà un ritrovarsi che non avrà più fine, in un girotondo d’amore. Il nostro cuore oggi batte all’unisono con quello dei familiari di don Giancarlo: don Giorgio, Renzo, Lina e Tilde.

Caro Don Giancarlo, sei sempre vivo e presente nel nostro cuore, tanti i ricordi di anni lieti e sereni, nel seno della Famiglia dell’Immacolata Concezione, da te fondata nel lontano otto dicembre 1999. Sono fotogrammi di stupende memorie, dai quali nitidamente emerge la ricchezza del tuo amore; l’Amore con cui hai tanto amato il Signore, e l’Amore che hai nutrito per tutti noi!

Carissimo don Giancarlo, ora che vivi col Signore Gesù Trasfigurato, ora che Lo vedi e ora che Lo adori, chiedi, intercedi, pregalo per noi! Ti vogliamo tanto bene, don Giancarlo, Prete della Trasfigurazione

 

 

Roma 08/11/2011

                                              

 
 

  PRIMO SABATO DEL 2012
di Paola G. Vitale


 

 

            Riuniti nel pullman da Ortonovo, abbiamo raggiunto la già gremita chiesa di San Francesco, in Sarzana. Da lì, dopo l’inizio del Santo Rosario, ci siamo incamminati verso la piccola chiesa del monastero delle Clarisse, ai piedi di nostra Signora della Pietà.

            Questo primo incontro è stato giustificato dalla celebrazione di S. Chiara di cui ricorre il millenario ricordo. Lì, ai piedi del monte Armolo, le Clarisse, in buon numero, ci hanno accolto con tutta la loro spiritualità e amore. Non era la prima volta per me, ma lì c’è tutto da ammirare: la bellezza del luogo, quella particolare dell’interno della chiesa e, oggi, anche il bel Presepe allestito all’ingresso, sul lato sinistro della chiesa. L’omelia del vescovo Francesco è incentrata particolarmente sulla priorità dell’intercessione di Maria verso l’umana richiesta, verso ogni invocazione. E poi, raggiunte le dovute condizioni di purezza e di contrizione, avevamo l’opportunità di conseguire l’indulgenza plenaria totale, secondo le prescrizioni della Chiesa.

            Un particolare mi ha colpito: proprio ai piedi dell’altare ho potuto leggere una iscrizione in latino su una pietra tombale voluta da Prosper Luper, che, nel 1664, senza trovarsi in situazione di disagio, pensò, all’età di anni ottanta, di chiedere al Signore il giusto compenso: morte eterna, se nel peccato; vita eterna, se meritevole. E aggiunge: finché sei in vita, vivi bene, per meritare l’eternità nel Regno di Dio.

            E’ stato confortevole ricordare la fede nel tempo. Il tempo scorre; il Signore sempre chiede la nostra risposta. Gesù è gioia e pace; a chi non piace la gioia vera e la pace sicura? Preghiamo con fiducia per tutti e offriamo esempio autentico. Ave Maria e avanti!

 

                                                           

 

TUTTI ASSIEME IN PULLMAN

 

                Cari amici, che bello ritrovarci tutti assieme nel pullman e poterci salutare e scambiare notizie.

Ringrazio vivamente gli organizzatori per questa occasione che per me è rimasta la sola concreta possibilità di essere nel gruppo dei fedeli credenti.

            Ogni mese mi preparo mettendo a parte qualche biglietto da cinque o dieci euro per questo piccolo viaggio insieme; ed ogni mese accolgo con gioia la notizia del prossimo possibile incontro. Perciò sopportatemi con affetto; da parte mia ringrazio per ogni occasione che potrò cogliere…al volo!

            A Dio piacendo, non mancherò! Auguri di ogni bene a tutti.

             

                                                  

                                              
 

  L’abbazia di San Lorenzo
di Romano Parodi


 

 

 

 

            Credo che sia un errore storico abbinare anche san Martino alla titolarità della chiesa di Ortonovo. San Martino era ed è l’antichissima chiesa di Iliolo, già esistente prima dell’anno mille (1). Questo errore è dovuto proprio al fatto che gli antichi documenti parlavano della parrocchia di S. Martino di Ortonovo. Ma prima del 1400, non risulta nessuna chiesa nel paese. Infatti, vediamo che sulla porta dell’antica chiesetta di San Lorenzo, oggi casa comunale, in mezzo al borgo, c’è la data del 1470 (2). San Martino di Iliolo quindi era la parrocchia di Ortonovo paese, amministrata dal prete di Ortonovo paese. Infatti, come scrive Elio Gentili, laggiù seppellivano i nostri morti, portandoli a spalle lungo l’antica via della Bancola, oggi interrotta in maniera vergognosa senza che nessuno battesse ciglia. Solo chi non aveva possibilità era seppellito sul colle del Mirteto.

Perché allora, l’abbazia, costruita nel 1620 sui ruderi del castello, ha sulla facciata anche la statua di san Martino?

Ebbene, questa è un’altra brutta pagina di storia ortonovese.

Il domenicano don Marcalini (1930 – 33) con l’aiuto dei parrocchiani (il muratore Baston), ebbe la brutta idea, visto che la chiesa era titolata anche a san Martino, di togliere la statua del santo dall’altare della Madonna del Ponte dei Raganti  (1730) e di posizionarla sulla facciata. Infatti, vediamo che oggi, sul detto altare, c’è la statua di santa Lucia sulla destra e sulla sinistra un piedistallo vuoto dove, appunto, c’era la statua di San Martino; ciò si può verificare anche dalla data scolpita sul piedistallo di san Martino: 1730.

Prima del 1930 la facciata della chiesa, aveva solo la statua di san Lorenzo, che è molto più antica ed è presumibile che provenga dalla vecchia chiesetta, in mezzo al borgo, se non addirittura dalla chiesetta di Volpiglione (titolata anche quella a san Lorenzo).

Era posizionata sopra la grande porta centrale (3). Oggi al suo posto c’è uno scudo, ma, come possiamo osservare, c’è ancora il suo piedistallo. Le quattro nicchie dovevano ospitare i quattro evangelisti, mai scolpiti, e quindi erano vuote.

Ma la pagina più brutta di quei famigerati primi anni 30, è lo scempio fatto allo scudo abbaziale. Si sa che è stato prelevato dal palazzo dei Ceccardi, probabilmente, era l’insegna di uno dei due vescovi di famiglia. Ma cosa vi era scolpito? Non è realistico pensare ci fosse la graticola di San Lorenzo: questa è stata scolpita in seguito, proprio per il suo posizionamento. E’ probabile che i due logo vescovili fossero: uno quello che ancora oggi si trova sopra il portone del Palazzo Ceccardi, di Ambrogio Monticola Ceccardi (ci sono monti, un cardo e la mezzaluna di Luni – la famiglia diceva discendere dal vescovo lunense San Ceccardo) e quest’altro sia stato lo scudo del vescovo Ambrogio Viola Ceccardi, e non credo proprio che ci fosse scolpita la graticola di San Lorenzo.

Moltissime, in Italia e in Liguria, le cattedrali titolate al santo che morì sui carboni ardenti, le cui faville o lacrime, cadono dal cielo il 10 agosto. Solo a Roma ce ne sono cinque. Il diacono Lorenzo nasce in Spagna e segue il futuro Papa Sisto II a Roma, e il Papa gli affida i poveri dell’urbe. La storia dice che l’imperatore Valeriano, per poter mettere le mani sui tesori della chiesa,  nel 258 condannò a morte sia il papa che il  suo diacono, ma, prima di essere martirizzato, Lorenzo distribuì tutto ai poveri, e al prefetto presentò 1500 fra ciechi, storpi, malati e poveri: “Ecco i tesori eterni, che (per la Chiesa), non diminuiranno mai di valore”. La leggenda narra che steso sulla graticola, prima di morire abbia detto al suo carnefice: “Ecco, hai arrostito una parte, rivoltami dall’altra e poi mangia”.

 

 

(1)       Il toponimo Iliolo si sta perdendo; bisogna fare qualcosa 

(2)       Anche se è molto probabile che questa data si riferisca al portale e già esistesse un vecchio oratorio con annessa canonica facente funzione di chiesa. Infatti, esiste ancora: Via Sotto la Canonica.

(3)       Opera dei Tacca -  Una curiosità: Jacopo Tacca, figlio di Pietro, è stato pagato con degli oliveti.


          

 

 
 

  UN MONDO AL TRAMONTO
di Carlo Lorenzini


 
 
 
 

Ma c’era anche chi non aveva un mestiere ben definito e che tirava avanti facendo un po’ di tutto; purché fossero lavori non pesanti e non impegnativi. Come Spartàn, per esempio.

            Lo chiamavamo così ‘Spartàn’. Forse per il suo modo di vivere povero o addirittura miserabile. Certo avrà avuto anche un suo nome. Solo che io (e, credo pochi in paese) non lo conoscevo. E, se lo conoscevo, l’ho poi dimenticato. Comunque in paese lo chiamavano solo così: Spartàn.

Nell’epoca del mio ricordo, era un uomo sui cinquant’anni. Viveva di espedienti e soprattutto viveva di vino. Passato il mezzogiorno era difficile non vederlo per lo meno alticcio. Tanto che il pomeriggio era inaffidabile. Lui non aveva un lavoro fisso. Né un mestiere determinato. Diciamo che era addetto ai servizi. Un po’ di tutti. Ma, soprattutto, delle due famiglie abbienti del paese: i Rocchi e i Da Milano. Non esclusa la Canonica; anche se non conosceva pratiche religiose. “Spartàn, avrei necessità che mi arrivassi fino a Dogana”. Oppure: “Spartàn, mi andresti in posta, per ritirare un pacco?”. “Spartàn avrei bisogno che tu mi arrivassi in farmacia”. E lui pronto andava con calma, fermandosi nelle varie osterie che incontrava, dove tutti lo conoscevano e dove non mancava mai chi gli offriva un bicchiere, memore dei servigi ricevuti e come anticipo di quelli di cui avrebbe avuto bisogno.

            Non so se aveva figli. Forse una figlia che viveva fuori, a La Spezia, mi pare. Aveva però moglie, la Sunta, donna di mezza età, alta e magra (lui, invece, era piuttosto basso di statura e forte di complessione), la quale faceva la domestica presso i da Milano, dove in pratica viveva. Sicché lui era un uomo solo; abituato ad essere autonomo che sbarcava il lunario come poteva. Un pasto caldo in casa dove la moglie serviva, quando capitava (lo vedevo a volte accanto al focolare, come un omerico mendicante, con in mano la scodella del minestrone o il piatto degli erbi e focaccina), oppure si faceva fare un panino dal negozio di  commestibili. Le acciughe sotto sale oppure le arringhe affumicate erano la sua passione e il suo companatico. Ma ai miei occhi Spartàn non era come gli altri; non aveva bisogno di mangiare; non ubbidiva alle stesse leggi cui erano sottoposti gli altri uomini, del pranzo e della cena. Lui aveva il suo nettare: il vino; che gli faceva anche da ambrosia. In questo più fortunato degli dèi. Inoltre Spartàn non aveva bisogno di fuoco o di fornelli. Si trovava bene anche sul crudo. Del suo rapporto con il pesce crudo delle pesciaie già ti ho detto.

            Spartàn era un irregolare; lui era diverso dagli altri; se fosse stato capace di concepire una sua filosofia, sarebbe stato un anarchico; o addirittura un alunno di Socrate. Ma Spartàn era un povero diavolo, che non andava in chiesa, solo perché, diceva, la chiesa non era un’osteria; la sua miseria costituiva, credo, la coscienza critica del paese, teso invece, nella sua maggior parte, alla conquista della cultura e del benessere. Il quale paese, forse per vendicarsi di chi lo costringeva ad uno scomodo esame di coscienza, in certi momenti più vistosi della sua diversità, quelli in cui fra i bicchieri di vino ce ne erano stati alcuni di troppo, lo ripagava, a ludibrio, lanciandogli dietro strofinacci da pavimento.Gesto quanto mai crudele, perché Spartàn era un uomo buono, un uomo di cuore.

            Ricordo che ci fu un periodo in cui il signor Rocchi non stava bene di stomaco. Ebbene Spartàn tutte le mattine scendeva giù al piano a comprargli in farmacia una bottiglia di acqua ‘Oliveto’, curativa dei problemi gastrici.

            Spartàn il benessere non lo aveva e non lo voleva. Perché gli avrebbe impedito di essere Spartàn, con la sua miseria, ma anche la sua libertà e la sua indipendenza.    Lui era contento se sul mezzogiorno, tornando in paese dal piano dove era stato per le sue commissioni giornaliere, aveva avuto quei bicchieri di vino che, secondo lui, gli spettavano e che lo tenevano su con lo spirito; e che, camminando, pur nel dondolio di tutta la persona e nel procedere a zig zag proprio delle persone un po’ brille, lo facevano parlare da solo in un discorso di intenerito autoincensamento e gli facevano occupare tutta la strada, come se fosse stato il padrone del mondo.

                                                                                            

 

 

                                                                                          

  ORTONOVO “PAESE”
di Marta


 

 

            Ortonovo paese, nel nostro Comune è ormai consuetudine denominare così la parte più antica e situata su un colle che sovrasta la piana del Parmignola; (a me sembrerebbe più indicato dire: " alto" o " centro storico"). Sovrasta dall’alto tutte le frazioni del nostro Comune, quasi a significare la sua naturale difesa da eventuali attacchi da loschi personaggi con intenzioni bellicose. Ma così era un tempo molto remoto.

            Gli Ortonovesi portano ancora con sé, penso io, l’atavica fierezza degli Apui, dal carattere forte e volitivo; sanno essere capaci di grandi sentimenti e tenerezza; bellezza e vanità. Gli Apui, nella storia, non si sottoposero mai al dominio di re o imperatori: liberi anarchici. Da soli hanno dominato le Apuane con tanti sacrifici perché il territorio circostante era ostile e quindi difficile la sopravvivenza; fieri del proprio valore e delle loro capacità.

            Ortonovo paese ha dato i natali a grandi uomini: poeti, sacerdoti, missionari, musicisti, compositori di musica sacra e tanti altri personaggi meritevoli tutti di essere menzionati. Gli Ortonovesi sono apprezzati da tutti per il loro altruismo: accorrono sempre al bisogno di chi si trova in difficoltà. Io li conosco anche come bravi cantori: la corale della loro parrocchia (Cantus Firmus) è assai numerosa con belle e notevoli voci. Si distinguono, inoltre, per la caparbietà che mettono nel raggiungere il loro fine e una certa vanità che comporta di arrivare al prestigio dell’essere umano. A sentirli parlare nel loro dialetto, che sembra una lingua d’oltralpe, si apostrofano con violenti sfottò in vere battaglie verbali, quasi a continuare a tramandare la loro cultura paesana di popolo antico.

            C’è un detto sugli Ortonovesi: tra di loro a volte si guardano in cagnesco; ma guai se uno di loro, fuori dal paese, si trova in difficoltà: tutto il paese è pronto a scendere in campo per prestare soccorso. Ma c’è anche un altro detto (con un’aggiunta): chi trova un Ortonovese come amico, trova un tesoro.

 

                                                                                                        
 

  Quando dissi di no al Dio della “mezz’oretta”
di Doretto


 

 

            La guerra finì e nel cielo vuoto spuntò il sole dell’avvenire. E quasi tutta la migliore gioventù di allora aderì a questo meraviglioso ideale, che voleva dire speranza in un mondo migliore, dove avrebbe regnato la giustizia e la pace. Poi, era il 1956, questo falso ideale portò i carri armati sul popolo ungherese che chiedeva pane e libertà, soffocandolo nel sangue.

            Capii che ero su una strada sbagliata. La mia anima inquieta vagava alla ricerca di un altro ideale e lo trovai quando mi capitò tra le mani un libro: ”Vita di S. Francesco d’Assisi”. Ecco quello che cercavo! L’ideale di Francesco: Dio: un Dio vero; un Dio uomo; un Dio povero; un Dio giustizia; un Dio pace.

            Incominciai a frequentare la chiesa, diventai amico di coloro che prima consideravo nemici, e incominciai il mio percorso cristiano. Mi sentivo soddisfatto. La mia Messa la domenica, partecipavo alle feste patronali (quante volte ho portato sulle spalle, nella processione nella sua festa, la Madonna Ausiliatrice lungo le strade di Isola!). Questo vivere da cristiano mi pareva il massimo che potevo fare. Ero in regola con Dio (almeno così mi pareva). E sì, con quella mezz’oretta della Messa la domenica mi sentivo a posto, anche se la mia anima era sempre inquieta. Poi, un bel giorno, conobbi Chiara Lubich e il suo Ideale di Gesù. E capii che il mio vivere da cristiano non era proprio quello che Dio voleva da me. In fondo sì, frequentavo la chiesa, ma il mio vivere era esattamente come quello di coloro che non conoscono Dio. E fu allora che dissi di no a quel Dio della “mezz’oretta”.

            Leggo sempre con attenzione su “Il Sentiero” ciò che scrive l’anonima che si firma “un’assidua lettrice”; lei ribadisce più volte il concetto della incoerenza di tante persone che frequentano assiduamente la chiesa, ma ha scoperto che ora non pensa più agli altri ma ad essere coerente lei stessa. Ecco, tutto parte da questo. Ma per fare ciò bisogna riconvertirsi, spalancare veramente il nostro cuore a Gesù e farlo entrare nella nostra vita come Lui desidera.

E mentre prima sentivo quasi un obbligo andare a Messa la domenica perché così bisognava fare per essere buoni cristiani, ora non vedo l’ora che venga domenica per andarci, per incontrare le mie anime sorelle, per ascoltare la Parola di Dio tutti insieme col nostro parroco, per trascorrere quel momento che ci unisce e che ci fa Chiesa e, soprattutto, per ricevere Lui, vivo e vero nell’Eucaristia. Eccolo il Sole dell’avvenire! E’ Lui, è Gesù. E’ Lui la Luce, la gioia, la giustizia, la pace, la vera Vita.

Ora vedo il mondo con altri occhi e mi sembra più bello e soprattutto riesco a vedere in ogni mio prossimo un fratello da amare. E mi sembra la cosa più facile di questo mondo!

 

                                                                                             
 

  APPUNTI
di Walter


 
 

 

5 gennaio 2012

Nella chiesa del Preziosissimo Sangue, stasera, si tiene una recita dei bambini dell’oratorio “Don Capellini” che si concluderà con l’arrivo dei Re Magi.

            Non mi aspettavo una recita così ben fatta. Forse perché, ultimamente, avevo partecipato (con la corale “Cantus Firmus”) a due serate dove era prevista l’esibizione di gruppi di bambini che non mi avevano per niente entusiasmato: tanto esibizionismo, grida, testi non comprensibili… Stasera, invece, ho visto impegno serio, sobrietà, competenza, preparazione. Bravi, bravissimi i bambini, ma altrettanto bisogna dire dei giovani che li hanno preparati. Non so di preciso quanti fossero questi giovani, so che per preparare questo evento si sono impegnati con i bambini tutte le mattine nel periodo delle vacanze natalizie più, come al solito, i sabati pomeriggio; so che appartengono a diverse parrocchie e so, inoltre, che diversi di loro hanno partecipato alla GMG di Madrid e, infine, che quattro di loro sono già Donatori di sangue: quante belle qualità in questi giovani! Il resto della serata è raccontato in altra pagina da Vittoria.

 

Domenica 15 gennaio 2012

Oggi, nella chiesa di S. Lorenzo, la Santa Messa è celebrata da padre Mario. E’ arrivato venerdì da Cassino e appartiene alla Fraternità Missionaria di Maria. La nostra comunità parrocchiale è da un anno che lo aspettava, ma per diverse difficoltà burocratiche ciò non era avvenuto. Padre Mario sarà il nuovo Rettore del Santuario del Mirteto e parroco di San Lorenzo. Quando rientrerà dal Guatemala padre Victorio saranno quindi in tre i sacerdoti al Santuario: una bella fortuna per tutto il nostro territorio, vista la grave carenza di preti nella nostra diocesi. Certo, i tre Padri non saranno una presenza fissa al Santuario, poiché saranno impegnati nelle varie parrocchie a loro, affidate, inoltre padre Mario ricopre la carica di coordinatore della sua “Fraternità” in Italia per cui potrà essere impegnato sovente in visita alle altre comunità.

            Continuiamo a ringraziare il Signore di queste sante presenze e cerchiamo di essere loro vicini (anche impegnandoli) affinché non sentano troppo la nostalgia dei loro lontani Paesi.

 

                                                                                                         

 
 

  Tra un pieno e l’altro
di Un’assidua lettrice


 


25 gennaio 2011.

Questa mattina, dopo aver ricevuto la telefonata di mio figlio che mi avvisava che il distributore Shell  sull’Aurelia stava rifornendo benzina, mi sono precipitata a fare il pieno, prima con una bottiglia, poi con la macchina, perché, a causa della mia mala organizzazione, ieri sera sono arrivata a casa quasi completamente a secco, non trovando più un distributore ancora con benzina:  persone più oculate di me  avevano fatto il loro pieno sapendo delle agitazioni in atto. Insomma, grazie alla chiamata di mio figlio, ho potuto rimediare alla mia negligenza e non andrò a piedi.

            Devo premettere che stamani, appena alzata e dopo aver preso il caffè, ho fatto quello che sto facendo da un anno e mezzo: ho iniziato la giornata con il Vangelo (come ho già detto più volte per me è ora indispensabile, mi indica come, attraverso Gesù, dovrei vivere per fare la sua volontà). Aprendo a caso il Vangelo è venuto Luca 21, 34-38, quando Gesù esorta a “essere vigilanti”, a non essere pigri e a non dimenticare il Giorno del Giudizio. Poi l’ho chiuso e riaperto e sono andata a Matteo 21-33: la parabola “della vigna e dei contadini omicidi”.

            Mentre ritornavo a casa felice con la macchina piena di benzina, mi tornava alla mente quello che stamani presto il destino ha voluto che leggessi e ho iniziato a fare alcune riflessioni e arrivare così a scrivere queste righe a “Il Sentiero” e farvi così tutti partecipi del mio pensiero. Ho anche preso in mano il libro di padre Livio: “Tutti i messaggi di Medjugorie: 30 anni con la Regina della Pace” e mi sono riletta il messaggio del 25 gennaio 1999, che non sto a trascrivere, ma vi riferisco la riflessione di padre Livio: la Madonna indica chiaramente il motivo delle sue apparizioni sulla terra sempre più numerose nei tempi moderni; esse sono un segno dell’Amore di Dio, che tramite la Regina della Pace, invita il mondo alla conversione e alla salvezza.

            Facciamo tesoro del Vangelo e dei messaggi che Maria ci dà da trent’anni a Medjugorie; nessuno di noi sa fino a quando avremo questa grazia e opportunità . Quanto ci ama ed è misericordioso con noi, Dio! Ma ce ne rendiamo veramente conto? Gesù, a differenza di 2000 anni fa, da noi non pretende tanto: non dobbiamo subire il martirio come S. Stefano per far sapere che crediamo in Lui, vuole solo che con i fatti (Amore) proviamo a mettere in pratica ciò che ci ha insegnato con la sua venuta. Il Vangelo leggiamolo sempre, da soli o con altre persone, e meditiamolo: arriveremo a comprendere tante cose e a provare a mettere tutta la volontà per migliorarci sempre e arrivare così alla vera pace. Ne trarremo tanto beneficio per noi e per quanti ci circondano, come dice  il messaggio  del 25 giugno 1997: è l’essenza di tutto, per aprire quella Famosa Porta.

                                                                                                    

 

  Diario di un parrocchiano di Casano S.Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 
 

Martedì, 30.01.2012

            Walter mi stimola perché io scriva qualcosa su “Il Sentiero”; dico la verità che io oggi ne farei volentieri a meno. La mia rubrica da sempre l’ho presentata come “diario” e quindi dovrei parlare di avvenimenti da me vissuti. Non ho mai fatto prediche, mi sono sempre limitato a parlare di cose che ho vissuto, ma ora la mia partecipazione alle vicende della comunità è ridotta quasi a zero. Vado alla Santa Messa tutte le domeniche, alle ore 11, nella chiesa di San Giuseppe e non manco mai. Sto per compiere 90 anni (15 marzo) e posso affermare che nella mia vita non c’è mai stata una domenica senza Messa.

            Tutti i giorni passo un bel po’ di tempo con Radio Maria; raggiungere la nostra chiesa, a poche centinaia di metri, è già una fatica; quando arrivo in chiesa devo sedermi per riposarmi. Non mi costa fatica, invece, accendere la radio e seguire funzioni, conferenze, ecc a Radio Maria. Perciò sono molto pochi gli avvenimenti di cui  potrei scrivere su “Il Sentiero”. Voglio bene a tutti; se posso fare qualche buona azione la faccio volentieri, ma non posso parlare di incontri  se a questi non ho partecipato. Oggi purtroppo c’è un argomento del quale  posso parlare perché ho partecipato anch’io: il funerale della mamma di Tarcisio, la Anna.


Mercoledì, 11.01.2012

            Oggi, con mio cognato Enzo, sono salito a Ortonovo per partecipare al funerale della mamma di Tarcisio, una persona della quale ben poco sapevo sebbene Tarcisio sia il mio medico da tantissimi anni. Io avevo partecipato anche al funerale del padre di Tarcisio. Allora viaggiavo con la mia auto, non avevo bisogno di nessuno e a Ortonovo ci andavo con estrema facilità. Molto diversi questi due funerali e ricordo ancora benissimo quello del padre. Il funerale della madre si è fatto di pomeriggio e tutto il mondo era a Ortonovo. Per il padre invece il funerale è stato fatto al mattino. Ricordo che durante tutto il funerale Tarcisio era stato vicino alla bara del padre, nel presbiterio, molto vicino all’altare, quindi; sembrava un ragazzino. A volte certe immagini ti si fissano nella mente e non le dimentichi più. Per me quella di Tarcisio vicino a suo padre, serio, sempre in piedi è una di queste immagini.

            Oggi la chiesa è strapiena di fiori e di verde.


Domenica, 15.01.2012

            Alla fine della Santa Messa padre Onildo dà alcuni avvisi. Uno suscita il mio interesse: questa sera è in programma un incontro tra le persone che hanno partecipato a un pellegrinaggio a Medjugorie: si è trattato di un pellegrinaggio interparrocchiale che ha interessato parrocchie di Massa e della Lunigiana.  L’incontro si doveva svolgere al Santuario del Mirteto, ma il freddo di questi giorni ha indotto padre Onildo a spostare l’incontro nella nostra chiesa che può essere riscaldata senza grossi problemi. L’incontro inizierà alle ore 16: dato che si svolgerà nella nostra chiesa decido di parteciparvi anch’io.

 

                     
 

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