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Ringraziamento
di Anna Grazia Bianchi
Spettabile Redazione,
desidero ringraziare,vostro tramite, quanti nella Parrocchia di S. Martino, ogni domenica contribuiscono a vario titolo, con letture e canti,alla realizzazione della Santa
Messa sempre in modo molto accurato e partecipe, e che oggi, Festa della Madonna della Salute, immagino particolarmente solenne.
Da quando, circa sei mesi, anche la mamma riposa nel cimitero adiacente, mi capita sempre più spesso di pensare a questa Chiesa e a quanto i miei genitori vi
fossero "affezionati" anzi legati. Ogni tappa della loro vita ha avuto come sfondo questa "scalinata".Basti dire che, dopo averVi ricevuto entrambi tutti i Sacramenti
compreso quello del Matrimonio,hanno desiderato ricordarne proprio qui il 25°, 50°, e 60° anniversario e ricevere, ancora a San Martino,l'ultimo saluto.
Davanti a questa Chiesa hanno anche intrecciato amicizie, stabilito relazioni....
Anche se profondamente triste, mi è di grande sollievo saperli, ogni domenica, presenti e partecipi della Santa Messa in quella che hanno sempre ritenuto la loro Chiesa.
Grazie .
Anna Grazia Bianchi
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Riflessioni
di Doretto
Mi decido a scrivere. Era già un po’ che non lo facevo, ma ora sento come una forza estranea a me che mi spinge a farlo.
E’ successo domenica scorsa. Non sono andato a Messa. Non mi sono nutrito del Corpo di Gesù, pane di vita. Stavo poco bene. Mi sentivo strano. Appena mangiato me ne vado a letto.
Verso sera, eccoli…: i soliti dolori lancinanti nella gamba destra che dalla coscia si scaricano verso il piede. Ed è lì, nel piede, che, come un fulmine, si scarica con tutta la sua potenza provocandomi un dolore che non auguro a nessuno: tipo un crampo, moltiplicato per cento volte!
Il più delle volte urlo, mettendo in subbuglio tutta la casa. Tra una scarica e l’altra passa circa un minuto, o poco più. Nell’intervallo penso: Chiara Luce non voleva antidolorifici perché voleva essere lucida in modo da offrire, cosciente, ogni dolore che l’assaliva a Gesù Crocifisso e Abbandonato. Mi sono ricordato quando anch’io, in ospedale, mi sono sentito perso, e ho guardato a Lui, là, inchiodato su quella piccola croce, donandoGli tutto il mio dolore e il mio essere, ormai diventato larva umana,e ho trovato conforto e forza per andare avanti.
E allora? Adesso hai paura di queste scariche elettriche? Gesù, ma sono tremende! Non ce la faccio più!
Dopo un po’, ecco: ho trovato la soluzione. Adesso ogni scarica che viene non la getto via…Voglio che si realizzi il Tuo disegno d’amore su ciascun nome che ti dirò: ogni scarica, un nome. E Tu, vedi che farne! Eccone una: il dolore è alle stelle, invece di diminuire, aumenta. E allora… questa la dedico a…. Perché mi è venuta per prima in mente proprio lei, non lo so. Poi, eccone un’altra: questa è per…, e così via; una -un dolore -, per tutte le anime sorelle, tutte tutte.
Poi mi sono detto: ecco, tu pensi solo ai più bravi, ai più buoni, e gli altri? Allora ho pensato: è proprio vero, anche le anime dei miei cari morti avranno bisogno della Tua misericordia, e ho pensato agli amici Rino e Arnaldo, a mio fratello e, via via, tutti gli altri. Ma poiché le scariche erano tante, ho potuto dedicarle anche all’Opera di Maria, a tutti gli amici che mi hanno fatto crescere e, infine a tutta la Chiesa. Ma una in particolare a tutti i sacerdoti che sono in difficoltà, sia materiali sia spirituali.
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PER TUTTA LA VITA
di Carlo Lorenzini - Maria Giovanna Perroni
Quando mia moglie quella sera, con parole di accorata meraviglia, come di donna innamorata e tradita, mi rimproverava il comportamento da me tenuto durante tutta la cena di amicizia fra colleghi di lavoro, non sapeva di aprirmi definitivamente gli occhi su una situazione che solo in confuso, fino a quel momento, avevo intuito, ma che non m’ero preoccupato, né mai mi sarei preoccupato di accertare e che forse sarebbe rimasta in me come una vaga irreale, anche se dolce sensazione; come di cosa solo distrattamente percepita; ma mai accertata; e quindi non mai esistita. E la nostra vita sarebbe continuata in quella serena e normale felicità che da anni caratterizzava i nostri rapporti.
Ma quelle sue parole, mentre parlava, mi aprirono gli occhi a una situazione per me nuova. E, invece di offendermi, risvegliarono e indirettamente accarezzarono la mia maschile vanità; e mi offrirono quella certezza che evidentemente già era dentro di me; ma che, per diversi motivi, fra cui la paura dell’ignoto, mai avrei avuto la volontà e il coraggio di verificare. Allora improvvisamente capii il significato di tutta quella mia scomposta e anche un po’ ingenuamente sguaiata euforia durante tutta la cena; e capii il perché del fatto che durante tutto quel tempo avevo continuato a vedere il viso dolce e meravigliato e offeso e scandalizzato di mia moglie lontano, come sfuocato in una nebbia: tanto che poi, quando, non potendo evidentemente più resistere al disagio morale in cui era venuta a trovarsi, aveva insistito che l’accompagnassi a casa, io mi ero risvegliato e mi ero addirittura meravigliato che fosse lì anche lei e che mi parlasse.
Capii dunque tutto questo
Infatti mentre mia moglie mi parlava quelle parole accorate e offese, rividi: e me li sentii trapassare il cuore con meravigliata e sgomenta dolcezza: rividi quegli occhi di giovane donna, una ragazza, che, accesi in una sfida di conquista, per tutta la sera mi avevano perseguitato in un’opera di fascinoso adescamento: cui io, pur provando un certo disagio, non avevo saputo sottrarmi: al fine evidentemente di portare a compimento, ora lo sapevo, durante quella conviviale riunione, una promessa di conquista da tempo concepita e a lungo insistita. E, come un’illuminante rivelazione, mentre mia moglie mi parlava, rividi tutta la storia.
Quel cercare ogni occasione, per incontrarmi e parlarmi; quell’ascoltare sempre le mie parole con aria rapita; quel continuo provocarmi a conversazione, per sapere di me, ma soprattutto per parlarmi di lei, dei suoi problemi, delle sue pene, dei suoi amori: le donne parlano volentieri delle pene e delle delusioni in altri amori con l’uomo che vogliono conquistare: quell’aria con cui sempre mi guardava, dolce, dimessa, e malinconica; oppure, a volte, nei momenti di più cruda e spavalda seduzione, quell’atteggiamento di fascinosa e ironica sfida, con cui la morbida luce dei suoi occhi silenziosamente e ostentatamente aggrediva, di tra il fumo della sua sigaretta, sensualmente gustata, la mia lusingata e fragile arrendevolezza…
E questa improvvisa e totale rivelazione mi fece apparire certezza, quella che fino a quel momento era stata solo una vaga sensazione e presunzione. La certezza di essere amato, come non mai; come nessun altro mai; da una creatura come nessun’altra mai.
E così mia moglie, con quelle sue accorate parole d’amore e di gelosia, diede l’avvio ad un periodo di mio folle umiliante traviamento. Ma anche questa malattia dell’anima mi era stata provvidenziale; come la malattia del corpo, a suo tempo. Infatti dopo un periodo che parve interminabile, di stravaganze, sregolatezze, follie, alla ricerca dell’impossibile: quello della giovane donna era stato tutto un gioco; e aveva riso, infatti, e se ne era meravigliata, quasi avendo l’aria di non capire, quando, anch’io avendo l’aria di non dire, le avevo fatto intendere che finalmente alle sue…
E quel giorno ero sdraiato nel divano, la faccia al muro, lacerato e abbrutito nella mia frenesia di un impossibile sogno di amore e di adolescenza; quando dietro di me sentii aprirsi la porta dello studio… Poi non sentii più nulla. Ma immaginai e il cuore cominciò a battermi. Poi sentii un pianto sommesso: e io la rividi, nella memoria, in piedi di fronte a me, col suo bel viso nobile innocentemente innamorato e bagnato di lagrime, come aveva fatto altre volte, quando si era trovata disperata di fronte alle mie frequenti mattità e intemperanze di fidanzato e di marito.
Poi udii: “E la bambina? Come dobbiamo fare?”. Allora il cuore mi scoppiò di commozione, di amore e di vergogna. Mi voltai. E non vidi nulla a causa delle lagrime. Ma capii che il miracolo stava davanti a me. In quella mia giovane moglie, nella sua anima casta e nella sua bellezza aristocratica, che non si vergognava di dirmi, in nome dell’amore, che era disperata e che, anche se io non ne volevo più sapere, il suo sentimento era sempre quello profondo e totale di un tempo…
Di quando, nella solitudine dei ruderi medioevali dei lungarni pisani, riverberati in quelle serate invernali: in attesa noi del treno per casa: dalle lontane luci della città, io le chiedevo: “Vuoi?”; e lei non rispondeva; ma reclinava il suo bel capo sul mio petto e mi diceva: “Lo sai che io ti amo così! Per tutta la vita”.
TU DORMI…
Tu dormi,
disteso sul divano,
e il sole del tramonto
illumina il tuo volto,
che appare ora sereno,
ora crucciato.
Io più non leggo,
e mi perdo a guardarti,
a ricordare.
Da te, ecco, si staccano
pian piano,
come foglie
dall’albero in autunno,
fantasmi antichi, in folla:
lo studente un po’ curvo
e allampanato
dagli occhi profondi
di cerbiatto;
il professore giovane
e sicuro;
il marito ribelle
e appassionato;
il padre ora entusiasta
ora deluso;
il compagno affettuoso
di quegli anni…
Quante persone ho amato
in una sola!
Tutte in modo diverso
eppure uguale!
E questa foglia,
ancora un poco verde,
prego rimanga a lungo,
con tenacia, attaccata sul suo ramo…
Ma tu, adesso, ti svegli;
e mi scopri incantata
a contemplarti;
e gli occhi ti s’accendono
a un sorriso;
volano i fantasmi
ed i timori;
e la terra riprende
il sopravvento.
Maria Giovanna
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Memorie missionarie - L’INCIDENTE CON JEAN
di Padre Carlo Cencio, missionario carmelitano.
Per quello che mi riguarda, devo dire che gli angeli mi hanno aiutato soprattutto in certi momenti, come quella volta che me ne stavo andando, in auto, verso La Yolé e procedevo ai sessanta all' ora. Ad un tratto, davanti al villaggio di Ndale, scorsi un bambino al margine della strada. Era fermo, ma con l’intento di muoversi. Suonai e proseguii. Il bambino cominciò ad avanzare verso il centro della strada con passo incerto. Sembrava che volesse fermarsi a ogni passo per raccogliere qualcosa da terra. Pensai ad un bambino distratto e proseguii, certo che, ad un altro colpo di clakson, avrebbe fatto un balzo indietro; invece, nonostante una seconda strombazzata, egli proseguì deciso il suo cammino.
A quel punto non avevo più molte scelte: ero troppo vicino per tentare di arrestarmi con una frenata e allora sterzai decisamente, uscendo nel prato. Nonostante la brusca sterzata, toccai il ragazzo con la coda della macchina. Per fortuna c'era con me Valentin, perchè temevo che la gente mi avrebbe linciato, come in genere succede; ero pronto a …tutto.
Invece, non mi linciarono. Uno gridò per scusarsi: “Padre, abbia pazienza, è sordo”. E un altro: “Grazie Padre, grazie”. Naturalmente io feci tutto quello che si doveva fare in quelle circostanze e oggi il bambino, che aveva avuto sette punti in un ginocchio, sta bene come prima.
Gli angeli mi avevano davvero aiutato: non mi avevano lasciato investire il bambino e… non mi avevano lasciato linciare dagli abitanti del villaggio.
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NON PIANGETE!
di Maria Angela Albertazzi
Non piangete, sono solo passato dall’altra parte. Io sono io, voi siete voi. Quello che eravamo: gli uni per gli altri, lo siamo ancora, per sempre. Donatemi il mio nome come sempre mi avete donato.
Parlate di me come sempre avete fatto; non impiegate un tono differente, non prendete un’aria solenne e triste; continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
Pregate per me e pensate a me.
Che il mio nome sia pronunciato come sempre è stato, senza enfasi di ogni sorta e senza tracce d’ombra.
La vita significa tutto ciò che essa ha significato: essa è quello che è, sempre. Il filo non è tagliato, perché sarei fuori dai vostri pensieri.
Semplicemente perché sono fuori dalla vostra vista; non sono lontano, sono solo dall’altra parte del cammino.
Come vedete tutto è normale e bene; asciugate le vostre lacrime, non piangete se mi volete bene.
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ESPERIENZA IN GUATEMALA
di Leonardo Cavirani
“Che ne dici di accompagnarmi per un mese in Guatemala a fare del volontariato?”, mi ha chiesto tempo fa padre Carlos. La risposta è stata immediata: ”Sì!”.
Le motivazioni che mi hanno spinto a prendere questa decisione con molta sicurezza e un po’ inconsciamente ancora non le conosco: fatto sta che dopo pochi mesi già mi trovavo a Città del Guatemala, la capitale dell’omonima nazione.
Al mio arrivo ho assistito alla riunione di una famiglia i cui membri in lacrime si ritrovavano dopo una lunga separazione, forse per motivi di lavoro, permettendomi di intuire sin da subito le difficoltà economiche di questo popolo. Allo stesso tempo mi ha colpito il modo di manifestare le loro emozioni: spontaneo, generoso e, per le nostre abitudini, quasi esagerato.
Queste mie prime impressioni sui guatemaltechi, poveri ma non miseri, hanno trovato sempre più conferma durante la permanenza tra di loro e soprattutto nella mia attività coi bambini presso la fondazione FINPLUCALP.
Il mio piccolo servizio per i bambini della comunità di Chacaltè, i cui genitori erano spesso assenti per il lavoro nelle piantagioni di mais, zucchero o cauchù, consisteva, durante la mattinata, nel partecipare alla pulizia e alla sistemazione del grande salone e alla preparazione di un abbondante pasto che ogni giorno veniva offerto a circa cento bambini. Questo salone è stato realizzato con le offerte provenienti dalla nostra diocesi, dalla Caritas e dalla fondazione AMI, attraverso l’instancabile attività di Ramiro, babbo di padre Carlos e presidente della fondazione.
Quindi, nel pomeriggio, aiutavo quattro giovani maestre della comunità nella loro importantissima attività di sostegno e recupero scolastico. Intrattenevo i bambini con giochi o racconti sulla realtà italiana e ne ero ripagato generosamente attraverso sorrisi, baci e abbracci dati senza timore e vergogna, oppure svolgevo alcune attività burocratiche per la Fondazione, sempre però riservandomi un piccolo spazio di svago con i bambini.
Infine aiutavo a distribuire ai piccoli ospiti la tanto attesa merenda che, almeno parzialmente, poteva compensare l’esiguità della cena che li avrebbe accolti nelle loro case. Terminata ormai la giornata, tornavo all’accogliente casa di Ramiro in cui ero ospitato. Qui, oltre a riposarmi, potevo discutere della difficile situazione presente in Centramerica, afflitto da una feroce indigenza economica che genera miserie morali e sociali quali la corruzione politica, il narcotraffico, la prostituzione, l’alcolismo, il turismo sessuale, la pedofilia, ecc.
Spesso avevo la possibilità di accompagnare Ramiro nel suo servizio di visita e distribuzione della Comunione ad anziani ed infermi, osservando in modo diretto le precarie condizioni di vita di persone impossibilitate ad accedere ad un servizio sanitario inefficace e caro e spesso costrette a vivere in piccole casette insalubri e promiscue costruite di lamiere, legno e talvolta teli di nailon.
Proprio attraverso queste esperienze mi rendevo conto dell’importanza del servizio di assistenza medica e distribuzione di medicinali. Servizio svolto gratuitamente dalla Fondazione attraverso l’attività di una dottoressa di origine cubana al quale potevano accedere non solo le famiglie aderenti al progetto ma tutta la comunità e il cui funzionamento era garantito sempre dagli aiuti provenienti dall’Italia attraverso l’attività di mediazione svolta da padre Carlos.
Partecipando inoltre alla vita religiosa del villaggio capivo la funzione di “ancora”, antico simbolo cristologico, svolto dalla fede, in grado di suscitare speranza anche nei momenti di più crudele difficoltà, e un forte spirito di carità e comunione necessario ad affrontare molti problemi socio-culturali, come la maternità precoce (molte ragazze di sedici anni già possiedono almeno un figlio) o la disgregazione familiare che pesa soprattutto sulle spalle delle donne costrette ad occuparsi da sole della crescita dei figli, spesso molto numerosi.
Nonostante la durezza di alcune realtà affrontate, di questa mia esperienza rimangono soprattutto la spontanea generosità dei bambini ed il gratuito affetto che, sin da subito, mi hanno dimostrato, lasciandomi nel cuore un’aumentata serenità nell’affrontare la quotidianità e un grande senso di riconoscenza verso chi, pur non conoscendomi, mi ha regalato fiducia ed allegria.
Ancora non so perché presi questa decisione, ma sicuramente non ne sono pentito, anzi sono fiero e felice di aver vissuto un’avventura che consiglio a tutti voi, soprattutto ai giovani i quali potranno sperimentare la gioia di sentirsi utili al prossimo, e vi invito a partecipare all’attività di sostegno di questa comunità la cui riconoscenza sarà sicuramente profonda e sincera.
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Dai 'Pensieri' di un parrocchiano di Casano - S. Giuseppe
di Giuseppe Franciosi
Mercoledì, 13.10.2010.
Ho quasi novant’anni (ne mancano soltanto due) e mi pare che per me sia arrivato il tempo non “del fare” ma “del non fare”: una parola corta corta “non”, un avverbio, ma tremenda: tutta la tua vita cambia.
E’ arrivato l’otto settembre: e io non ci sono andato al Santuario del Mirteto, dove ero sempre andato e dove forse non andrò più (almeno l’otto settembre); è arrivata la Madonna della Salute: 10 ottobre, a San Martino, e io non ci sono andato. Esco di casa solo per andare in chiesa o per andare da mia sorella Maria: da più di un mese è inferma a letto. Un paio di volte mi sono trovato da lei quando padre Onildo è andato a portarle l’Eucaristia. Padre Onildo non lo sa, ma quando, alla fine della Santa Messa, dà i suoi annunci io, sordo, di solito non capisco nulla, ma mia sorella (quando è in piedi la domenica viene a pranzo da noi) mi spiegava tutto; ora però la mia interprete è fuori servizio.
Oggi, giovedì 14 ottobre, finalmente una bellissima notizia arriva dal Cile: dai 700 metri di profondità, da dove si temeva che 33 minatori non ce l’avrebbero fatta a riemergere, a ritornare a vivere, a rivedere la luce, a riabbracciare le persone più care; e invece ce l’hanno fatta: si sono salvati tutti grazie a Dio e agli uomini (anche italiani) che hanno messo al loro servizio scienza e coscienza.
In questo numero scompare la parola “diario”. Walter non mi dà pace, non accetta che il mio nome non figuri almeno sotto un piccolo “pezzo”. E allora mi arrendo ma non si tratterà più di “diario” perché (forse qualcuno non ci crederà, ma purtroppo questa è la realtà): dal 2.6.2007 - giorno in cui la Giulia mi ha lasciato - io non sono più andato da nessuna parte: solo a Quarazzana, paese della Giulia. Un amico di mio figlio ha detto a Piergiuseppe: ma tuo padre nel “Sentiero” parla sempre di Quarazzana: “Basta! Sarebbe ora che la finisse!”.
Io qualcosa scriverò, ma facendo riferimento a problemi generali, problemi di cui si occupano i giornali; problemi che riguardano soprattutto la Chiesa, i cristiani.
Domenica, 24. 10. 2010.
Oggi celebriamo la 84^ Giornata Missionaria Mondiale. Il tema: “La costruzione della comunità ecclesiale è la chiave della missione”. Chiediamo al Signore una rinnovata coscienza della nostra vocazione.
O Signore, rendi sempre più la tua Chiesa missionaria: prenda coscienza della sua vocazione di annunciare il Vangelo ad ogni creatura e sia sale e luce per quanti desiderano incontrare il volto del Padre.
O Signore, dona a tutti i cristiani la virtù dell’accoglienza per favorire una vera integrazione di quanti, sacerdoti e laici, provengono da Chiese sorelle.
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