N° 9 - Novembre 2011
Storie dei lettori
  UNA DOMENICA A SAN GIUSEPPE
di Doretto


 


         Oggi, domenica, è passata a prendermi Francesca per andare a Messa a San Giuseppe. In chiesa ci sono tutte le mie care amiche e ci accomodiamo tutti vicini. La Ottavia mi invita a leggere un brano della Lettera di San Paolo ai Corinti (è molto forte); poi padre Onildo legge il Vangelo e lo commenta. Gesù, oggi, ci invita a porgere l’altra guancia a chi ci percuote, ad amare tutti, ma soprattutto i nostri nemici. Il celebrante ci spiega che anche noi dobbiamo fare così; ci dice che con la violenza non si ottiene nulla, mentre con l’amore si vince tutto.

Ora succede che queste parole risvegliano in me un tarlo che mi rode da sempre: io ho lavorato tutta la vita a costruire cannoni e carri armati tra i più belli al mondo, e mi sono sempre chiesto se questo era giusto, se ero coerente con la parola di Gesù. Quando veniva il Vescovo in fabbrica a celebrare la Santa Messa, in occasione della Santa Pasqua, io gli facevo da chierichetto in tuta e, alla preghiera dei fedeli (preparata da noi) chiedevamo a Gesù di accettare il frutto del nostro lavoro affinché questo servisse solo a salvaguardia della pace. Poi pensavo: “Ma se Hitler non l’avessimo fermato con le armi, come avremmo potuto fermarlo?”... Ma, nonostante tutto, questo tarlo continuava a rodermi.

Tutti questi pensieri erano nel mio cuore dopo l’omelia e prima della distribuzione dell’Eucaristia. Come potevo avvicinarmi a Gesù con dentro al cuore questa angoscia? Ero agitato.  Pensavo: “No, non posso nutrirmi di Te in questo stato”. Ma la solita ‘vocina’ ecco che mi dice: “Sii forte, non cedere alla tentazione! Vieni da me, non cedere, fidati!”. E al momento della distribuzione dell’ostia consacrata mi avvicino e, nel momento che sto per ricevere Gesù, padre Onildo mi dice: “Il Corpo di Cristo, Doretto!”. Proprio così, mi chiama per nome  assieme al Corpo di Cristo! Mai, nella mia lunga vita, era  successo! Sono rimasto allibito. Torno al mio posto, sono visibilmente commosso. La mia vicina di posto se ne accorge e allora le racconto cosa mi è accaduto. Gesù mi aveva risposto! Ancora una volta ho capito quanto Gesù ci ama!

            Coraggio, andiamo avanti.

                                                                                           

 
 

  Attualità
di Antonio Ratti


 
                               

Quando Gesù deve proporre un concetto di rilevante importanza, tale da dover rimanere inciso nella nostra mente, ci ha abituato alle sue espressioni sibilline per sintesi, uniche per chiarezza, inconfondibili nello spingerci nel “pensatoio”. Esempio eclatante è l’arcinota frase, ascoltata nel Vangelo di qualche settimana addietro, “Date a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio.”  Pensavano di metterlo in difficoltà e in difficoltà sono andati i farisei e i loro emissari, mentre, oggi, ci andiamo noi.

Le Istituzioni parlano di crisi di sé medesime e del sistema, la Gerarchia di decadimento vistoso della fede, tanto che il santo Padre indice per il 2012 l’Anno della fede: che significa tutto ciò se non la debacle globale dell’uomo inadempiente nei doveri  verso la società in cui si muove e nei confronti della sua interiorità che ha soppresso l’umano bisogno di chiedersi “chi sono e “perché sono? ”  “Date a Cesare ecc.” sembra un uovo di giornata per la freschezza della sua attualità.

Senza tanti giri di parole, l’uomo moderno si comporta come chi ha rimosso, perché lo ritiene inutile, il bisogno di credere e di agire in sequenza; ovviamente, fa comodo perseguire l’opportunismo, il personalismo più sfrenato, il fine che giustifica i mezzi, pur di arrivare al potere, al denaro, all’abiura di ogni ragionevole freno.

Così si dimenticano i valori che contano per cercare le scorciatoie, si evade il fisco, si gabellano le Istituzioni, ci si serve pesantemente di loro ( vedi la politica), cioè, si buttano al vento traditore le regole, mettendo in crisi e a rischio il tessuto sociale. Il risultato finale è davanti ai nostri occhi.

Vuoi essere un cittadino corretto e un credente accettabile? Dai a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di Dio. In parole povere, non abusare della collettività che ti ha accolto e non omettere di dire “grazie” a Dio per il tuo essere cittadino del mondo e, potenzialmente, se lo vuoi, del cielo.             

            

  IL TEMPO
di Marta


 
 

 

            La prateria incominciava a mescolarsi con la foresta. Vi erano spazi aperti come campi di grano che terminavano bruscamente contro una collina oppure erano circondati da alberi ad alto fusto. Le colline sporgevano nude e brune dalla vegetazione; un territorio ampio e placido si stendeva verso distanze smisurate non deturpate dai ‘graffi’ dell’uomo.

            Tranquillo, dignitoso nella sua immensità, lo spazio era invaso dalla luce del sole e dal vento e dall’erba che, però, non bastavano a riempirlo. E c’era anche il Tempo. Era lì che incominciava il tempo: come un fiume tranquillo che si muoveva senza modificarsi nel suo movimento. Vi si poteva attingere quanto si voleva, ma sarebbe rimasto intatto. Le stagioni gli davano la misura ma senza limitarlo, dal momento che l’estate in quel momento stava ritirandosi cedendo il passo all’autunno. Era la stessa estate che aveva fiammeggiato mille anni prima e avrebbe fiammeggiato per mille anni ancora. Al cospetto di tanto spazio e tempo qualsiasi sforzo era banale.

Questo paesaggio ricco, inimmaginabile, di colori e sensazioni forti lasciava correre l’immaginazione al limite del confine. Ma, ahimé! Irraggiungibile a occhio nudo, ad un certo punto dopo un tratto di strada, accanto a una dura rampa, una cascata formata dal fiume: era piuttosto alta e bianca di spuma; gettava una fitta nebbia di goccioline sulla strada facendovi crescere del muschio verdissimo; più sotto, a valle, la strada si mostrava secca e rugosa come la schiena di un coccodrillo che però la stagione delle piogge avrebbe ben presto ammorbidito portando nuova linfa e nuovo vigore.

Continuando con lo sguardo non si riusciva ad avere la cognizione del tempo; gli occhi si beavano della bellezza della natura così primitiva, così intatta, così meravigliosa; non ci si accorgeva se fosse passato solo un’ora o cento anni. L’animo era lo stesso, rimaneva soltanto la percezione dell’essere, di udire, di vedere: di esistere.

                                                                                                                  
 

  UN MONDO AL TRAMONTO
di Carlo Lorenzini


 
 

E noi ragazzi ci divertivamo anche quando in casa veniva la materassaia, che era una donna, me la ricordo la nostra, seria e controllata, che non rideva mai; e questo suo mestiere, che per lei era una cosa importante, un rito, per noi era motivo di gioco di passatempo.

            La grande decisione di rifare i materassi veniva presa nella stagione buona, tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate, nel periodo dell’anno tradizionalmente dedicato alle grandi pulizie. Allora tutta la casa si metteva in agitazione: i contatti con la materassaia; i reciproci accordi; il disfacimento dei vecchi materassi; la discussione sullo stato delle fodere e della lana: quali fodere usare ancora e quali sostituire con altre nuove; se la lana era ancora adatta per essere usata...; quindi la lavatura e l’asciugatura delle fodere; la lavatura, l’asciugatura e la cardatura della lana (noi dicevamo ‘allargatura’); operazioni alle quali partecipava tutta la famiglia, noi ragazzi compresi; i quali alla sera a veglia, anche noi avevamo il nostro penso di lana da ‘allargare’ e da rendere soffice ed aerea, come la trasparenza delle nubi che erano in cielo in quei giorni di primavera quasi estate. Poi la lana era pronta per ridiventare materasso.

            A questo punto con l’autorevole forza della sua professionalità, interveniva la materassaia. La quale esigeva considerazione e rispetto. Era lei l’esperta del materasso. Era lei che da appiattito e squilibrato, con gobbe e avvallamenti, lo riportava alla morbidezza e all’armonia di nuovo. Era lei con la sua competenza. Chi non ha visto una brava materassaia all’opera, non ha visto la perizia di un chirurgo, la sicurezza di un geometra, l’arte e il gusto di un architetto nell’esercizio delle loro funzioni. Con alcuni sapienti tocchi delle sue mani lungo i quattro lati di sopra e di sotto e qua e là nell’area del ripiano, ad adeguarne le gibbosità e le infossature, quel saccone informe e pieno di lana ridiventava subito materasso, morbido e armoniosamente equilibrato. Pronto per essere modellato e rifinito nelle varie sue parti. A questo punto la materassaia, inginocchiata in religiosa attitudine di fronte all’oggetto della sua manipolazione, che era steso sul pavimento sopra un lenzuolo, lavorava di ago, di filo, di mani,  e di sapienza artistica, in meditabondo silenzio; ed ogni tanto si alzava sul busto a contemplare, nel complesso, l’armoniosità del suo lavoro: la lineare eleganza della cresta attorno; la giusta simmetria degli avvallamenti nel ripiano, atti a mantenere uniformemente distribuita la quantità di lana nell’interno; la giusta armonia dei colori dei vari salvabuchi, per dare al tutto un tocco di freschezza primaverile. Poi il materasso era terminato. E allora la sospensione era passata. Ora si poteva parlare a voce alta. Si poteva esprimere la nostra meraviglia; si potevano tributare i nostri elogi e ripercorrere le varie tappe del lavoro.

            Ecco dall’arte delle sue mani era uscito un materasso così nuovo e così elegante e così compatto, che addirittura per le prime sere era disagevole dormirci sopra. Fino a quando non si fosse adattato alla linea del nostro corpo, per avvolgerlo ogni notte nel morbido e caldo suo abbraccio, conciliatore di profondi sonni e di piacevoli sogni.

 Poi, però, ci furono i materassi a molla…
           
 
 

  RINGRAZIAMO DIO
di Paola G. Vitale


 
 

 

            Ringraziamo Dio, ma anche il nostro vescovo Francesco e la nostra Diocesi, che, procurando il nuovo Parroco a Fiumaretta, hanno affidato a lui anche la parrocchia di Luni Mare, che appartiene sempre al vicariato di Luni. All’emozionante cerimonia, festosamente preparata nella parrocchia di S. Isidoro in Fiumaretta, ho notato la bella spirituale preparazione, frutto dell’amorevole cura di padre Marco, carmelitano, priore del monastero Santa Croce; cura che si è svolta per oltre un anno, in attesa del nuovo parroco, don Roberto Poletti.

            Noi siamo stati privati di don Andrea al quale è stata assegnata anche la parrocchia del Preziosissimo Sangue di Luni, vacante dopo la morte di don Lodovico. Abbiamo accolto con amore il giovane don Roberto che, proprio ieri, alla sua prima Messa in Luni Mare e Fiumaretta, festeggiava il settimo anno di sacerdozio. Devo però confessare di avere nel cuore un po’ di malinconia per il brusco passaggio; malinconia che l’amabile don Roberto ci sta già facendo smaltire. Insomma, affrontiamo con nuova forza e con la benedizione del nostro Vescovo il nuovo Anno Pastorale che ci vorrà vedere più autentici, più coraggiosi, più uniti.

            Colgo l’occasione per elogiare e ringraziare il coro “Cantus Firmus” di Ortonovo che ha reso tanto bella l’affollata Santa Messa del mandato, nella cattedrale di Cristo Re. Insomma, avanti, con la gioia nel cuore, senza timore e con tanta fiducia nel Signore.

 

                        Luni Mare, 10 ottobre 2011                                              

 

 
 

  ‘L BEN DI MORT
di Romano Parodi


 
 

 

 

L’infanzia finisce quando capisci che un giorno dovrai morire.

Non so che anno era, ma so che io l’ho scoperto il 2 novembre. Negli anni trenta il giorno dei morti era, soprattutto per noi ragazzi, un giorno di sofferenze: sveglia alle quattro del mattino e tutti a Messa. Ma prima di uscire da casa c’era una serie di riti inderogabili: lasciare la casa in perfetto ordine per l’arrivo dei propri defunti, rifare il letto, imbandire la tavola con cibi adatti e lasciare la porta aperta. La castagna e i suoi derivati, come le frittelle, il castagnaccio, la bruschina (polentina di farina di castagne da mettere nel latte bollente, oppure bollente nel latte freddo, per la prima colazione), erano il pane dei morti.

 Ai miei tempi non usava già più, ma nel passato c’era l’usanza di mettere al collo di vecchi e piccini una “sfilza di baloti” o di fave secche. Praticamente era un rito come dare l’olio santo agli infermi. Vecchi e piccini erano considerati a rischio (la mortalità infantile un tempo era molto elevata); ma, attenzione, dice don Bernardo Scusa: “Anch’io, tanti anni fa,  ho preso l’olio santo e come vedete la mia salute è ottima”. La sfilza rappresentava la corona del rosario, ogni dieci baloti mettevano una fava o viceversa. Nel carrarese ogni dieci baloti mettevano anche una mela. Quindi il significato è chiaro: affidavano alla Madonna del Rosario vecchi e piccini.

            I morti tornano per dissetarsi, nutrirsi e riposarsi, si diceva. “Entrano, ansimano muti.. ! Si fermano seduti la notte, intorno a quel bianco. Stanno lì sino a domani col capo tra le mani, senza che nulla si senta sotto la lampada spenta” (da ‘La tovaglia bianca’ di G. Pascoli).

            La chiesa era un vero incubo. Un enorme catafalco nero pieno di teschi era al centro della navata centrale, ma la cosa che più mi spaventava era l’interminabile orazione funebre. Ancora tutti assonnati si doveva restare fermi sulla panca per quattro ore. Molti ragazzi si addormentavano. Finita la Messa e i canti d’ Carlin d’ Copina, poi tutti a Saroko (al cimitero) a gironzolare fra le tombe. Il cimitero, anche allora, era tutto in fiore: le tombe lucide e ordinate e, a differenza di oggi, quei nomi scritti sulle croci o sulle lapidi mi erano sconosciuti; oggi invece li conosco tutti, dal primo all’ultimo: la cara Anna, Giovanni, Graziano; scomparsi da pochi giorni e che ricordo con tanto affetto, e il rammarico di non averli potuti accompagnare nel loro ultimo viaggio terreno.

            La grande curiosità, però, era appurare se la casa era stata visitata. E non era raro che qualcheduno trovasse il letto sfatto e il cibo sparito dalla tavola. Dobbiamo dire però, che, a quei tempi, anche i vivi avevano molta fame e, ...con la porta aperta….

            A mezzogiorno tutti dal prete, a prendere ‘l ben di morti. Un mestolo di fagioli della “Fontana” (i migliori) cotti nel brodo di cotenna, scuri, buonissimi; tanto da litigare per poterne riavere una seconda porzione. Generalmente ne davano un mestolo per ogni membro della famiglia e quindi chi viveva in una famiglia numerosa ne portava a casa una pentola piena e io ne avevo un po’ d’invidia. Ma per tutti, specie nel carrarese, il bene dei morti consisteva nel fare opere di carità come quella di dar da mangiare ai poveri e ai “barboni”, sempre in suffragio dei nostri cari defunti.

                                     

                                                                                  
 


Clicca sulla foto per ingrandirla
  Lettera al "Sentiero"
di Mila


 
 

Caro Sentiero,

anche in questo mese di ottobre sono successe tante cose:  per il pellegrinaggio del 1° sabato del mese siamo andati a Bobbio dove, nella Cattedrale di S. Maria Assunta, si trovano le spoglie mortali di Antonio Maria Gianelli, il Santo della Val di Vara. È stato un pellegrinaggio che ha unito lo spirituale al gioioso infatti,  dopo  il Rosario lungo una via di Bobbio e la Santa Messa in cattedrale presieduta dal nostro vescovo Francesco, siamo andati a Grazzano Visconti, un villaggio in stile medievale che,  anche se ricostruito in tempi recenti, e quindi non autentico originale, valeva la pena di visitare.

Ho letto su Wikipedia, l'enciclopedia libera di internet, la biografia di Sant'Antonio Maria Gianelli. Non si parla di miracoli, anche se ad un certo punto dice: ”I fedeli gli attribuiscono alcuni miracoli”. Si parla soprattutto della sua vita esemplare al servizio della Chiesa, dei suoi studi: lo studiare per poi poter trasmettere agli altri. La sua predicazione, la fondazione di numerose Accademie, congregazioni, scuole, per l'aiuto e l'educazione dei più indigenti ma anche agli altri, l'educazione, la conoscenza, il sapere, questo ha cercato di trasmettere il Santo della Val di Vara. Peccato che al giorno d'oggi queste tre parole non sono molto in uso, soprattutto per quel che riguarda la Conoscenza delle Cose di Dio. Mi sembra ci sia una gran confusione, comunque sono molto grata ai ”pellegrinaggi del 1° sabato” per avermi fatto conoscere questo Santo del quale sapevo veramente poco.

Poi un avvenimento molto importante, imprevisto e anche scioccante per noi parrocchiani di Luni Mare, è stato il cambiamento del parroco. Don Andrea Santini che era con noi da undici anni è stato designato alle parrocchie di Caffagiola e Isola e da noi è arrivato don Roberto Poletti che curerà la nostra parrocchia e quella di Fiumaretta. Che dire! Personalmente mi dispiace molto non aver più don Andrea come parroco ma penso che  il Vescovo avrà avuto le sue buone ragioni nel fare questi cambiamenti. Don Roberto è con noi ormai da tre settimane e mi sembra che ci siamo subito amalgamati bene. Domenica, 30 ottobre, verrà S. E. il Vescovo a presentarlo ufficialmente ai parrocchiani e faremo anche festa per l'inizio anno catechistico, credo sarà veramente una bella giornata.

                                                                                    

 

 

  Diario di un parrocchiano di Casano- San Giuseppe
di Giuseppe Franciosi


 
 

Domenica, 09.10.2011.

            Oggi, nella parrocchia di Casano -

S. Martino si celebra la festa della Madonna della Salute: si celebra nella chiesa di S. Martino. Gli orari sono spostati: alle 11 Santa Messa  nella chiesa di S. Martino, alle 9,30 Santa Messa in quella di S. Giuseppe. Per me, che da tempo ormai viaggio col bastone, andare a piedi a S. Martino è un’impresa e allora fortunatamente mio figlio, prima di partire per Quarazzana, dove con la Barbara ha in programma di andare a raccogliere le mele prima che incominci il cattivo tempo (quest’anno sono belle e il cattivo tempo ne comprometterebbe la riuscita), mi accompagna a S. Martino con la sua auto. Oggi per noi di S. Martino è festa, ma è domenica e quindi tutti i Parroci sono impegnati nelle loro parrocchie e così padre Onildo si trova all’altare da solo. Per questa festa è una tradizione la processione: a volte al mattino, a volte di pomeriggio. Quest’anno, come anche negli ultimi anni, l’abbiamo fatta al termine della Santa Messa delle ore 11: si tratta della “piccola processione” perché, per non creare difficoltà al traffico stradale, evitiamo tutte le strade importanti e andiamo al “forno” (una volta c’era davvero il “forno”, ma ormai da moltissimi anni il “forno” non c’è più: è rimasto solo il nome a questa non importante località; solo noi molto anziani conserviamo questo ricordo. Io mi pongo una domanda: ha un senso fare la processione in un luogo dove vai perché sai che non vi abita nessuno (o quasi) e dove non incontrerai nessuno? Comunque padre Onildo è riuscito a rimanere in collegamento, almeno fra noi partecipanti, con un altoparlante. Per me al termine della processione c’è stata una bella sorpresa: ho incontrato una signora che da tanto tempo non vedevo e che è stata per tanti anni bidella della Scuola Media di Ortonovo dove io sono stato Preside per 25 anni. Ci siamo abbracciati e baciati calorosamente. A scuola lei stava abitualmente all’ingresso e salutava cordialmente tutte le persone che arrivavano; per me aveva sempre qualche sorpresa e il caffè dolce e caldo non mancava mai.

Domenica, 23.10.2011.

            Oggi si celebra la 84^ Giornata Missionaria Mondiale. Consapevoli che l’impegno missionario è ancora necessario e urgente oggi eleviamo la nostra preghiera al Padre Celeste perché ci dia la luce e la forza per adempiere la nostra missione. Preghiamo per gli uomini impegnati nelle diverse mansioni della vita sociale: possano portare la luce del Vangelo nel campo della cultura, del pensiero, dell’arte, dell’educazione, della politica, dell’economia.

                        

                                          
 

<-Indietro
 I nostri poeti
 Storie dei lettori
 Spiritualità
 I nostri ragazzi
 La redazione
 Galleria Foto
 E Mail
Lunae Photo
Archivio
2022
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2021
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Settembre-Ottobre
n°6 Giugno/Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2020
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°6 Settembre-Ottobre
n°5 Giugno
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2019
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2018
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2017
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Settembre
n°7 Luglio-Agosto
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2016
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2015
n°11 Dicembre
n°10 Novembre
n°9 Ottobre
n°8 Agosto-Settembre
n°7 Luglio
n°6 Giugno
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2014
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2013
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2012
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2011
n°11 Dicembre
n°10 Numero speciale
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2010
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
2009
n°11 Edizione speciale
n°10 Dicembre
n°9 Novembre
n°8 Ottobre
n°7 Agosto-Settembre
n°6 Giugno-Luglio
n°5 Maggio
n°4 Aprile
n°3 Marzo
n°2 Febbraio
n°1 Gennaio
 
     
 Copyright 2009 © - Il Sentiero. Bollettino Interparrocchiale di Ortonovo (SP) Crediti