N° 7 - Agosto-Settembre 2010
Storie dei lettori
  Un ricordo del Vescovo Siro
di Egidio Banti


 
 

Sono trascorsi tredici anni dalla scomparsa del vescovo Siro Silvestri, avvenuta alla Spezia il 14 giugno 1997, ma il suo ricordo resta ancora vivissimo. In quindici anni di episcopato, dal 1975 al 1990, il vescovo Siro lasciò infatti un’impronta molto forte nella diocesi della Spezia – Sarzana – Brugnato, “traghettandola” in modo definitivo nel contesto del dopo Concilio Vaticano II. Silvestri tornò nella sua diocesi di origine (era nato infatti ad Ameglia il 15 ottobre 1913 ed era stato ordinato sacerdote a Sarzana il 31 dicembre 1937), dopo vent’anni trascorsi come vescovo a Foligno, in Umbria, per raccoglierne le redini dopo il lunghissimo episcopato di monsignor Giuseppe Stella, durato ben trentadue anni. Stella era stato nominato alla Spezia nel 1943, in piena guerra, ed alla vigilia delle drammatiche vicende dell’occupazione tedesca e della lotta di liberazione. Egli fu davvero il vescovo della pace e della ricostruzione. Partecipò al Concilio insieme a Silvestri, che era già giovane vescovo di Foligno, e ne avviò le riforme.

Ma appariva evidente come tale cammino avrebbe potuto essere compiuto solo da chi gli fosse succeduto. Il vescovo Siro, giunto alla Spezia, impresse subito alla diocesi un ritmo intenso di lavoro pastorale. Anche in attuazione del convegno ecclesiale nazionale del 1976 su “Evangelizzazione e promozione umana”, avviò un intenso ciclo di iniziative di partecipazione e di dibattito, che coinvolsero energie ed esperienze di tipo nuovo. Fu molto forte, ad esempio, il dialogo con la CISL nell’organizzazione di un dialogo nuovo con il mondo del lavoro, già attraversato in provincia da forti venti di crisi, e nel contempo fu significativa l’apertura ai movimenti ecclesiali che si stavano affacciando alla vita della Chiesa locale, dai Focolarini a Comunione e liberazione, ad altri ancora.

Fu di rilievo anche l’attenzione per i mass media, considerati veicolo importante di nuova evangelizzazione. Nel febbraio 1976, meno di sei mesi dopo il suo ingresso in diocesi, usciva il primo numero di “Spezia 7”, pagina diocesana domenicale di “Avvenire”. Un rapporto, quello tra Silvestri e il quotidiano cattolico, che fu sempre molto intenso, e che si consolidò attraverso le feste nazionali tenute ogni estate a Lerici, alle quali il vescovo era presente in modo costante. Quando poi, nel 1977, l’abate di Santa Maria di Spezia Dino Viviani dette vita ad una televisione parrocchiale, Tele Liguria Sud, il vescovo seguì subito da vicino questa esperienza di tipo nuovo, e solo tre anni dopo TLS, per sua esplicita e precisa volontà (non facile da far accettare a tutto il clero), diventava televisione diocesana.

Gli anni Ottanta furono caratterizzati dal Sinodo diocesano, che non era stato più riunito da circa mezzo secolo. Un lavoro preparatorio molto intenso ed accurato consentì all’assise sinodale, per la prima volta composta in prevalenza da persone laiche, di elaborare una serie di indicazioni che restano ancora oggi fondamentali nell’organizzazione della vita pastorale della diocesi. Il Sinodo può dunque essere considerato come il coronamento di un episcopato molto fecondo. Notevoli furono le difficoltà e le preoccupazioni che il vescovo dovette affrontare in quegli anni. Sul piano sociale, soffrì per le incomprensioni legate, alla Spezia, città militare e di fabbriche d’armi, ad alcune sue prese di posizione contro la guerra e tutto ciò che la guerra alimenta. Egli non voleva certo augurare disoccupazione alla sua città (piuttosto era stato messo l’accento su prospettive di riconversione aziendale), ma purtroppo per alcuni anni egli non venne più invitato all’OTO Melara. Sofferta anche la vicenda dei quattro parroci condannati in primo grado dal tribunale della Spezia per alcune prese di posizione pubbliche contro l’introduzione del divorzio in Italia. Il vescovo volle che fossero difesi da alcuni validissimi esperti giuridici a livello nazionale, primo tra tutti il professor D’Avack, e così in appello la condanna venne annullata.

Altro motivo di preoccupazione era il calo delle vocazioni con la progressiva diminuzione dei sacerdoti. In collaborazione con il suo segretario don Luciano Ratti, personaggio di grande spicco nella vita della Chiesa locale, poi cancelliere e vicario generale, Silvestri predispose un programma di razionalizzazione nell’utilizzo del clero con un primo accorpamento delle parrocchie rimaste senza parroco stabile, ma nelle quali volle sempre rimanesse attiva la fabbriceria. Si oppose anche alla chiusura del seminario, risolvendo la situazione con l’invio dei seminaristi per i corsi di studio allo Studio teologico delle diocesi dell’alta Toscana, a Camaiore, più facilmente raggiungibile rispetto a Genova.

Molto forte fu anche l’impegno a sostegno delle nuove “povertà” ed in particolare per il sostegno ai giovani in disagio sociale o tossicodipendenti. La diocesi, al riguardo, fu all’avanguardia in Italia sin dai primi anni Ottanta.

Lasciato l’incarico all’inizio del 1990 al suo successore, il vescovo Giulio Sanguineti, Silvestri si ritirò nella casa natale di Ameglia, dove trascorse gli ultimi anni, adoperandosi perché – alla sua morte, che presagiva non lontana – le sue spoglie potessero essere sepolte in una cripta dei vescovi che alla Spezia mancava, e che egli volle far realizzare nel sottosuolo della cattedrale di Cristo Re. Lì ora egli riposa, tra l’affetto, la gratitudine e la considerazione dei tanti che lo hanno conosciuto.

 


 

  Il buon grano e la zizzania
di Don Romeo Rossetti


 
 

Prima di tutto: un ricordo in quanto parroco di San Martino, 50 anni fa.

In quei giorni accadde che un carissimo confratello parroco, peraltro di grande cuore, in un momento di debolezza morale ma penso anche fisica, aggravata dalla grande solitudine e lasciato solo a sé stesso, purtroppo anche dai confratelli, si trovò coinvolto in un triste fatto di sesso su minori di pubblico dominio. Questo fatto, in una zona poi, almeno allora, politicamente calda ed avversa, creò un clima zonale assolutamente ostile e offensivo.

         Io stesso, in quei giorni, venendo da Sarzana, dove facevo scuola in seminario, in autobus, per tutta la durata del viaggio, fui bistrattato ed offeso, senza però che da parte mia ci sia stato un qualche riscontro: accettai la situazione, tuttavia con una certa paura del peggio e cominciai a respirare una volta sceso in piazza a Casano Basso.

         Anche in questi giorni non si placa la polemica sull’emergenza pedofilia all’interno della Chiesa: lo stesso Corriere della Sera, che si presenta come il maggiore giornale del Paese, gli dedica quasi ogni giorno ampi spazi. Vengono sollevate in entrambi i casi la criticità e la gravità del problema che ha dimensioni enormi e coinvolge anche le alte gerarchie della Chiesa, specialmente vescovi diocesani. Finora si sono cercate coperture; adesso il ‘marcio’ che lo stesso Papa, allora cardinale, aveva denunciato, viene a galla e non si deve più nascondere. Come nel caso di una malattia meglio affrontarla a viso aperto e cercare di debellarla, anche perché per colpa di alcuni viene gettata un’ombra pesante sulla maggior parte del clero, indubbiamente così si spera, sana e osservante.

         Giudicando però le cose con onestà e sincerità, tutti sappiamo che la Chiesa, essendo anche umana, non è solo santa ma pure peccatrice, formata da uomini fragili, che possono anche sbagliare, sull’esempio di Giuda e specialmente di Pietro come di tutti gli Apostoli, scelti, d’altra parte, direttamente da Cristo. Sono convinto che la Chiesa saprà riprendersi, come ha già cominciato a fare, da questa situazione di sofferenza ed eliminata questa piaga, tornerà a risplendere più di prima.

         La Chiesa, essendo oltre che umana, divina, non è nuova a queste riprese: è sempre successo così, lungo i secoli della sua lunga storia. Per fare degli esempi vicini a noi, basta osservare la ripresa travolgente del Concilio Vaticano II con il quale la Chiesa ha debellato completamente il suo passato di “potenza politica, militare e finanziaria” per ritornare ad essere, almeno nel deciso tentativo, una copia della Chiesa primitiva: la Chiesa che Cristo stesso ha voluto.

         Basta inoltre ricordare il gesto autorevole e assoluto, con cui il Santo Papa, Giovanni Paolo II, ha chiesto solennemente ed ufficialmente perdono a tutto il mondo per i peccati commessi dai cristiani (io direi specialmente dalla gerarchia) nel corso della storia della Chiesa, cominciando egli stesso a dare l’esempio di una rinnovata ecclesiologia in modo che tuttora continua nella persona del santo, dotto ed energico attuale Pontefice, mediante il quale la Chiesa si è già notevolmente ripresa e fra non molto ciò che è successo sarà solo un ricordo, anche se spiacevole.

         Come il Padre, nel nome di Gesù, ha mandato lo Spirito Santo sugli apostoli, ignoranti e paurosi, nel giorno di Pentecoste, trasformandoli in apostoli e testimoni in tutto il mondo, così avverrà oggi, sotto l’azione misteriosa ma sempre presente dello Spirito Santo che il Padre, nella continua rinnovata Pentecoste, non cesserà mai di mandare sulla Chiesa del suo Figlio unigenito, destinata a portare la sua divina Parola in

 Ogni angolo della terra, mediante l’eroismo di quei tanti sacerdoti missionari che compensano indubbiamente quel ristretto numero di preti e vescovi che, sull’esempio di Giuda, hanno tradito il loro ministero.

         Deo gratias, soli Deo honor et gloria. Tanti saluti in Cristo Crocifisso e Abbandonato.

 

Varano de Melegari, 31.05.2010                                                                   Don Romeo Rossetti
 

  Nel deserto non piove mai
di Marta


          

 

          

          Nel deserto non piove mai pur tuttavia, quando incontriamo le oasi è un miracolo della natura. Dopo oltre cento anni era scoppiato un temporale e, sin dove giungeva lo sguardo, il deserto si era trasformato in un grande giardino fiorito. Sembrava impossibile ma quei semi rimasti a dormire tutto quel tempo, il sole e il vento li avevano seccati, mentre attendevano che piovesse di nuovo. Se qualcuno dubitava che la vita fosse eterna, quella era la promessa dell’immortalità: se i fiori potevano sopravvivere così, sicuramente, anche l’anima dell’uomo, tanto più meravigliosa e preziosa, doveva vivere anch’essa per sempre.

         L’acqua sgorgava dalla fenditura della roccia che solcava la parete, usciva con la lentezza di una lacrima, gocciolava in un bacino grande come il palmo di una mano. Eppure, quanta vita riusciva ad alimentare quel minuscolo rivolo d’acqua! E’ come quando si ascoltano delle buone parole che rimangono impresse nel nostro animo; dapprima piccole, quasi insignificanti, poi, piano piano, crescono, si fanno sentire, bussano, perché noi le possiamo ricordare e mettere in pratica.

         Il bello di un viaggio comincia prima di partire: cosa porteremo in valigia? Poche cose, le più utili, quelle indispensabili, pronte al bisogno nelle necessità del momento. Ed ecco che ci prepariamo al viaggio della nostra vita. Quante cose belle faremo? E quelle brutte? Come rimediare? Nel deserto, la notte, non c’è luce alcuna. Solo la luna riesce a dare un barlume a quella distesa di sabbia; il cielo si presenta in uno spettacolo inimitabile; i nostri occhi  si allargano per abbracciare tutto il firmamento e, con un lungo respiro, ci immergiamo nell’ignoto oceano della nostra psiche: i come e i perché si accavallano pretendendo subito delle risposte. Quel cielo è come una veste, la veste della nostra anima fino a quel momento rimasta nuda.

         Le stelle illuminano il firmamento con luci perlacee, poi fulgide e sfavillanti e noi, piccoli uomini, siamo miseramente consci delle nostre piccolezze.

         Dio, quanto sei grande!

 

 

  L’ANNO SACERDOTALE
di Paola G. Vitale


 

 

L’ANNO SACERDOTALE

 

            Alla luce di tante vicende riguardanti  la Chiesa cattolica, molte delle quali ci hanno sicuramente rattristato, si fa presente in me un lucido pensiero. Il Santo Curato d’Ars, che abbiamo tanto pregato, ha veramente manifestato la sua intercessione presso Dio, nel sacramento della Penitenza o Riconciliazione, cominciando a richiamare ad esso tutti quei ministri di Cristo in qualche modo manchevoli nella santità.

            “Siate santi, perché io sono santo!”, ci ha lasciato detto Gesù. Questo richiamo alla santità è uno struggente richiamo di tenerezza e di amore, di vicinanza a Gesù, quasi potessimo posare il capo sulla sua spalla, come poté fare Giovanni, il discepolo prediletto. Credo davvero che  Giovanni evangelista sia stato ricolmo di tenerezza e di amore, come dovrebbe essere anche l’anima di ciascun cristiano, nella circostanza della gioia, come in quella della fatica e in quella del dolore.

            Questa certezza del Cristo, presente a noi in ogni momento della vita, è davvero garanzia di fortezza nelle avversità, di superamento dell’umana debolezza, del rafforzamento in noi della Speranza nella Vita Eterna a cui Cristo, per volontà del Padre, tutti chiama.

 

           Luni Mare, 25.05.2010                                                    

 

  IN CERCA DELL’ANIMA
di Romano Parodi


 

 

Tutti i popoli hanno un’anima, gli italiani, no. Non avevano patria nei millenni passati, e ancora, la patria, non l’hanno trovata. Già Lamartine diceva che l’Italia era solo un’espressione geografica, un paese senza italiani. Siamo un popolo irrimediabilmente attratto dalle dittature, piccole o grandi, locali o nazionali; “perché le dittature hanno questo di buono: sanno come farsi amare”. (E. Flaiano).

Ho letto alcuni brani del libro del vescovo di Terni, mons.Vincenzo Paglia, e ne sono rimasto impressionato. Il vescovo vede negli italiani la rassegnazione e l’inerzia. L’inerzia che infiacchisce l’anima; che  non ha più passione e non sogna. Non sognano i giovani a cui il futuro non appare più come una promessa ma come una minaccia. Non sognano gli adulti, sommersi da problemi sempre più onerosi. Non sognano i vecchi a cui è stata allungata una vita piena di sofferenza e di vuoto. L’inerzia è come un fiume che tutto ingloba e che pigro scorre verso un mare lontano. A rallentare l’annoiato cammino è solo il suo ristagnare nelle paludi inquinate e piatte.

            Questo infiacchimento spirituale rende gli italiani sempre più tristi. Vedono solo la “dittatura del presente”, sono incapaci di guardare oltre. Il libro rivaluta la rivoluzione del ‘68, non tanto per i contenuti, ma per la passione che esprimeva e che attraversava tutta la società, anche quella ecclesiastica. Allora era difficile parlare di inerzia. C’era una gran voglia di futuro e soprattutto di futuro collettivo, perché a differenza di oggi le relazioni erano più solide. C’era voglia di comunità, e non di quella solitudine di massa con gli occhi pieni di televisione. “Il popolo si governa con le televisioni”- dice una massima della P2 -. “Crea un popolo ignorante e farai ciò che vuoi”, diceva Licio Gelli. Ahinoi, quanto aveva ragione!

            Tutto questo in un’Italia cattolica che ha il suo centro nella “comunione”, che vuol dire comunità, soccorso al prossimo (in quelle forme puntualmente elencate nel “Discorso della Montagna”). Ma in questa Italia senza solidarietà, senza compassione, senza commozione per il proprio simile più svantaggiato, in questa Italia dove i suicidi giovanili sono in forte aumento, dove i giovani si logorano nella mente e nel corpo in cerca di un lavoro che non arriverà mai (un ragazzo su tre, attualmente, non ha nessuna possibilità di lavorare) e sprofondano nella depressione. Non sarebbe meglio prendere la distanza da una certa classe sociale?  Non è questo il grande comandamento del Cristianesimo che chiede di scorgere Dio nei poveri che incontri lungo la strada?

            Si avvicina il centocinquantesimo dell’unità d’Italia e lo storico E. Gentile ha pubblicato un libro dal titolo emblematico “Né stato né nazione: italiani senza meta”. Gentile, nel solco di Massimo d’Azeglio, dice che i “peggior nemici dell’unità d’Italia sono gli italiani”. Le fiammate di orgoglio patrio, che ci sono, vengono ridimensionate come “fuochi fatui”. Oggi sono in tanti a paventare la fine dell’Italia, da Bollati a Bobbio, da Rusconi a de Felice. “Un popolo sottoposto da millenni a un continuo ripensamento della propria identità”, dice Gentile, “finisce per perderla”. Ed ecco la Lega nord, presto la Lega sud, poi quella di centro, ecc.  Il finale di “italiani senza meta” rimane aperto, ma con questo “innetto” (G. Ferrara), le luci di fondo appaiono sinistre.

 

Di me, amico, conosci brani condivisi e non, ma fatti con l’amore

di chi si finge un principiante per meglio assecondare il proprio umore.

Nel merito vivo come si vive questa vita: sempre in salita.

Quando posso prendo fra le dita quel che mi piace di capir del mondo

lo infilo nella matita e lo diffondo.

Se a te, lettor, porto contento, fammelo saper col tuo commento.

In fondo non pretendo d’essere una cima, non chiedo emolumenti.

Mi basta passar, senza pensier, momenti,

per affrontare questa sofferenza che chiamano esistenza.

 

 

 

  Diario di un parrocchiano
di Giuseppe Franciosi


 
 
 

Sabato, 14.8.2010.

            Questa sera, alle ore 20, ho partecipato ad un incontro in parrocchia. Quando la Ottavia mi aveva invitato a partecipare io avevo detto di no, non per ragioni particolari ma perché da quando se n’è andata la Giulia (2.6.07) io non esco più di casa: esco solo per andare a Quarazzana, paese dove la Giulia è nata, dove ha vissuto infanzia e giovinezza, dove ci siamo sposati . Ho scoperto poi che all’incontro avrebbero partecipato anche Piergiuseppe e Barbara e allora ho detto sì anch’io. L’incontro avrebbe avuto inizio alle ore 19 con la proiezione di un filmato sulla vita nel Guatemala, ma io mi sono presentato alle 20 e quindi non sono in grado di dare giudizi su di esso. Per le ore 20 era prevista la “cena”, una “cena” un po’ particolare; erano previsti piatti della cucina del Guatemala. Non ci sono stati problemi per me: tutti i piatti sono risultati ottimi; un solo difetto: nei piatti c’era troppa roba; io mangio poco e così mi sono limitato a piluccare qualcosa qua e là. C’era molta gente, c’era molta allegria: mi pare che la “cena” sia stata un successo. Qui nella nostra parrocchia, serate, cene come quella di stasera sono una rarità, ma a Ortonovo, al Santuario vengono organizzate spesso, ma io non partecipo. Spesso ricevo inviti, ma io quasi sempre dico di no.

Lunedì, 12.7.2010.

E’ morto Duccio. Qualche lettore del “Sentiero” si domanderà: “Ma chi era Duccio?”. Duccio abitava a Serravalle; era un professore; insegnava matematica nella nostra Scuola Media. Abbiamo lavorato insieme per tanti anni e fra noi non c’è mai stato un momento di crisi. Quando penso a lui, vedo un volto sereno, ma severo. Di tanto in tanto quando andava a prendere il giornale (il Corriere della Sera), si fermava a casa mia e facevamo lunghe chiacchierate. Gli argomenti che interessavano a lui erano sempre due: l’Europa e Mario Da Milano, argomenti che interessavano anche a me. Di Mario Da Milano ero amico: quando mi sono sposato (9.9.51) al mio matrimonio erano presenti anche Mario Da Milano e l’ing. Mario Casani. Bella giornata quella: quanta felicità quel giorno. Qualche lettore forse ricorderà che qui a Ortonovo, tanti anni fa, c’era il Movimento Federalista Europeo. All’inizio della nostra attività ci riunivamo in casa di Mario Da Milano; poi, cresciuti, meglio organizzati, siamo riusciti ad avere una sede dignitosa a Serravalle; l’on. Paolo Emilio Taviani, sottosegretario agli Esteri, era venuto per l’inaugurazione: una grande giornata quella, per noi! Mario Da Milano era il trascinatore del gruppo; con lui abbiamo girato l’Europa; quanti dibattiti nel cinema di Dogana sull’Europa fra Da Milano e l’on. Fasoli; ogni volta toccava a me presentare Mario al pubblico: ne approfittavo per far capire alla gente che anch’io ero un fanatico dell’Europa.

            In questi giorni Sandro Capitanio, segretario regionale del Movimento Federalista Europeo, mi ha inviato una lettera dalla quale prendo alcune riflessioni.

            E’ scomparso prematuramente un militante federalista di grande valore: Duccio Grassi, segretario della sezione MFE di La Spezia. Partecipiamo con grande commozione al dolore della moglie e della figlia per una perdita così improvvisa e lo vogliamo ricordare a tutti i federalisti italiani e della Liguria che lo hanno conosciuto ed apprezzato. Era nato l’11 settembre 1938 e si era iscritto alla GFE nel 1952 diventando segretario della sezione di Ortonovo. In quegli anni insieme a Mario Da Milano e tantissimi giovani della provincia spezzina fu protagonista delle battaglie che videro   l’ MFE impegnato per l’approvazione del progetto della CED e dell’articolo 38. Da circa 20 anni aveva rifondato la sezione MFE di La Spezia e provincia ed aveva saputo circondarsi di tanti giovani ai quali era riuscito a trasmettere la sua carica di entusiasmo. E’ stato eletto ripetute volte nel Comitato Centrale del MFE e nella Direzione nazionale.

            Pochi anni fa Duccio dedicò alcune belle parole al ricordo di Mario Da Milano, anche lui un grande federalista spezzino; siamo convinti che oggi, per l’amicizia che lo legava a Mario sarebbe contento se utilizzassimo le stesse parole per ricordare lui: “...è sempre tra di noi, riferimento dei riferimenti, non soltanto nel Paese e nella provincia di La Spezia, ma fra tutti i federalisti italiani.

            Con Duccio abbiamo lottato per la CED, un’organizzazione che prevedeva l’elezione di un Parlamento Europeo entro sei mesi dall’approvazione dei Paesi aderenti, Italia, Belgio, Olanda Lussemburgo, Germania e Francia; sembrava fatta, sembrava che l’Europa fosse lì, a portata di mano, ma invece la Francia bocciò la CED e tutto crollò e ci ritrovammo con un pugno di mosche in mano. La sera che arrivò la notizia della bocciatura da parte della Francia eravamo tutti (Duccio in testa) a casa di Mario. Che tristezza! Duccio ha sempre ritenuto il lavoro di Mario meritevole di riconoscimento, meritava qualcosa qui a Ortonovo. Sembra che l’Amministrazione Comunale gli abbia promesso la dedica del piazzale del cimitero di Nicola (i Da Milano erano di Nicola), ma Duccio voleva la dedica  della piazza di Serravalle. Non so se quello che era stato promesso a Duccio sia ancora valido per l’Amministrazione Comunale: spero proprio di sì.

 

 
 

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