Mia cara Nanna.
Come fare a scriverti? Cosa dirti di bello e di affettuoso, che non ti abbia già detto in precedenza? Un gioirlo sarebbe più semplice. Vai su dal Bernardini, chiedi, lui ti espone; tu guardi; uno ti piace; anche il prezzo è giusto; lo prendi; lo paghi; e te ne vieni via soddisfatto; sicuro che un gioiello farà sempre il suo effetto. Ma anche questa soluzione… Più facile a dirla che a metterla in atto. Perché andar fin lassù: con te; addio la sorpresa. E andarci, senza di te… Ormai è impensabile. Hai visto l’altro giorno, quando siamo andati in banca? E anche la volta dopo, quando ci siamo ritornati? Il posteggio che non si trovava e poi la faccenda del ‘ventolin’. Io che un tempo le mie gambe erano gambe dalle sette leghe, come gli stivali della favola… Ora, come si dice, faccio quattro passi in un mattone e ho per amico il bastone. Oltre te, naturalmente. Tu, sei diventata il bastone della mia vecchiaia. Tu, però, un bastone magico, come i famosi stivali di cui ti dicevo. Non mi fai fare sette leghe; ma, insomma, mi aiuti. E quando sono in difficoltà, invece di preoccuparti, mi dai la mano e mi sorridi e mi dici: “Su che ce la fai!”. E allora io guardo quel sorriso, divento subito forte e ce la faccio.
Mia cara Nanna, ho incominciato che non sapevo che dirti. E ora pur con le lacrime agli occhi (vedi, le mie parole fanno piangere anche me, oltre che gli altri), non finirei più di scrivere. Intanto, voglio dirti che il giorno in cui siamo andati in banca per i tuoi gioielli, è stato per me uno dei giorni più belli della mia vita. Perché (certo i gioielli fanno straordinari scherzi nell’animo di una donna, ne sublimano la femminilità e la sottraggono alla fiscale conta degli anni, la rendono un’eterna primavera), perché, andando verso la banca, ti sentivo accanto a me, una donna che, nel pensiero dei tuoi gioielli, uno per uno (ad ognuno un avvenimento; e, insieme, la meravigliosa avventura), rivivevi tutto il tuo amore della vita e lo benedicevi. E benedicevi le case dove via via questo amore aveva stanziato. Fino all’ultima, quella definitiva, la più intensa; quella nostra, in cui Emilio e Rita spesso ci vengono a trovare (a proposito, anche a loro un abbraccio di auguri, che oggi sono qui con noi), la casa con la quercia, i tre gatti, gli specchi fotovoltaici e l’aristocratica dipendenza ancora da arredare, ma con un caminetto che ha un tiraggio che è una meraviglia…
Ma non posso andare avanti, perché anch’io, ripensando a questa avventura, che ormai dura da più di quarantacinque anni, mi commuovo e piango e anch’io benedico la mia stella.
Ti abbraccio. Il tuo Carlo come non mai.
INSIEME
Noi due, un tempo, giovani cerbiatti,
nel bosco ricoperto, a primavera,
da tappeti di primule e pervinche,
ci inseguimmo, frementi, di corse e assalti,
fino a che, sazi ormai di spinte e scherzi,
gioco d’amore, insieme assaporammo.
Noi due, l’estate, cupidi colombi,
sempre in cerca di tenere carezze
dall’alba di quei soli fiammeggianti
fino all’esausta pace dei tramonti,
insieme uniti, fabbricammo il nido,
al prodigio di nascite esultando.
Noi due, nei freschi giorni dell’autunno,
cavalli chiusi dentro alti recinti
a pascere soltanto l’erba molle,
senza più applausi e senza folle urlanti,
perdemmo, insieme ancora, i nostri figli,
quei puledri, di gare già impazienti.
Noi due, poiché minaccia il triste inverno,
tartarughe rugose di cent’anni,
scrutiamo, tutto attorno, l’orizzonte
per sapere se ancora ci è concesso,
prima di farci vivere dal sonno,
di rubare, ma insieme, qualche istante.