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GIOIOSI MISFATTI CLERICALI
di Don Romeo Rossetti già Parroco della parrocchia di S. Martino di Iliolo
Anche un timorato e zelante ministro di Dio può casualmente ed incidentalmente, colpevole in buona fede della sua debolezza umana, cadere, durante l’esercizio della sua vita liturgica, in qualche amena e scusabile mancanza.
Nei nostri articoli parliamo sempre di cose serie, di attività liturgiche solenni, di pellegrinaggi edificanti, di dogmatica, di morale, di cultura biblica, di avvisi e comunicazioni varie, ecc., per cui ci sta bene anche qualche nota spiritosa ed allegra perché la vita umana e anche cristiana è pure costituita anche di attività umoristiche e ridicole: il Bollettino deve interessarsi anche di esse.
A questo scopo mi ricordo, quand’ero parroco, prima alla SS.ma Annunziata e poi a Casano, di due fatti, fra i tanti che potrebbero interessare, molto innocenti, che in me hanno lasciato un profondo e benevolo ricordo.
1) Cadeva la festa della SS.ma Annunziata e come è di uso, invito tutti i confratelli parroci alle Sacre Funzioni, alle Confessioni ed anche, ed è di dovere, al pranzo più o meno solenne in canonica, un vero ‘toccasana’ per i vari parroci, isolati per tanti mesi dell’anno e che qui potevano dare luogo ad una vera e fraterna comunione conviviale, dove non mancavano cibi e vini come in qualsiasi riunione fraterna, anche fra laici. Terminata l’agape fraterna si andava in chiesa per il Vespro ed ecco che qui accadde l’irrefrenabile: il carissimo don Parma dà inizio alla funzione, senonché, un po’ allegro per la mensa appena terminata, invece di cominciare i Vespri con il rituale “Deus, in audiutorum meum intende” ecc., con voce forte e solenne intona il ”Magnificat” che si trova invece alla fine della liturgia dei Vespri e quello che ha meravigliato è stata la risposta dei fedeli che si sono perfettamente adeguati all’errore del celebrante, forse, e senza forse, anche perché pure loro, i parrocchiani, avevano indubbiamente ben mangiato e ben bevuto. Tutto è finito, con buona pace di tutti, anche perché sono subentrato io che ho rimediato all’errore, senza sospendere il canto. Ho notato però che qualche persona rideva.
2) Un altro fatto riguarda il carissimo Abate di Ortonovo, don Andriollo, anche lui sempre in occasione della festa patronale della SS.ma Annunziata.
Incaricato da me, come quasi sempre, essendo pure un abile predicatore, finito il canto dei Vespri salì sul pulpito, perché in quella chiesa il luogo destinato alle omelie, prediche varie, catechismi,ecc., era sul lato destro della chiesa, ad una certa altezza e ad esso si accedeva mediante una scaletta. Iniziò il panegirico della Madonna Annunziata e come al solito applicò la festività ricorrente ai tempi odierni e venendo a trattare di certe immoralità del tempo, cominciò a scaldarsi, diventando tutto rosso in faccia mentre con le braccia rimetteva a posto il copricapo abbaziale che minacciava sempre di cadere e con le mani batteva così forte sulla tavola che era sul pulpito, che i fedeli che si trovavano seduti sotto di esso, cominciarono ad impressionarsi e anche loro reduci da un buon pranzo, si agitarono in modo tale che tutta la chiesa ne risentì: iniziarono ad alzarsi e spostarsi rumorosamente verso il fondo della chiesa, peraltro già gremito di fedeli, provocando quindi uno spostamento generale con relative conseguenze. Poi, finalmente, la predica finì e la funzione arrivò così al suo termine; anzi, oltre ai preti, diversi fedeli vennero a stringere le mani all’Abate.
Penso che il Signore abbia ugualmente gradito la parola del suo servo fedele e che per i fedeli tutto si sia risolto con una bella risata, ritornando alle proprie case o a quelle dei propri amici a riprendere il pranzo interrotto per frequentare il Vespro, con una buona partita a carte, accompagnata da qualche buon bicchiere, il tutto ad onore della santa festività.
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La Titti
di Romano Parodi
Avete mai visto morire un gatto? di malattia o vecchiaia? Io no! I gatti morti, li vedi, si, ma sull’asfalto. Scrive l’amico Cinzio Marchi:
“Un gatto attraversò la strada a caso,
fu investito da un’auto millecento,
prese un colpo terribile sul naso
e rimase stecchito sul cemento.
Sul povero carcame lì disteso
passarono decine di autocarri,
finché il gatto, stracciato e vilipeso,
fu ridotto nei brani più bizzarri.
Mentre la gente, rigirando il viso,
trapassava; coi visceri risorti
il carcame, rizzandosi improvviso,
gridò con rabbia: “Seppellite i morti”,
poi ricadde di schianto nello squarto…”.
La Titti era vecchia e si trascinava stanca. Si vedeva benissimo che era prossima alla fine. Era una di famiglia. Quando sedevo al focolare mi si addormentava sulle ginocchia. Quando m’incamminavo nell’oliveto mi seguiva sempre e ovunque. Quando mia moglie andava a far spesa, la seguiva per un pezzo di strada e poi l’aspettava. Al mattino mi dava la sveglia grattando la porta, voleva entrare a far colazione; ma ora era finita. “Guarda dove va a morire”. L’ho trovata: era sotto un cespuglio. Le ho portato il “boccone del prete”. Non l’ha degnato d’uno sguardo. Le ho sfregato la testa. Non si è mossa: mi ha guardato. Pensavo che quello fosse il suo letto di morte. Al mattino sono tornato a vedere. Non c’era più. C’era rimasto il boccone. L’ho cercata dappertutto. Niente di niente. E pensare che non si era mai allontanata. Non ha voluto farsi trovare ed è sparita. E’ andata nel cimitero dei gatti, che nessuno ha mai trovato. Come quello degli elefanti. Se non l’avessi vista la sera prima, chissà…, forse l’avrei trovata sotto quel cespuglio lì. I gatti hanno il pudore della morte, si vergognano e si nascondono agli occhi del mondo. Niente è più umiliante di un letto di morte, attorno al quale gironzolano i sani.
La Titti era bianca: aveva un occhio celeste e uno marrone. E’ stata la capostipite di numerosi gatti bianchi. Avrà avuto 15 anni. Quella sera abbiamo ricordato la sua lunga storia e alcune sue avventure.
Eravamo nel cuore della notte. Il cane abbaiava furioso alla catena. Ed ecco altri rumori più terrificanti: la gatta si stava azzuffando con un “leone”. Era un ruggito quello che sovrastava tutto. Spaventati e preoccupati ci siamo alzati dal letto e abbiamo acceso la luce esterna, e, continuando quell’infernale concerto, pur con mille precauzioni, ho aperto il portone. Il “ruggito” e la zuffa provenivano dalla legnaia, dove sapevamo esserci la gatta coi suoi gattini. Con circospezione sono andato a slegare Dingo, e lui, quel vile, per tutta riconoscenza se l’è data a gambe, allontanandosi ancora di più; ma senza smettere il suo minaccioso abbaiare verso la legnaia. Appurato che non poteva essere un leone e che non potevo sperare nel cane, mi sono fatto coraggio, ho impugnato un forcone e mi sono avvicinato al luogo, da dove proveniva il “terrificante ruggito”. Si trattava semplicemente di una “bedora o skurotto” (una donnola?); ma, dato che in quel momento l’animale era sovreccitato, la situazione poteva essere pericolosa. Nonostante i richiami di mia moglie, ho iniziato a “sfrukonare”; e subito l’animale è schizzato via velocissimo. Era talmente “eccitato” che mentre correva lontano, continuava a “ruggire”, e quel ruggito ha continuato a sentirsi anche dai lontani Calisciari.
Come a ringraziarci dello scampato pericolo, la gatta è venuta a strofinarsi alle nostre gambe. Era malconcia, ferite sanguinanti sulle zampe, sulle orecchie, sulla testa: i peli ancora tutti arruffati. Con una torcia sono andato a vedere le condizioni dei gattini: il giaciglio era vuoto. Sconsolati siamo ritornati a letto: tanto coraggio, da parte nostra, per nulla. Al mattino la sorpresa: per la prima volta, tutti i gattini erano sulla porta di casa, vispi e allegri come niente fosse. E ti pareva che la Titti… Povero skurotto! E’ lui che se l’è vista brutta! Avrà imparato a sue spese che non bisogna mai insidiare una covata di gattini se nei dintorni c’è mamma gatta.
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GRAZIE, MADRE MIA!
di Concita
Sono due anni che mi reco al Santuario del Mirteto nel pomeriggio della “Festa Della Madonna” che si celebra i giorni 7/8 settembre. Sinceramente era mia abitudine andare la mattina presto del giorno 8; purtroppo gli anni passano per tutti, quindi bisogna adeguarsi... Comunque sono rimasta contenta: dopo poco che ero nel Santuario sono giunti i pellegrini di Ameglia con i loro parroco.
Quest’anno, per motivi di salute di mio marito, ho rifatto la solita trafila dell’anno scorso, però i pellegrini di Ameglia tardavano ad arrivare e così, dopo la Confessione, ho recitato le mie preghiere. Avevo nel cuore il pensiero di mio marito; con tanta angoscia mi decido a tornare a casa. Però, arrivata sulla porta del Santuario, mi sono trovata davanti un gruppo di pellegrini con la Santa Croce. In quell’istante è scesa su di me una pace e tranquillità d’animo: sono tornata indietro, ho assistito alla Santa Messa con rinnovato fervore.
Ti ringrazio, Maria, per la gioia che hai portato nel mio cuore; non so se meritavo tanto. Ti prego: dall’alto del tuo trono ricopri di grazie me e i miei familiari ed il mondo intero.
Grazie.
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Memorie missionarie
di Padre Carlo Cencio Missionario Carmelitano
I GUAI DELL’ORTOLANO RICADONO SUI MISSIONARI
Non era ancora successo che i centrafricani arrivassero a coinvolgere i padri missionari in questioni di spiriti, di likundu o di gbem. Il likundu è lo spirito cattivo, il malocchio, la maledizione… Lo gbem è l’arte di fare morire uomini e donne, per poi poterli riavere, come redivivi, durante la notte per lavorare le proprie piantagioni. Così si hanno tanti operai e non si paga nessuno. Si diventa ricchi con il lavoro dei morti.
Quando uno ha molte piantagioni, ha molti soldi, una casa con il tetto di lamiera invece che in paglia, e ha più cose degli altri, non si dice che lavora più degli altri, ma che sicuramente possiede lo gbem. Allora lo si accusa e si istituisce un processo contro di lui. Si chiama lo stregone e si arriva a metterlo in prigione o a farlo morire.
Jacques, il nostro migliore ortolano, ha fatto questa esperienza. La gente del suo villaggio è persino arrivata ad accusare padre Domenico e padre Aurelio di essere loro i colpevoli, perché avrebbero trasmesso a Jacques tale potere magico. La verità è che lui lavorava con noi e riceveva una paga, poi se andava a casa sua e lavorava ancora nella sua piantagione, che era bella fiorente; e infine aveva trovato un benefattore che gli aveva dato dei soldi per le lamiere della casa. Non aveva fatto lavorare i morti!
I padri si erano difesi benissimo da quella stupida accusa, ed erano riusciti a liberare Jacques, finito in prigione per quella storia assurda. Si trattava di sconfiggere non solo una credenza primitiva, ma soprattutto l’invidia delle belle piantagioni del seminario, ogni giorno più floride per le cure di padre Stefano Molon.
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Una testimonianza bella del triduo di S. Lorenzo ad Ortonovo
di Liborio
Carissimo Padre Carlos
Con la chiusura del triduo di San Lorenzo nel quale hai dato modo di
presentare i movimenti che nell’ordine sono stati il movimento dei Focolari,
Comunione e liberazione e I Catecumeni. Desidero esprimerti il mio personale
ringraziamento e riconoscenza per questo evento da te voluto ma decisamente
nuovo, illuminato e ispirato dallo Spirito Santo.
L’unico evento che ricordo è avvenuto a Roma il 30 maggio 1998 - vigilia di
Pentecoste – quando il Papa Giovanni Paolo II per la prima volta ha convocato i
Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità, in piazza San Pietro. E' stato un
avvenimento definito da molti "storico".
Anche se il camminino di queste diverse realtà ecclesiali è ancora lungo,
perché possano sentirsi una cosa sola in cristo Gesù, il cammino è iniziato e lo
Spirito Santo lo porterà avanti secondo il Suo disegno.
Abbiamo dato tutti la nostra testimonianza con modalità e forme diverse ma
in tutti è stato chiaro volersi identificare in Cristo Gesù e nella Sua presenza nella
chiesa.
Un carissimo GRAZIE e a presto
Liborio
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Diario di un parrocchiano di Casano- San Giuseppe
di Giuseppe Franciosi
Domenica, 19.9.2010.
Domenica 19 settembre, al termine della Santa Messa la Cita mi ha dato un foglietto (il contenuto i lettori lo trovano nella testimonianza “Grazie Madre mia” di Concita) nel quale lei parla dei pellegrinaggi al Santuario della Madonna del Mirteto che faceva negli anni passati (sempre al mattino presto del giorno 8); sono due anni invece che al Santuario ci va il pomeriggio del giorno 7 (la vigilia) non par motivi suoi, ma per motivi del marito ammalato. Anch’io ho problemi: ne ho tanti; così tanti che mi hanno costretto a cancellare, da quest’anno, il pellegrinaggio al Santuario del Mirteto. Quando vado a Messa nella mia parrocchia (San Giuseppe) percorro (andata e ritorno) sì e no 500 metri; eppure quando arrivo a casa sono stanco: devo riposarmi. Io al Santuario di notte non ci andavo mai, ci andavo invece di giorno, sempre a piedi, andata e ritorno. Arrivavo lassù verso le dieci; facevo una bella Confessione; mi preparavo per la Santa Messa delle ore11: la Santa Messa solenne. Non rinunciavo mai a questa Santa Messa, che gli amici della corale “Cantus Firmus” eseguivano tutti gli anni con grande impegno, con grande entusiasmo, diretti da un grande maestro, Renato.
Bei ricordi, ma da quest’anno soltanto ricordi. E’ vero che l’otto settembre ci sono i mezzi pubblici che portano su la gente, a Ortonovo; ma ti scaricano all’inizio della salita alla Madonna e la salita devi farla a piedi e io a piedi fatico a raggiungere addirittura la mia chiesetta.
Quest’anno la bella Confessione l’ho fatta nella mia chiesa con padre Onildo; gli ho detto che da quest’anno io l’otto settembre lo festeggerò con un giorno di ritardo, nella chiesetta di San Giuseppe.
Da casa mia ho seguito, ho atteso gli ormai famosi “fuochi”: li attenderò anche nei prossimi anni finché Dio vorrà. Vorrei che le mie difficoltà per raggiungere il Santuario l’otto settembre non fossero intese come disinteresse per il Santuario stesso: tutt’altro. Io tutti i giorni trascorro un bel po’ di tempo nel mio orto, dietro casa, ad ammirare, a contemplare il nostro Santuario. Ho delle vecchie sedie di ferro, ormai inutilizzabili all’interno della mia abitazione; le ho sistemate qua e là con una certa strategia, in modo che ce ne sia sempre una al sole, quando al sole si sta bene, e una all’ombra, quando il sole dà noia. Walter lo sa che quando non mi trova in casa, deve venire nell’orto e lì mi trova sempre. Da una di queste sedie contemplo il nostro Santuario: nelle giornate di sole quella facciata è una meraviglia: io non me ne allontanerei mai.
Credo che in tutto il nostro Comune siano poche le persone che contemplano il nostro Santuario più di me; contemplazione, ma anche preghiere: tante, per la Giulia e per tutte le persone a me care. La giaculatoria da me preferita è questa: Gesù, Giuseppe e Maria portate in cielo la Giulia mia. Mia nonna diceva infatti che per una bugia bisogna stare in Purgatorio per sette anni: può darsi che la mia Giulia una volta in tutta la vita (83 anni) ne abbia detta una e i sette anni non sono ancora passati: e allora forza con le preghiere.
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