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UN PRIMATO DIFFICILE DA EGUAGLIARE
di Giuseppe Pedroni
Sono probabilmente il meno indicato a parlare della corale di Ortonovo, non soltanto perché non ne faccio parte ma anche perché mi è capitato raramente di sentirla. Tuttavia alla corale, al solo fatto che esista e alle persone che la compongono, sono molto affezionato e mi sembra doveroso un omaggio che serva magari da pretesto per interventi più interessanti.
Non faccio parte di questa corale, ma ero nel coro della parrocchia un trentacinque anni fa circa. A sprecare il loro tempo per dirigerci, Rino Andreani e, dopo la troppo precoce morte di Rino, il figlio Giulio; non c'è dubbio che entrambi avrebbero avuto più soddisfazioni dai cantori di oggi.
Il coro -corale è termine troppo nobile per il gruppo scalcinato che eravamo- si era costituito anche grazie alla presenza a Ortonovo di don Barbiero, una figura di cui, nel “Sentiero”, sarebbe bene tornare a parlare di tanto in tanto, ed era costituito all'inizio, quasi soltanto da ragazze e ragazzi.
Tra le voci migliori e più intonate dei primissimi tempi mi fa piacere ricordare quella di Oriana; in seguito però ci fu l'irruzione del talento vocale di Tatiana. Non credo che Tatiana facesse parte del coro dall'inizio e se ne faceva parte non doveva aver sgomitato per farsi notare, al contrario. Fatto sta che la scoperta della sua voce avvenne dopo qualche tempo; fu una vera rivelazione e da allora le vennero assegnate delle parti da solista in molte canzoni.
Accanto all'emergere di Tatiana, un altro passaggio memorabile fu l'allargamento del coro agli adulti. Oggi l'elemento dell' intergenerazionalità, nella corale come in altre associazioni, è un dato pacificamente acquisito ma negli anni settanta noi giovani si propendeva piuttosto per delle relazioni esclusive e, con gli adulti, i rapporti erano generalmente conflittuali. Tra i pochi “matusa” contattati per unirsi al coro, fu subito chiaro che l'elemento di spicco doveva risultare la Lina.
La Lina aveva, ed ha ancora, un timbro vocale ed una intonazione naturale davvero rari ma si faceva notare anche per il modo di portarla la voce, per una mimica che a noi ragazzi sembrava spesso eccessiva, ai limiti dell'esibizionismo ma che era invece assolutamente funzionale alla qualità dell'esecuzione. Oltre che per il modo di cantare era, più in generale, per la carica
istrionica che la contraddistingueva che la Lina poteva essere considerata un po' la Greta Garbo del coro; lo sapeva e non doveva dispiacersene e sembra che la cosa non le dispiaccia neppure oggi.
Ho detto dell' intergenerazionalità all'interno della corale e tutto questo mio intervento è proprio qui che vuole parare: alla proclamazione di un primato difficile da eguagliare. Oggi, insieme alla Lina, fanno parte della corale di Ortonovo la figlia Prisca che allora non ricordo facesse parte del coro, probabilmente si univa, come molti altri, al momento delle funzioni, la nipote Itala, all'epoca una ragazzina, e la pronipote …... che di quella ragazzina è figlia, dunque ben quattro generazioni.
La Lina ha novant'anni o giù di lì ma resiste ancora alle trasferte e rimane bella impettita durante le funzioni religiose. Ha perso centimetri ma la sua statura di corista, con propensioni, represse dal maestro Renato, all'assolo, rimane invariata come è invariato lo spirito battagliero che si traduce a volte in focosi battibecchi che rimpallano lungo la linea matriarcale. A sospingerla, il fuoco sacro dell'arte che raramente le fa perdere una sessione di prove. Chi si fosse ritrovato accanto a lei avrebbe potuto, un giorno che andava da Cavanella in chiesa, sentirla autoinsultarsi con termini irriferibili 'mettere' in inglese + “il rifugio dei roditori nel bosco”, per non sapere impedirsi di andare alle prove invece di assistere la figlia. Il fatto che Prisca non avesse poi tutto quel bisogno d'assistenza non rendeva, per la Lina, meno drammatico il dubbio amletico che risolveva comunque con una decisione in favore dell'arte: "the show must go on", la Prisca poteva attendere.
Non posso chiudere questo mio intervento senza ringraziare il maestro Renato Bruschi al quale si deve buona parte del merito della trasformazione della crisalide di sette lustri fa nella meravigliosa farfalla di oggi.
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OTTAVARIO PER DON GIANCARLO E SUO COMPLEANNO
di Gino Pecorini
“Apri le tue braccia, corri incontro al Padre: oggi la tua casa di via Poerio sarà in festa per te”. Così Roberto Moggi, alle ore 18, introdurrà la celebrazione della Santa Messa leggendo alcune parole bellissime per don Giancarlo. Così canteranno tutti i presenti, i suoi fedelissimi, tranne me, inchiodato a letto per una forma influenzale. Saranno canti che esprimono, pur nrl dolore, la speranza dell’incontro gioioso con la tenerezza del Creato che accoglie la sua anima per fargli “festa”. Sì, perché in questo giorno, oltre che essere il suo compleanno, è avvenuto l’incontro sponsale, mentre si spegnevano, alle ore tre del mattino, le sue “ultime luci terrene”.
E ad un tratto ecco apparire un cielo terso, / mirabilmente sereno, / in cui vivide brillano le stelle / e tra di loro se ne aggiungono altre due: / la prima proietta una luce più viva, / una luce più intensa, / una luce ancora più abbagliante, / una stella che appartiene al Paradiso, / e le stelle dicono chiaro il suo nome: la stella “don Giancarlo” che spazia nell’Universo!”.
Don Giancarlo era una figura tanto colta quanto buona, di una bontà che quasi ti umiliava. La disponibilità, pronta a sorridere, lo faceva stimare da tutti e la sua vivacità condita di umorismo attirava come una calamita. La sua totale dedizione era esemplare: lavorò come pochi e, come pochi, ebbe straordinari risultati, ma mai si vantò dei successi. Era di animo delicato, ma talmente schivo di onori, festeggiamenti, lodi, battimani,ecc., che fuggiva se anche solo aveva il sospetto che qualcuno volesse metterlo… in vetrina. Di don Giancarlo si può dire sempre e solo bene. Era chiarissimo nelle spiegazioni e semplice anche nei ragionamenti complicati. Ma la vera sua forza fu la direzione spirituale: tutti lo cercavano, poiché aveva la rara capacità di penetrare nell’animo umano e di dare consigli stillanti di saggezza e giusti orientamenti.
A detta di coloro che lo conobbero, la sua fu una vita irreprensibile, anzi, santa. Personalmente fu povero, distaccato dalle cose, semplice nel vestire,frugale nel vitto, poche e di poco valore le cose che possedeva. Era un uomo di profonda spiritualità, di continua ed autentica preghiera, devotissimo della Madonna. Aveva paura di essere di disturbo e sempre dimostrava gratitudine anche per il più piccolo favore. Da buon orionino fu persona laboriosa e intraprendente, intelligente e capace. Dotato di tenacia e caparbietà che gli hanno consentito di spendersi totalmente a favore degli anziani della Casa in qualità di Direttore. E nell’Istituto di via Poerio ha saputo armonizzare bene le sue qualità, perché cercava di estendere la celebrazione dell’Eucaristia non solo ai momenti della giornata segnati dalla Liturgia delle ore, ma anche alle ore di lavoro, di riposo, di incontri fraterni, soprattutto con la “Famiglia dell’Immacolata”.
Don Giancarlo, quindi, un uomo di grande cultura e di grande umanità; fu Direttore per ben 15 anni e tutti confermano che sapeva scavare nella coscienza e nell’anima, sapeva essere severo e dolcissimo, infondeva sicurezza e fiducia. E noi che abbiamo vissuto con lui quella indimenticabile settimana di ritiri spirituali a Collevalenza, non avremmo mai potuto capire il dramma fisico che lo stava colpendo. In quelle giornate la sua voce era sempre quella: forte, tonante, incisiva, capace ancora di scuotere; incitava a seguire la coscienza nelle scelte quotidiane, a non lasciarsi attrarre dal mondo, ma dal Padre; parlare con lui era il dono più bello della giornata.
Purtroppo al rientro dalla settimana passata a Ortonovo con i suoi cari, la salute fisica si faceva sempre più precaria, per cui furono necessari alcuni accertamenti, alcuni ricoveri, offrendo a tutti un luminoso esempio di docilità alla volontà di Dio, accettando con amore e fortezza la sua croce quotidiana.
Grazie, carissimo don Giancarlo, per la tua vita spesa e completamente sincronizzata con la volontà divina. Sulle “nevi eterne splendide” del Paradiso, baciate dal Sole divino, ove ti vediamo immerso, continui ad unirti a noi tutti in preghiera in questo momento in cui sta incominciando la celebrazione in tuo suffragio. Ed io, in onore a don Giancarlo, dedico questi versi in suo ricordo.
Umile e silenziosa è passata la tua vita
segnata dal dolore e dalla sofferenza
ma confortata da una fede incrollabile
e dalla preghiera costante.
Sempre dimentico di te stesso,
vigile e premuroso,
hai riversato su tutti noi
la ricchezza dei tuoi affetti
con dedizione totale.
Gesù misericordioso
ti schiuda le porte del Paradiso
e ti conceda la meritata pace!
E tu, amato don Giancarlo
continua a benedirci dal Cielo
ed a volerci bene
come ce ne hai voluto tanto
in questi anni
di permanenza al “don Orione” di via Poerio.
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Con una carta unta di kaki il popolo “sovrano” lo porti dove vuoi!.
di Romano Parodi
Tutti i dittatori hanno bisogno di fanatismi popolari. Per un'ideologia di giustizia sociale si può trascinare le masse all’esaltazione e a commettere qualsiasi delitto. Quello che ha fatto Mao, è qualcosa di incredibile. Per trent’anni, un miliardo di persone, è stato completamente plagiato ai suoi intenti. Mai nessuno era riuscito ad imporre, ad un miliardo di persone di vestire e mangiare tutte al solito modo, e solo nelle mense collettive. Arrivò persino a proibire rapporti sessuali fuori del sabato. Non ha precedenti poi la costrizione di accudire per mesi e mesi un numero sterminato di fornaci, accese giorno e notte, per raddoppiare la produzione d’acciaio, gettandovi dentro ogni sorta di ferraglia, compresi utensili e macchine ancora utilizzabili, pur di rispettare la quota imposta loro dal regime, con il risultato d’avere acciaio tanto scadente da essere inutilizzabile.
Per un anno intero (dal ‘58 al ‘59) ogni fabbrica, ogni paese, ogni rione, ogni scuola, ogni ospedale doveva avere la sua fornace accesa giorno e notte. Gli operai, gli artigiani, persino i docenti e i chirurghi dovevano interrompere il lavoro per accudire alle fornaci o al bestiame abbandonato dai contadini, costretti a loro volta all'approvvigionamento del legname. Per questi calderoni inutili sparirono migliaia di ettari di foreste e la produzione precipitò a tal punto che (la famosa carestia degli anni ’60), morirono da 30 a 45 milioni di persone.
I concetti di Mao aleggiavano idolatrati su tutta la Cina. I libri furono distrutti. Per tre anni la scuola insegnò solo le insulse “barzellette” del “Libretto Rosso”. Circolava anche in Italia e, per certuni, guai a dire che erano baggianate. Quando Mao dichiarò che c’era ancora un 15% di reazionari che bisognava estirpare; ogni comune, ogni fabbrica, ogni reggimento, ogni scuola si sentirono in obbligo di denunciare e inviare nei gulag alcuni dei propri membri, anche sapendo benissimo della loro innocenza: bastava rispettare la quota indicata loro dal Grande Timoniere. Erano gli anni della famigerata Guardia Rossa.
E nella Russia di Stalin? Questo tentativo di plagio, da parte di un commissario ad un controrivoluzionario condannato a morte, lo spiega in maniera eloquente: “Il Baluardo deve resistere, a costo di qualunque sacrificio. Il Piccolo Padre (Stalin) lo ha indicato con impareggiabile chiarezza. Interi gruppi dei nostri migliori funzionari hanno dovuto essere fisicamente liquidati, cancellati anche nelle fotografie. Non abbiamo esitato a distruggere le nostre stesse organizzazioni all’estero quando gli interessi del Baluardo lo esigevano. Non abbiamo esitato a tradire i nostri amici e a scendere a compromesso con i nostri nemici per l’interesse del Baluardo. Questo è il compito che la storia ci ha dato. I miopi, gli esteti, i moralisti non hanno capito. Voi e i vostri amici, avete creato una frattura nel Partito. Dovete rendervene conto e denunciare i vostri amici, dimostrare al popolo che l’opposizione è spregevole e i suoi capi pericolosi criminali. Questa è l’ultima cosa che dovete al vostro Paese. Questo è il semplice linguaggio che le masse comprendono. Se cominciate a parlare dei vostri complicati motivi, creerete solo confusione. Il vostro ultimo compito, compagno, è di evitare che la vostra esecuzione desti pietà e simpatia ”.
Chiedere di sacrificare la propria vita con onore è cosa che ogni regime ha fatto senza battere ciglio, ma sotto Stalin, il partito arrivava a chiedere di autodenunciarsi e sacrificare la propria vita con disonore, sempre per il bene del popolo.
Oggi, al popolo, l’olio di ricino non bisogna più cacciarglielo in gola, basta la tv e la gente correrà in farmacia a comprarselo da solo.
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Lettera al “Sentiero”
di Luigi Testa
Spettabile Redazione,
come di consueto allego la mia offerta, a questa mia, per poter ricevere, anche nell’anno 2011 il vostro bollettino, Il Sentiero”, che leggo sempre volentieri e che quest’anno, come ho visto nel numero appena ricevuto, compie 20 anni.
Quindi, oltre all’Augurio di Buon Natale e di un 2011 più sereno per tutti voi della Redazione, in questo caso aggiungo anche: Buon Proseguimento per altri tanti anni ancora!
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L’ATTESA DELLA BEFANA
di Angelo Brizzi
“La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte…”. Così recita un’antica filastrocca. Da bambino, quanto desiderio e ansia nell’attesa della sua venuta! In quella notte magica, una cosa non capivo: si presentava ogni volta, a casa mia, la Befana più povera e scialacquona. La giustificazione che mi diceva era:“Sei l’ultimo bambino a cui faccio visita, mi è rimasta solo questa roba, te la dono con tanto amore!”. Commosso da quelle parole, ringraziavo la signora con un bacio sulle sue guance rugose.
La paura che mi possedeva, proveniente dai racconti su quella dama burlona ma buona di cuore, un po’ cialtrona ma capace di distribuire castighi, scompariva per dar posto alla raggiante gioia nell’aprire la piccola calza. L’attesa del suo arrivo non era solo di felicità ma anche di tremore di denti, i quali battendo uno contro l’altro mi procuravano un tremito irrefrenabile, in parte per la paura del personaggio e un po’ per il freddo regnante in quella cucina che il ceppo acceso nel camino, con tutta la sua buona volontà, non riusciva a sconfiggere. Compiuto lo scambio calza - bacio, la vegliarda salutava i presenti con un vago cenno della mano e se ne andava verso l’uscita. Mia madre, prontamente, le apriva l’uscio e con un arrivederci, la salutava. Con quel saluto il tremore e il timore svanivano; il desiderio era pago (con poco).
La Befana, si sa, è per i bambini ma, in certe fasi della vita anche gli adulti sono pervasi dal desiderio di una sua visita. I ricordi, più o meno piacevoli, si affacciano nella nostra mente. Riviviamo momenti vissuti in altri luoghi con persone care, amici di gioventù; momenti di speranza, di gioia, di tristezza…. Si dice sempre quando si ricorda il passato: “I tempi cambiano, le usanze restano!”. Le Befane, una volta, si spostavano in due modi: alcune usavano dei lucidi e variopinti calessi tirati da splendidi stalloni, altre cavalcavano la classica scopa. Le prime per i bambini ricchi, le seconde per quelli più poveri. Dai tempi che furono poco è cambiato: le prime hanno lasciato i calessi per lussuose berline, e le seconde? Bè, le seconde devono ringraziare il Cielo che mantenga loro la vecchia e irriciclabile scopa.
Ricchezza e povertà, pur odiandosi, fin dagli albori della vita sono avanzate insieme ma tenendosi sempre a debita distanza una dall’altra. Tempora bona veniant!
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Il saluto a Padre Carlos
di Giuliana Rossini
Venerdì 10 dicembre scorso, nella chiesa di San Lorenzo, a Ortonovo alle ore 21, i parrocchiani e tutti coloro che lo avevano conosciuto ed amato hanno salutato per l’ultima volta padre Carlos, in procinto di ritornare nel proprio Paese, in Guatemala.
La serata era carica di una commozione e di una sacralità che si potevano quasi toccare con mano. A creare la giusta atmosfera ha contribuito la meditazione musicale intitolata: “La croce di Cristo è la nostra gloria” eseguita dalla corale ortonovese “Cantus Firmus” , diretta dal maestro Renato Bruschi ed accompagnata all’organo dal maestro Giulio Cecconi.
I canti magistralmente interpretati dai coristi, a più voci, avevano come tema centrale la croce. Tra l’altro, proprio quella sera, un magnifico crocifisso ligneo, appena restaurato, veniva presentato al pubblico, appeso sopra all’altare.
Alla fine delle toccanti esibizioni, padre Carlos ha preso la parola. “Siate lieti nel Signore!”, ha esordito e ripetuto più volte, ad indicare che la nostra fede, vissuta nell’abbandono totale alla volontà del Padre, non può che portare gioia. Poi, profondamente commosso, ha ringraziato per l’affetto unanime tributatogli da tutti coloro che l’avevano conosciuto. Trapelava dalle sue parole quasi una sorpresa infantile, come di chi si accorge solo in quel momento di aver molto seminato, di aver donato, contraccambiato, disponibilità, cordialità e affetto.
Si è abbandonato ai ricordi, come quando, mentre abitava ancora a Limone, si recava di buon mattino a Portovenere e, mentre pregava nella chiesetta di S. Pietro, vedeva le imbarcazioni allontanarsi all’orizzonte e l’invadeva un po’ di malinconia per la sua terra oltremare. Così, pensava ora, avrebbe avuto nostalgia di noi quando si sarebbe ritrovato nel suo Paese.
Ad Ortonovo era stato subito accolto da tutti con affetto; innamorato (come ebbe a dire in una occasione precedente) della bellezza del luogo e delle opere compiute dall’uomo, il Santuario e la chiesa di San Lorenzo appunto. E si era affezionato, ma ora accoglieva di buon grado il compito molto impegnativo che la volontà di Dio aveva preparato per lui, in Guatemala: preparare spiritualmente oltre trecento seminaristi.
Lo spirito Santo ti guidi e ti illumini, caro padre Carlos, perché il tuo lavoro porti molto frutto nella sua vigna. Noi pregheremo incessantemente per te e tu, nell’unità che oltrepassa montagne e oceani, prega per noi come ci hai assicurato.
Siamo certi che il “tuo” Santuario continuerà ad essere un luminoso centro di spiritualità (così come piaceva a te) protetto com’è dalla Vergine Maria.
Grazie, padre Carlos, per tutto ciò che ci hai dato e chissà che un giorno, se Dio vorrà, non ci si possa incontrare di nuovo.
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Diario di un parrocchiano di Casano- S.Giuseppe
di Giuseppe Franciosi
Giovedì, 9.12.2010.
Questa sera, dopo non so quanti mesi, di nuovo ho partecipato all’ora mensile di preghiera per le vocazioni a Luni Mare. Non è stata questa partecipazione una mia iniziativa; verso le ore 17 Walter mi ha telefonato. Mi ha detto che alle 20,45 si sarebbe presentato davanti a casa mia con il pulmino pieno di donne di Ortonovo, ma che ci sarebbe stato anche un posto libero per me. Non gli ho assicurato niente, ma alle 20,45 mi sono fatto trovare pronto a salire sul pulmino: senza quella telefonata anche stasera avrei disertato l’incontro. Ma quanta allegria c’era su quel pulmino! La stessa allegria l’ho ritrovata anche quando sono risalito per il ritorno. Mi hanno parlato di un concerto che la sera dopo era previsto nella chiesa di San Lorenzo per dare un saluto (amaro) a padre Carlos alla vigilia del suo ritorno in Guatemala. Grazie, padre, per quello che ha fatto qui e per il molto che (ne sono sicuro) farà al ritorno in Guatemala. Quanto alla mia partecipazione al concerto ho detto che alla mia età, dopo cena, si va a letto e non ai concerti. Nel pulmino ero il solo a pensarla così. Che cosa mi ha fatto cambiare atteggiamento? Ho già scritto tante volte che sono pieno di acciacchi: andare nella mia chiesa (a 300 metri) è già un grosso impegno per me: mi arrangio con Radio-Maria. Vedo poco; non sentivo niente fino a una settimana fa, ma oggi, grazie a un giovane della società Amplifon, tutto è cambiato, sento tutto e così posso partecipare con profitto agli incontri.
Questa sera, a Luni Mare, ho potuto seguire gli interventi di tutti quelli che hanno preso la parola. Sono stati letti brani di Paolo VI e di Benedetto XVI; ha concluso gli interventi mons. Enrico Nuti, rettore del seminario di Sarzana. A Luni Mare la situazione è quella già riscontrata in altre occasioni: molta luce, gran caldo. Una novità: manca il Presepe: forse la riunione di questa sera è avvenuta in anticipo rispetto agli altri anni e i responsabili soltanto domattina si metteranno al lavoro e faranno di sicuro un bellissimo Presepe. Come sempre anche stasera le panche sono tutte occupate e così posso incontrare, salutare persone che da un po’ di tempo non vedevo. Tutte le letture di stasera, tutti gli interventi hanno avuto, come tema, il Natale ormai alle porte. Tutti belli, tutti indimenticabili i ricordi di Natale; non so fare una graduatoria, non so dire quale è stato per me il Natale più bello; so invece quale è stato il Natale più brutto di tutta la mia vita: il Natale del 1942. Ero soldato in Sicilia; c’era la guerra: quel giorno toccò a me fare la guardia alla polveriera. Ci trovavamo lontano dal paese dove eravamo acquartierati e assolutamente non in grado di entrare, anche per pochi minuti, in una chiesa. Pioveva, faceva freddo; la baracchetta a nostra disposizione non aveva il camino e quindi avevamo una sola scelta: o la pioggia o il fumo. Walter un giorno si era meravigliato perché io, sul “Sentiero” avevo scritto che nella mia vita non c’era mai stata una domenica senza Messa: è vero, però c’è stato un Natale senza Messa.
Venerdì, 24.12.2010.
Oggi è la vigilia di Natale; alle ore 17 sono in chiesa per assistere alla Santa Messa. E’ questa una Messa importante, non solo perché viene celebrata per Aldo, mio cognato, ma perché a questa Messa partecipa mia sorella Maria: da tre mesi, a seguito di una caduta e di un intervento chirurgico, non era in condizioni di venire in chiesa e questa sera, finalmente, è lì davanti a me, al posto che, fino a tre mesi fa, occupava tutti i giorni. Mia sorella ha cenato a casa mia, poi insieme abbiamo seguito la Santa Messa celebrata in San Pietro dal Santo Padre, Benedetto XVI. Ho seguito tutta la celebrazione con estremo interesse e con tanta gratitudine per il Papa e per tutti gli altri che hanno concelebrato con lui e mi hanno reso orgoglioso di essere anch’io parte di questa Chiesa. La TV, dopo la Santa Messa, mi ha permesso anche di rivivere emozioni particolari dovute alla figura carismatica di madre Teresa di Calcutta nel centenario dalla nascita.
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