|
|
|
Cristo e le donne
di Romano Parodi
Nel suo insegnamento, Cristo rifiutò, in modo radicale e senza timore, le ingiustizie della società. Chi deteneva il potere, soprattutto i rabbini, se ne accorse presto, e vide in lui un pericoloso sovversivo. Fra i suoi atteggiamenti eversivi ci fu anche il suo modo di comportarsi con le donne. In una società ferocemente maschilista, che opprimeva le donne in mille modi, egli manifestò sempre e apertamente di non fare distinzioni. Fu il primo a insegnare che uomini e donne, sono simili di fronte a Dio. Perché quest’aspetto dell’insegnamento di Cristo è stato, anche in seguito, anche nella Chiesa, letteralmente dimenticato? La risposta è semplice: solo negli ultimi anni le donne hanno acquistato una parvenza di parità. Anche San Paolo nella prima lettera ai Corinzi scriveva: “…Le donne tacciano nelle assemblee perché non è permesso loro di prendere la parola; se vogliono istruirsi interroghino a casa i loro mariti...”
In Palestina le donne erano tenute in una condizione di netta inferiorità, anche nei confronti della religione: “…meglio sarebbe bruciare tutte le parole della Torah piuttosto che darle in mano a una donna” - “Sia benedetto l’Eterno che non mi ha creato donna… “ pregavano i Giudei. Anche nelle preghiere pubblica le donne erano emarginate, erano parificate ai bambini e agli schiavi: dovevano restare sempre zitte. Un Rabbino riteneva indegno e disonorante rivolgere la parola “a” una donna. Si diceva: “La nascita di un bambino porta felicità nella casa. La nascita di una femmina porta tristezza”. Le donne, giovani e adulte, raramente uscivano da casa, se non per andare al pozzo, e nessun uomo rivolgeva loro la parola: era un’umiliazione.
Tutto ciò lascia capire l’antipatia nei confronti di Gesù che, prima ancora di essere accusato come bestemmiatore perché: ”Si faceva simile a Dio”, era considerato uno che minava alle radici l’ordine costituito. Gesù insegna il Vangelo anche alle donne, assurdo. Per gli ebrei ciò rappresentava un’oscenità. E c’è di più: alcune diventano sue discepole, e lo seguono ovunque. Scrive Marco (15,40) “Camminando attraverso città e villaggi, predicando e annunciando la buona novella, i dodici lo accompagnavano, e li accompagnavano anche alcune donne” *.
Gesù ha rotto deliberatamente con queste discriminazioni verso le donne. Deliberatamente le ha elevate dal rango di schiave al rango di elette del Signore. Dopo la sua Risurrezione, deliberatamente è apparso a delle donne. A loro ha affidato l’incarico di rendere testimonianza della sua Risurrezione, ben sapendo che le donne non potevano, per legge, testimoniare: tanto che i Dodici, in un primo momento rifiutarono di ascoltarle. Era evidente che Gesù sapesse di questa norma giuridica. Si tratta chiaramente di un legame drammatico fra questa norma giuridica e il momento più importante del suo Evangelo: la Risurrezione. Gesù lega questi due punti come a voler accusare la miopia intellettuale della società del tempo.
Ma purtroppo anche oggi le donne sono estromesse da alcune pratiche religiose.
*La vita e le opere di Gesù costituiscono una storia affascinante per tutti. Non c’è bisogno di credere per imparare a conoscerle con passione e interesse. “Le verità rivelate”, pur se in forma discorde fra i suoi discepoli, “hanno raggiunto i confini del mondo” (Tommaso andò anche in India). Naturalmente ogni discepolo aveva i suoi seguaci, e così si formarono diverse scuole. Le più note furono quelle di Valentino (della verità), di Matteo (ebioniti), di Tommaso, di Filippo, di Giuda. (I seguaci di Giuda, Sant’Ireneo li chiamava cainiti). Poi i padri della Chiesa: gli eresiologi (il più grande cacciatore di eresie fu, appunto, Sant’Ireneo) scelsero di fare del Vangelo “Quadriforme” (di Giovanni, di Matteo, di Marco, discepolo di Pietro e di Luca, discepolo di Paolo) le fondamenta per una chiesa universale che sfrondasse da ogni altra interpretazione. Tutti gli altri vangeli, detti gnostici (della conoscenza), piano piano furono perseguiti e distrutti. Se ne leggeva solo il nome negli antichi testi. Ma nel 1945 ad Ag Hammadi nell’Alto Egitto fu trovata una giara piena di 52, di questi vangeli (Atanasio vescovo di Alessandria, nel 367, ne aveva ordinato la distruzione ai monaci di un convento; ma questi, invece, li sigillarono in una pesante giara di tre metri e la interrarono su un colle vicino dove furono ritrovati 1600 anni dopo). Erano di: Giacomo, Nicodemo, Filippo, Tommaso, Andrea, Timoteo, Valentino, Maria Maddalena, Maria di Magdala, Pietro, Giovanni il minore e tanti altri; e, nel 1978, sempre in Egitto, la scoperta più sensazionale del XX secolo: il vangelo di Giuda: molto rovinato e solo parzialmente recuperato. Molti seguaci di Gesù, quindi, illuminati dallo Spirito della Sapienza, avevano scritto un proprio vangelo. Anzi, l’avevano predicato, e qualche scriba l’aveva trascritto; perché tutti o quasi: apostoli e seguaci, erano analfabeti. Il Vangelo di Giuda, l’ho letto ed è molto, molto interessante.
|
|
|
|
|
|
|
MAGÌA E LA STREGA
di Maria Giovanna Perroni L orenzini
Incontriamo Magìa quando ancora non si chiamava così; e non aveva nessun nome. Era una graziosissima micetta persiana, non di pura razza, tutta nera e col pelo piuttosto lungo. Aveva gli occhi un poco verdastri. Mamma gatta si dava da fare ad accudire ai tre cuccioli; ma la sua padrona sospirava, perché non voleva tutti quei gatti e cercava intorno chi fosse disposto a prendersene qualcuno. Così non le sembrò vero quando una bimba straniera dei quartieri alti, che passava per caso col suo babbo, s'incapricciò della cucciolina tutta nera e volle portarsela a casa, nonostante che il genitore, un importante funzionario del Consolato Francese, non fosse troppo convinto della cosa. La mamma poi, all'arrivo improvviso della gattina, protestò molto e fece presente alla figlia la difficoltà di portarsi dietro l'animale, nel caso assai probabile che il babbo fosse trasferito in un altro paese. Ma la bambina chiese di poter tenere il gatto fino a quel momento; e, viziata e coccolata com'era, la spuntò. E, siccome le era stata appena narrata una storia in cui la protagonista si chiamava Magìa, volle dare questo nome alla micina.
E Magìa, subito sterilizzata, vaccinata, lavata, spazzolata e profumata, divenne la compagna di giochi della bimba; ed ebbe una vita comoda e felice: mangiava bocconcini prelibati, dormiva in una morbida cuccia, aveva inoltre a disposizione tutti i cuscini che voleva e giocava in continuazione. La padroncina dapprima le volle molto bene. Ma, si sa, i bambini cambiano facilmente parere. E, ben presto, nuovi trastulli la distrassero. E poi la gattina non era del tutto arrendevole. Così la bimba giocava sempre meno con la bestiola. Ma Magìa non se ne preoccupava: aveva a disposizione un bel giardino ove trovava mille distrazioni; faceva lunghe dormite e riceveva ogni tanto qualche carezza dalla bimba. Non desiderava di più. Né si accorgeva che i genitori della padroncina non le erano affezionati e che i domestici poi la tolleravano a mala pena.
Intanto cresceva e si faceva grande e grossa; e diventava sempre più nera. E un bel giorno, che per la micia fu un brutto giorno, il funzionario ebbe la promozione desiderata; che però comportava il trasferimento in un'altra nazione. La famiglia si preparò a partire. Di Magìa non si discusse nemmeno. Anche la bimba accettò di lasciarla. Paga del fatto che i genitori le avevano promesso un cagnolino, da portare a spasso nel nuovo paese; e, inoltre, le avevano assicurato che Magìa sarebbe stata collocata presso un loro domestico. Ma nessuno voleva una gatta nera e per di più enorme. Anche se non era propriamente grassa; ma aveva una corporatura gigantesca e il pelo lungo, e un po' ispido per un animale della sua specie, che le stava ritto tutto intorno e la faceva sembrare ancor più grande e paurosa. E poi il nero, dicono, in un gatto porta male. Per cui, tutti inorridivano a sentirsi proporre di prendersela.
E così i padroni si rassegnarono ad abbandonarla. Il giorno della partenza, infatti, un domestico la prese senza tante cerimonie, la chiuse in una gabbia, la mise nell'automobile e la portò lontano, alla periferia della città. E qui la buttò fuori dalla gabbia e si allontanò. Magìa rimase parecchio tempo a tremare, miagolando, ogni tanto, flebilmente. Poi si mosse per tornare dalla sua padroncina. Ma non ci riuscì: era stata allevata in una villa con un giardino dalle sbarre alte e puntute; e non ne era uscita mai. Il suo senso dell'orientamento non era quindi sviluppato: quel dono animale che talvolta agli uomini sembra una magica virtù, lei non lo aveva, non lo sentiva. Povera Magìa, senza la sua magìa! E poi le macchine, le moto, le biciclette, tutto quel disordine e tutto quel rumore la spaventavano, la confondevano. Fu un miracolo che, ogni volta, nei suoi timidi tentativi, non fosse travolta. E qui l'aiutò il fatto di essere un gatto nero. Chi, alla guida di un mezzo, la vedeva per tempo, si fermava. Qualcuno tornava addirittura indietro. Altri la minacciavano col pugno. Tutti le volevano male. Nessuno la soccorreva. Magìa dapprima provò a chiedere aiuto ai pedoni che incontrava, miagolando, avvicinandosi e strusciandosi alle loro gambe. Ma invano. Anzi prese pure qualche calcio. Così smise, anche perché le forze le venivano meno. Aveva soprattutto sete. E non sapeva nemmeno più pensare alla sua morbida cuccia, alle carezze, ai manicaretti che aveva perduto. Il dolore, ora, era soprattutto fisico. La notte si rintanava dove poteva e la mattina riprendeva a vagabondare. Non ce la faceva più. Era ormai completamente ricoperta di polvere d'asfalto; e quasi non ci vedeva dagli occhi che pur teneva sbarrati per la paura e per la fame.
Così, un giorno, nel suo vagabondare, non si accorse che una donna la stava ad osservare dalla soglia di una casa. Solo quando si vide davanti un piattino di latte, Magìa ebbe la forza di berne un poco. Poi si abbandonò contro quella porta.
Quando si svegliò, seguì la donna dentro la casa. Non ne fu respinta. Che casa, comunque! Quant'era diversa da quella cui era abituata! Consisteva in una sola stanza, umida e fredda, praticamente una cantina, al seminterrato di un vecchissimo caseggiato popolare. Gli arredi non erano che un pagliericcio, un tavolo e due sedie. E Magìa (ma ormai non dovremmo più chiamarla così, perché la nuova padrona non seppe mai il vero nome della gatta e mai si curò di dargliene un altro), per dormire, poteva contare soltanto su una sedia sgangherata; e, per mangiare, le toccava unicamente un poco di pane e latte di cui si privava la sua nuova padrona. E che padrona! Una donna allampanata, magrissima, scarmigliata, con due occhiacci da gufo nelle orbite nere, e quasi senza denti. Vestita poi di conseguenza. Anch'essa ormai senza nome, veniva da tutti chiamata ‘la Strega’. Certo per l'arte che praticava: faceva l'indovina; prevedeva il futuro, leggendo la mano e interpretando i sogni e le carte. Talvolta dava anche qualche ricetta per curare certi disturbi. Ma i suoi clienti erano pochi e tutti miseri come lei. Quindi, gli scarsi guadagni le permettevano a stento di comprarsi quel poco di pane e latte con cui sostentava la propria vita. E il misero sussidio che le passava il Comune le andava tutto per l'affitto.
Questo aveva trovato Magìa; e di questo doveva contentarsi.
(continua nel prossimo numero)
|
|
|
|
|
|
|
RIFLESSIONI DI UN LETTORE
di Doretto
23 Gennaio 2011- Settantacinque anni fa mia madre mi diede alla luce in quel di Isola. Poi la luce del Battesimo la ricevetti nella chiesa di Nicola da don Cipollini.
Oggi è domenica, come non festeggiare questo giorno se non andando a Messa per ringraziare il Signore? Mi viene a prendere la Francesca, Andiamo su a Casano - San Giuseppe da padre Onildo. Incontriamo la Ottavia e la Federica. La Fé mi dice: “Andiamo a leggere io e te le prime letture”. Ho imparato a non dire più niente (penso: anche questa è volontà di Dio). “Va bene, andiamo insieme”, rispondo (abbiamo imparato ad avvicinarci all’ambone insieme per farci maggiore “unità” nel leggere la Parola di Dio. E’ molto bello!). Poi, al momento dell’offertorio le dico: “Sai, Fé, oggi è il mio compleanno: voglio offrire a Gesù i miei 75 anni, glieli offro tutti, così come sono stati: belli e brutti; ma soprattutto voglio offrirgli quelli che mi restano da vivere: che siano come Lui ha progettato, secondo la Sua volontà e non la mia. Affinché si realizzi il disegno che ha su di noi”.
Questa mattina su TV 2000 ho assistito alla Santa Messa; all’omelia il sacerdote ha detto che il mondo, e soprattutto l’Europa, ritroverà la sua origine cristiana non più basandosi su singoli santi, ma su una comunità di santi! Fa parte delle profezie di Fatima. Ecco, dobbiamo farci santi insieme! Ecco il disegno di Dio su di noi, su ciascuno di noi: farci santi insieme, a cominciare da quelli che la domenica frequentano la Santa Messa, e soprattutto quelli che si nutrono del Corpo di Gesù, proprio di Lui, in carne e sangue. Dovremmo essere altri Gesù nel mondo, nel nostro piccolo, nella vita quotidiana, in famiglia, al bar, allo stadio, ovunque. E Gesù ci ha insegnato come fare: amando come Lui ci ha amato.
Padre Onildo ci benedice e usciamo dalla chiesa. Come al solito ci fermiamo sul piazzale antistante per salutarci confidandoci le nostre impressioni… A un certo punto la Federica dice ai presenti: “Oggi è il compleanno di Doretto, facciamogli un applauso!”. E, improvviso, scoppia un fragoroso applauso che mi ha messo in serio imbarazzo ma che mi ha commosso fino alle lacrime. Ma non per me, egoisticamente parlando, ma perché mi sono reso conto che in quell’applauso c’era AMORE, quell’amore che circola tra di noi quando stiamo insieme e che è la prova che Lui, come ci ha promesso, dove c’è AMORE, lì c’è Lui! Ed è gioia: è già anticipo del Paradiso.
|
|
|
|
|
|
|
Un ricordo di Pierluigi Pedroni.
di Giuseppe Pedroni
Nel film “Il Divo” di Sorrentino c'è una scena particolarmente interessante. Cossiga si stupisce del profondo rammarico di Andreotti per la sua rimozione dalla presidenza di un istituto culturale in seguito all'imputazione che avrebbe portato al processo di Palermo e che gli costò niente meno che la presidenza della Repubblica. Allo stupore del compagno di partito Andreotti replica affermando che per lui la legittimazione culturale ha prevalso sempre su tutto “Ho sempre preferito che di me si pensasse che sono un uomo colto piuttosto che un grande statista”.
Il giudizio complessivo sulla figura di Andreotti è stato di quelli sui quali io e Piero ci siamo divisi e su cui abbiamo discusso più animatamente ma devo riconoscere la sincerità in Andreotti di quella aspirazione e non posso che giudicarla ammirevole.
Ora, per quanto mi riguarda, il discorso della legittimazione culturale assume in questi giorni una pregnanza tutta particolare perché mi sembra potersi riferire perfettamente proprio a Piero.
Mio fratello aveva cominciato da ragazzino ad andare all'arsenale a La Spezia e questo significava rimanere fuori casa per più di dodici ore. Con l'acquisto di un auto propria -una cinquecento L –invece di ridurre la propria giornata di impegno fuori casa a dieci ore, pensò bene di portarla da dodici a sedici e perfino di aggiungervi qualche ora di impegno notturno extra; decise infatti di iscriversi a un corso serale per conseguire il diploma di geometra.
Ricordo bene quel periodo anche perché, quando tornava a casa verso le dieci di sera, con i miei già a letto, era in genere me che trovava alzato. Mia madre gli lasciava qualcosa da mangiare sulla stufa a legna che, anche quando non alimentata, durava a raffreddarsi; Piero, invece di mangiare frettolosamente, magari dal pentolino, si preparava accuratamente un angolo di tavola, si serviva nel piatto, mangiava con calma, sparecchiava e lavava i piatti. In casa ci si scherzava sulla cosa ma per lui era importante; si trattava di senso del decoro, una versione domestica ma fondamentale della “legge morale interiore” di Kant che prescindeva anche dal rapporto con gli altri. Il filosofo George Steiner sostiene che “è civile quel posto dove le sedie si impagliano allo stesso modo sia sopra che sotto”, un posto che è agli antipodi di dove vige la doppia morale dei vizi privati e delle pubbliche virtù e dove a Piero avrebbero dato la cittadinanza onoraria.
In ogni caso, anche prima del periodo dei corsi serali, Piero aveva cominciato un lungo percorso di autoeducazione che durò tutta la vita e che, a partire da giornali e riviste, attraverso la letteratura e la saggistica, lo portò a conseguire una notevole competenza ad esempio anche nel campo della musica classica e dell'opera lirica.
Per quanto riguarda il sapere che si acquisisce dai libri, ricorderò soltanto il suo ricco scaffale dedicato allo stato di Israele -un interesse col quale ha contagiato anche me ed altri in famiglia- ed il puntuale acquisto del preziosissimo meridiano Mondadori che, per uno stipendio di impiegato, significava comunque qualcosa.
Anche Piero si è dedicato molto alla politica ma, al contrario del Divo Giulio, aveva quasi fastidio per le cariche pubbliche; come per Andreotti tuttavia, anche per lui se esisteva una legittimazione quella doveva essere prima di tutto di tipo culturale.
C'è un ultimo aspetto che fa di una vicenda personale il riflesso di un discorso più generale. Se Piero ha avuto la forza di volontà di perseguire uno scopo che richiedeva molta fatica e sacrificio, i valori alla base di quello sforzo erano largamente condivisi. In Italia, e, a maggior ragione, nell'Italia di provincia, si riteneva che l'istruzione potesse costituire il principale veicolo di promozione sociale, remunerata o meno, e che la cultura non significasse soltanto la possibilità di un arricchimento interiore ma anche quella di un prestigio riconosciuto.
Oggi i media sembrano proporre un metro di valutazione delle persone che privilegia soprattutto i beni di consumo più o meno superflui e l'ascensore sociale dell'istruzione sembra essersi bloccato da tempo. C'è da augurarsi perciò che il grande numero di persone che ha riempito la sua casa nei due giorni di veglia come la chiesa e la strada fino al cimitero, non rappresenti soltanto il tributo ad una persona che si è fatta volere bene da molti ma anche la condivisione di una gerarchia di valori che vede l'onestà, la cultura e il decoro ai primi posti, una gerarchia che è stata sicuramente condivisa ed accolta dai suoi più cari, a partire dalla moglie e dai figli.
|
|
|
|
|
|
|
CENTOCINQUANTA ANNI
di Maria Angela Albertazzi
Centocinquanta anni dell’Unità d’Italia, dall’800 al 2011: quanta storia da far capire ai giovani e anche a quelli che non lo sono più. Il 17 marzo, quando gli italiani festeggeranno, cerchino di comprendere attentamente il vero di quei fatti accaduti, quei fatti storici, per l’Unità d’Italia. Per 150 anni ci siamo riusciti; nonostante molte contrapposizioni ha prevalso la giusta causa, ma quanti italiani sono ora per l’unione, quanti quelli che vogliono una nuova divisione?
In 150 anni quanti episodi, quante lotte, quante traversie, ma uniti nonostante guerre, disordini, carestie. Adesso, invece, certi capipopolo vogliono dividere l’Italia; parte dello stesso popolo non capisce più dove stanno l’alleanza, l’umiltà e la carità; la discordia è sempre dietro l’angolo, palese o nascosta. L’Italia era il giardino più bello del mondo, ma ora è un vascello che rischia di andare a fondo. Siamo governati male e intanto i nostri soldi finiscono nelle loro tasche; sventolano davanti ai nostri occhi le cose loro come fossero balocchi e noi, senza saper parlare, restiamo lì, come allocchi. Si contano sulle dita i pochi assennati: ma come possono agire con quei forsennati che son sempre, con scherno e disprezzo, il prossimo a sopraffare, cercando l’Italia tutta di spezzettare? I giovani e gli adulti che fanno cortei e riempiono le piazze, siano di pacificazione e di unione, non di schermaglie e cartelli di poca educazione.
L’Italia è nelle vostre mani, cercate di capirlo e fateci sopra una buona riflessione: rispettando voi e gli altri, rispetterete la nostra ferita, ma sempre bella Italia unita. E poi è bello vedere il nostro tricolore sventolare al vento portatore di pace vera, Unità e amore.
La storia quante cose c’insegna: cose belle e cose brutte vanno studiate e ricordate tutte, specie in questi giorni non belli per noi italiani. Ma non manchi mai l’Unità per tutti i popoli!
Viva l’Italia Unita e: in bocca al lupo a tutti gli Italiani e un anno migliore!
|
|
|
|
|
|
|
SANTA MARIA DELL’ARENA
di Paola G. Vitale
Siamo al sabato, 5 febbraio, salutato dalla prima “falcetta” di luna, alla sera del venerdì, e dallo splendido azzurro del cielo e del mare a S. Terenzo, a nord di Lerici. Il pullman da Ortonovo è quasi al completo, così ci incontriamo di nuovo per chiedere grazie alla Madonna dell’Arena.
San Terenzo è un tenero, composto abbraccio, ricco di bellezza. Poteva forse mancare una storia bella di Maria Santissima, in un posto come questo? Non conosco bene la tradizione e la storia di questa bella immagine della Madonna con il nudo bambinello, ma certamente è una storia di amore, amore di chi ha trasportato sul mare la bella immagine, amore di chi l’ha scorta sull’arenile, forse dopo un fortunale e l’ha raccolta e onorata.
Così, ancora una volta, la nutrita processione, aperta dalle Confraternite, si è snodata sul litorale, ancora una volta in preghiera col nostro vescovo, Francesco, fino alla bella chiesa.
La ricchezza armoniosa degli altari laterali, porta lo sguardo al tabernacolo col Santissimo, solenne, dietro l’altare rivolto all’assemblea, ricco, composto, ornato. La preghiera e tutta la celebrazione si svolgono solenni mentre il coro, attorno all’organo sovrastante l’entrata, accompagna con armonioso canto le varie fasi della Santa Messa. Sacerdoti e Diaconi e fedeli tutti, uniti nella santa mensa dell’Eucaristia, invochiamo Dio di farsi così presente in noi, da diffondere in noi e in chi incontriamo la gioia della vita. Lo scopo del pellegrinaggio è santificazione delle famiglie e richiesta di santi sacerdoti.
Possa dunque nostro Signore rendere visibile in ciascuno di noi la gioia dell’incontro con i fratelli, soprattutto con i più difficili, poiché questo è uno scoglio su cui spesso si infrangono tante buone volontà. Passo dopo passo, credo che ce la faremo!
Molto ci sarebbe da dire sulla didattica degli affreschi della chiesa: quello dell’abside e l’altro “della buona morte”, sopra il confessionale della cappella del Gesù. Essi indicano chiaramente il fine ultimo della vita e il destino dell’anima. Per accedere poi alla sala del rinfresco, siamo sfilati davanti all’altare laterale che ospita la santa immagine della Madonna dell’Arena, che, dalla benedizione pasquale dell’anno precedente, custodisce le case della diocesi; così abbiamo potuto ringraziarla della sua protezione e salutarla nella sua sede luminosa di serena bellezza.
P.S.) Desidero ringraziare Ottavia per la bella notizia del sabato interparrocchiale che ha portato alla recita rappresentata a Luni-Caffaggiola e replicata poi a Casano –S. Giuseppe (e non sarebbe stato male anche una replica a Luni Mare!).
|
|
|
|
|
|
|
LA FESTA DELLA FAMIGLIA
di Enzo Mazzini
Giovedì 17 c.m. si è svolto un incontro dei delegati provinciali con mons. Vescovo per programmare ed organizzare una giornata dedicata alla famiglia che si svolgerà domenica 10 aprile, presso il Palazzetto dello Sport a La Spezia. La giornata deve rappresentare una partecipazione della famiglia che si interroga. La famiglia è una realtà positiva, un luogo di santità (di accoglienza e di annuncio evangelico) e quindi la giornata deve rappresentare un’iniziativa forte per aiutare a capire che la fede è positiva e rappresenta il fondamento della famiglia medesima.
E’ quindi molto importante promuovere a livello parrocchiale la partecipazione delle famiglie con tutti i bimbi che saranno i veri protagonisti della giornata. In particolare sarà necessario che i catechisti si impegnino per la riuscita dell’iniziativa, facendo partecipare anche le famiglie. Bisogna inoltre promuovere la partecipazione dei fidanzati che si preparano al matrimonio tenuto presente che la giornata sarà incentrata proprio sul loro futuro: la famiglia. Inizierà alle ore 9,30 con l’accoglienza delle famiglie. Quindi ci sarà la recita delle Lodi con mons. Vescovo. Seguiranno le testimonianze di alcune famiglie: una famiglia dell’Associazione Giovanni XXIII; una famiglia per l’affido; una famiglia missionaria (neo-catecumenale) ; una famiglia di Milano che ha perso un figlio e che darà una toccante testimonianza sulla santità…
Alle ore 13 circa ci sarà il pranzo al sacco. Seguirà un torneo di ping pong ed alcune associazioni cureranno l’intrattenimento dei bimbi, anche attraverso l’installazione di stand. La giornata terminerà con la celebrazione Eucaristica presieduta dal vescovo Francesco.
Risulta chiaro che si tratta di una iniziativa molto importante che deve coinvolgere tutte le parrocchie sia in fase di preparazione e promozione, sia in quella di partecipazione delle famiglie e dei ragazzi. Tutti dobbiamo impegnarci in tal senso.
Eventuali ulteriori dettagli e notizie che dovessero rendersi utili saranno forniti
nel prossimo numero di questo bollettino.
|
|
|
|
|
|
|
LEGGENDA INDIANA
di Doretto
Un piccolo indiano d’America trova un uovo di aquila e lo mette nel pollaio assieme alle altre uova. Nascono i pulcini e nasce anche il piccolo di aquila. Nel crescere vede gli altri pulcini che razzolano e lui pure fa come loro. Pilluca di qua, pilluca di là in cerca di vermi e altro per nutrirsi. E cresce, cresce. Finché un giorno vede un grande uccello che vola nel cielo e dice: “Come vorrei anch’io volare come lui!”. Gli altri pulcini gli dicono: “Guarda che se tu vuoi, puoi volare come lui, perché tu sei uno di loro, sei come loro, basta che tu lo vuoi!”. Lui si concentra, spicca un salto e...su, vola nel cielo e raggiunge sua madre, l’aquila!
Ecco, anche noi possiamo spiccare il volo e volare in alto, non restare nel pollaio a razzolare nella spazzatura (vedi giornali e TV), ma volare su nel cielo, da dove siamo venuti, perché anche se siamo nel mondo non siamo del mondo: siamo destinati al Cielo. E, quando giungerà il giorno, ci ricongiungeremo col Padre che ci aspetta come il padre del figliol prodigo. Perché noi siamo Suoi figli, e Lui ci aspetta, assieme a nostra madre, Maria!
|
|
|
|
|
|
|
Le avventure (a lieto fine) di un’autostoppista
di Marisa Lisia
Mi presento subito: mi chiamo Marisa e sono un’autostoppista impenitente, quasi sempre per pura necessità, perché la strada dove abito non è servita dai mezzi pubblici e quindi devo praticare l’arte di arrangiarmi. Dimenticavo di dirvi che ho la veneranda età di 80 anni; io non ne ho colpa, il fatto è che sono nata troppo presto. Scherzi a parte, molte persone mi sconsigliano di chiedere passaggi a sconosciuti per evitare incontri poco raccomandabili, ma vi assicuro, per esperienza personale, che vi sono più persone buone di quanto pensiamo noi. Vi confiderò alcune mie esperienze vissute di recente.
Un giorno un signore sulla sessantina, dall’aria alquanto arruffata, vedendomi in difficoltà, si è offerto gentilmente di darmi un passaggio. Io, molto ma molto titubante, raccomandandomi al mio Angelo Custode, sono salita. Passando davanti ad una nicchia, che troviamo a volte a lato delle nostre strade con l’effigie in marmo della Madonna, lui si è fatto un bel Segno di Croce. Io meravigliata ne ho chiesto il motivo; mi ha risposto con queste testuali e commoventi parole: “E’ la Madonnina, ma è la Madonnina!!!”. Dicendo questo manifestava una profonda venerazione insieme a tanta semplicità. Arrivati a destinazione, mi ha dato il braccio per aiutarmi a scendere dall’auto ed io, abbracciandolo, l’ho baciato sulle guance. Era un fratello trovato non a caso.
Un’altra volta, accettando un passaggio, ho scoperto che l’autista era un diacono. Abbiamo parlato subito del Buon Dio (cosa che faccio spesso, però con prudenza) e poco prima di scendere dalla vettura gli ho baciato la mano, pensando che con quella tocca la Sacra Ostia, poi mi sono sentita leggera, leggera andando verso il mio destino.
Infine un’altra signora, dietro la mia richiesta, si è fermata immediatamente mettendo subito la freccia: tutto attesta quanto il Signore pensi a noi. Però, attenzione.: sono confidenze del tutto private, non ditele a nessuno.
|
|
|
|
|
|
|
Diario di un parrocchiano di Casano - S. Giuseppe
di Giuseppe Franciosi
Giovedì 3.2.2011.
Oggi, festa di San Biagio, sono in chiesa ed ascolto con viva attenzione l’omelia di padre Onildo. San Biagio è il patrono di Quarazzana, il paese della mia Giulia. Quando la Giulia era ancora tra noi per San Biagio andavamo su, però la festa Cesare (faceva tutto lui) la spostava al sabato: veniva su il parroco di Fivizzano e portava anche la sua corale: riempiva la chiesa ed elevava il tono della festa. Questa sera però, grazie a padre Onildo, su San Biagio ho imparato tante cose che prima non sapevo. Alla fine della Santa Messa ci siamo messi tutti in fila, al centro della chiesa e, uno alla volta, abbiamo ricevuto la benedizione della gola.
Mercoledì 9.2.2011.
Sono le ore 17,30; sono appena rientrato da Ortonovo, dove ho partecipato al funerale di Pierluigi Pedroni, deceduto improvvisamente due giorni fa. Quanta gente, quante auto. Ho assistito ad una Messa che ricorderò per sempre; tutto è risultato perfetto, una Santa Messa degna di una cattedrale, di una basilica. La frazione di Ortonovo è piccola, eppure questa sera è stato grandioso: perfetti i canti, perfetti i solisti, quasi tutti di Ortonovo; perfetto il parroco, Padre Vittorio; perfetto Banti, perfetti i nostri diaconi. Brutta, bruttissima la giornata: non era prevista la morte di Pierluigi, nulla aveva fatto pensare a una sua fine così improvvisa. Quando mio figlio lunedì sera è arrivato a casa e mi ha detto del manifesto che annunciava la morte di Pierluigi, io non potevo crederci. Mi sembrava impossibile, assurdo; lui da qualche giorno io non lo vedevo, ma vedo spesso suo fratello Walter e lui non mi aveva mai parlato di condizioni precarie di suo fratello. Mi parlava invece delle sue condizioni di salute,di un viaggio a Milano oggi per un controllo. Non so se in casa di Pierluigi c’è qualche suo scritto; in casa mia ce n’è uno, un po’ vecchiotto: risale al 3.6.2007; è nella mia libreria, arrotolato: è una copia di un manifesto che Pierluigi aveva composto e fatto affiggere quando la mia Giulia ci ha lasciati. Ogni tanto lo apro e lo rileggo: quanta stima, quanto affetto c’è per la Giulia. Ogni volta io mi commuovo e qualche lacrima sgorga dai miei occhi; ma non sono lacrime di dolore; no, tutt’altro: è gioia quel brano. Grazie, Pierluigi, grazie.
Penso che Walter non abbia difficoltà a pubblicarlo sul Sentiero”: rivela qualcosa dell’anima, del cuore di questa persona, di suo fratello. “Ciao, signora Giulia, in tanti siamo accanto ai tuoi cari con affetto e dolore. Ognuno con il proprio ricordo di te: devota e fervente cristiana; paziente, autorevole docente; gioviale, attenta, amica di viaggio; militante politica e gioiosa, allegra animatrice, con la tua bella voce di tante feste dell’amicizia…”
Giovedì, 10.2.2011.
Questa sera, qualche minuto dopo le ore 21, si è aperta la porta della mia cucina ed è entrato Walter. Walter a casa mia viene abbastanza spesso, ma a quest’ora non era mai venuto: è la prima volta. Perché è successo questo? Una volta al mese, nel Comune di Ortonovo, ci riuniamo in una chiesa e facciamo un’ora di adorazione per le vocazioni; questa sera era di turno la chiesa di San Giuseppe: nel “Sentiero” era ben indicato tutto questo, ma quando l’incontro è incominciato io non ero presente. Walter si è preoccupato (grazie, Walter) ed è venuto subito a casa mia per capire che cosa aveva determinato la mia assenza. E’ entrato e si è reso conto che io stavo preparandomi per andare a letto: tutto qui. Io oggi, tutto il giorno ho pensato a ben altro che all’ora di adorazione: tutti i miei pensieri erano ancora rivolti a ieri, al funerale di Pierluigi; non avevo altro in mente: Pierluigi e la sua partenza per il Paradiso; a Marcella e ai loro figli. Quanto dolore, quanti problemi.
|
|
|
|
<-Indietro |
|
|
|