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RIFLESSIONI DI UN LETTORE
di Doretto
Mercoledì, 5 gennaio.
E' passato un altro anno. Quante cose sono avvenute! E quanti doni Gesù ci ha elargito! Quando dicemmo di essere tutti uniti come in una cordata, cioè quando insieme si scala una montagna e si va su, uniti uno dopo l'altro, legati ad una corda per far sì che nessuno cada, ma tutti insieme si va su, su, sino alla meta. E la nostra meta è la realizzazione del progetto che Dio ha su ciascuno di noi. E noi sappiamo che il Suo progetto è meraviglioso: è la SANTITA’!!!. Paola grossa. Ma penso che sia una parola grossa perché ho poca fede. Dice Gesù a Pietro: "Mi ami tu?". La stessa cosa Gesù dice a me: "Doretto, mi ami tu?". "Signore, io dico di amarti, ma poi mi perdo nelle miserie di questo mondo; però ogni volta che mi rivolgo di nuovo a Te, ti ritrovo sempre.
Come domenica scorsa. Era il 2 gennaio. Esattamente sei anni fa, il 2 gennaio 2005, mi recavo in macchina (guidavo io) all'ospedale di Carrara. Non ne uscii più. Ero diventato una cavia sulla quale i medici si esercitavano a studiare per conoscere la mia malattia. Ma nel frattempo il Signore mi lavorava, mi mondava da tutte le scorie che avevo accumulato durante la mia lunga vita, nonostante i talenti che mi aveva dato, facendomi incontrare Chiara e l'Ideale! Nella sofferenza, nel dolore, Ti ho riscoperto. E ora sono qui a ringraziarti.
Penso una cosa. La letteratura è piena di storie di Santi che per cercarti si sono fatti eremiti, sono andati nel deserto, si sono isolati dal mondo e dopo Ti hanno trovato. Ecco cosa penso: c'è una via più breve, c'è una scorciatoia per arrivare a scoprirti molto prima: il dolore. La croce. Il Calvario. Il Tuo grido (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato). Ecco, lì Ti ho trovato. Come una perla preziosa, la più preziosa.
Domenica scorsa, ecco, mi sento (come al solito) poco bene. Ma la solita vocina mi dice: "Ecco, vedi? Doretto, mi ami tu?". "Sì". "Però ora trovi la scusa che ti senti poco bene e non vieni a partecipare al banchetto che ho preparato per te e per tutti nella Santa Messa. Non vuoi più nutrirti del mio pane, del mio Corpo?". "Signore hai ragione".
Prendo il telefono e chiamo la Francesca; mi viene a prendere e andiamo su, a Casano, da padre Onildo. La Francesca mi dice: " Ti accompagno, poi devo tornare a casa: la Diletta ha la febbre e devo tornare da lei". "Sei venuta apposta per portarmi a Messa?". Sono rimasto meravigliato. E la vocina: "Ecco, vedi come ti voglio bene? Il mio amore per te si manifesta attraverso l'amore che circola tra di voi. Coraggio, andate avanti, io sono con voi, siete sulla strada buona".
Poi durante la Messa, all'Eucaristia, ho pregato per tutti noi. E la solita vocina mi dice: "Non ti preoccupare, vi conosco uno per uno come il pastore conosce le sue pecorelle; come conosco ciascuno di voi nel profondo del vostro cuore e vi sono vicino. Sempre! E confidate: ho vinto il mondo.
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PAROLA DI VITA
di Chiara Lubich
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio”. (Rm 8,14)
Questa Parola è nel cuore dell’inno che Paolo canta alla bellezza della vita cristiana, alla sua novità e libertà, frutto del battesimo e della fede in Gesù che ci innestano pienamente in lui, e per lui nel dinamismo della vita trinitaria. Diventando una persona sola con Cristo, ne condividiamo lo Spirito e tutti i suoi frutti, primo fra ogni altro la figliolanza di Dio.
Anche se Paolo parla di “adozione”, lo fa soltanto per distinguerla dalla posizione di figlio naturale che compete solo all’unico Figlio di Dio. La nostra non è relazione col Padre puramente giuridica come sarebbe quella di figli adottivi, ma qualcosa di sostanziale, che muta la nostra stessa natura, come per una nuova nascita. Perché tutta la nostra vita viene animata da un principio nuovo, da uno spirito nuovo che è lo stesso Spirito di Dio. E non si finirebbe più di cantare, con Paolo, il miracolo di morte e resurrezione che opera in noi la grazia del battesimo.
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio”. (Rm 8,14)
Questa Parola ci dice qualcosa che ha a che fare con la nostra vita di cristiani, nella quale lo Spirito di Gesù introduce un dinamismo, una tensione che Paolo condensa nella contrapposizione tra carne e spirito, intendendo per carne l’uomo (corpo e anima) con tutta la sua costituzionale fragilità e il suo egoismo continuamente in lotta con la legge dell’amore, anzi con l’Amore stesso che è stato riversato nei nostri cuori. Coloro infatti che sono guidati dallo Spirito, devono affrontare ogni giorno il “buon combattimento della fede” per poter rintuzzare tutte le inclinazioni al male e vivere secondo la fede professata nel battesimo.
Ma come? Si sa che, perché lo Spirito Santo agisca, occorre la nostra corrispondenza, e San Paolo, scrivendo questa Parola, pensava soprattutto a quel dovere di seguaci di Cristo, che è proprio il rinnegamento di sé, la lotta contro l’egoismo nelle sue forme più svariate.
Ma è questa la morte a noi stessi che produce vita, così che ogni taglio, ogni potatura, ogni no al nostro io egoistico è sorgente di luce nuova, di pace, di gioia, di amore, di libertà interiore; è porta aperta allo Spirito. Rendendo più libero lo Spirito Santo che è nei nostri cuori, egli potrà elargirci con abbondanza i suoi doni, e potrà guidarci nel cammino della vita.
“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio”. (Rm 8,14)
Come vivere allora questa Parola? Dobbiamo anzitutto renderci sempre più coscienti della presenza dello Spirito Santo in noi: portiamo nel nostro intimo un tesoro immenso; ma non ce ne rendiamo abbastanza conto. Possediamo una ricchezza straordinaria; ma resta per lo più inutilizzata.
Poi, affinché la sua voce sia da noi sentita e seguita, dobbiamo dire di no a tutto ciò che è contro la volontà di Dio e dire di sì a tutto il suo volere: no alle tentazioni, tagliando corto cn le relative suggestioni; sì ai compiti che Dio ci ha affidato; sì all’amore verso tutti i prossimi; sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo… Se così faremo lo Spirito Santo ci guiderà dando alla nostra vita cristiana quel sapore, quel vigore, quel mordente, quella luminosità, che non può non avere se è autentica.
Allora anche chi è vicino a noi s’accorgerà che non siamo solo figli della nostra famiglia umana, ma figli di Dio.
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6 febbraio 2011: XXXIII Giornata per la Vita
di La redazione
L’educazione è l’affascinante compito a cui tutti siamo chiamati, in modo particolare in quest’epoca, ciascuno secondo la propria specifica vocazione. Alcuni chiari segnali ci stanno infatti avvisando di una diffusa sensazione di disorientamento. Sembra talvolta che non si riconosca più la via da percorrere, o che addirittura dinanzi alle tante vite cui non è permesso nascere si avverta una certa ”assuefazione: tutto pare ormai normale e lascia intravvedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi” (dal Messaggio dei vescovi).
Talvolta alcune difficoltà e sofferenze indurrebbero a chiudersi in se stessi, innalzando barriere di difesa dinanzi agli altri. E’ proprio, invece, l’orizzonte del dono quello che può riempire di senso nuovo la nostra vita. Accudire nella propria casa persone anziane non più autosufficienti, pazientare con le turbolenze dei figli adolescenti aiutandoli ad attraversare la notte del mondo, vivere la crisi economica educando i più piccoli a una sapiente sobrietà di vita: è questo il sacrificio quotidiano di tante famiglie, che porta il sale di Cristo nel mondo. “Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto”.
Per vivere questa passione educativa non occorre essere genitori, catechisti, insegnanti perfetti, ma autentici maestri di vita, consapevoli della propria debolezza e fondati “non sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”. Occorre soprattutto, come il sale, offrirsi per donare sapore e sapienza alla società che ci circonda e illuminare le nuove generazioni orientandole alla vita buona.
Il sale, anticamente, era il modo prezioso per conservare i cibi. Che la nostra comunità cristiana possa allora unirsi in una vera Famiglia di famiglie in cui ciascuno sia accolto per quello che è. Così, sperimentando la paternità di Dio e la maternità della Chiesa che ci accompagna, doneremo al mondo la luce della vera fraternità. In tal modo sapremo educare le nuove generazioni alla ricchezza autentica e incorruttibile: quella di relazioni umane risanate, colme di accoglienza e di perdono, dando così “ali al desiderio di pienezza di senso dell’esistenza umana”.
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