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Sessant’anni di Sacerdozio
di Agostino
Come promesso nell’articolo pubblicato lo scorso mese eccomi a presentare la vita di Don Domenico (Ceccardo) Repiccioli, questo mio zio sacerdote che a 90 anni il prossimo 16 Ottobre, non ha perso la propria serenità che puoi avvertire anche quando chiami al telefono per sapere come sta: “bene, da signori” è la sua risposta.
Quando ritorna da noi, sempre meno spesso purtroppo, lo accompagno a Nicola o al Santuario a celebrare la SS.Messa e nel viaggiare, rivedendo i luoghi natii, mi racconta un po’ della sua infanzia trascorsa ad Ortonovo; quando andava a Luni a lavorare nei campi o saliva al paese, dal frantoio di San Martino, in piena notte, con il mulo carico di otri d’olio appena franto. Ma quello che più mi ha colpito è il racconto della sua partenza per il seminario a 15 anni nel 1935. All’epoca era parroco del paese Don Simonelli ed il Santuario era sede di noviziato ed una casa importante per l’Opera della Divina Provvidenza. Diverse vocazioni erano già maturate tra i giovani di Ortonovo (ben 8 saranno i sacerdoti orionini nativi del paese) e anche Ciccardin (così era chiamato ed è ancora chiamato in paese dai vecchi) avvertiva questa attrazione verso la figura di Don Orione. Quel giorno dell’8 Settembre 1935, Don Sterpi, che proveniva da Roma, decise di fare una visita improvvisa al Santuario. Il giovane Ceccardo, al momento della partenza di Don Sterpi, corse dalla mamma (mia nonna Antonie’) salutò e senza tanti discorsi saltò sulla carrozza e poi sul treno a Luni diretto a Tortona, sede del Seminario Minorile della Piccola Opera della Divina Provvidenza. Comincia così una nuova vita nella famiglia Orionina, a cui dedicherà tutta la sua vita in umiltà ed ubbidienza, sempre pronto a rispondere sì alle richieste della Divina provvidenza. Un senso di appartenenza che si avverte ancora oggi, quando a qualche mia richiesta (mi ricordo che un giorno gli chiesi, in eredità, la sua personale collezione di francobolli) mi risponde “questa è casa mia, rimane tutto qua”, e/o ti mostra le cose fatte per migliorare i servizi agli anziani o ai parrocchiani.
Come dicevo parte da Ortonovo nel 1935 all’età di 15 anni e trascorre il periodo della sua formazione tra Tortona, Montebello e Voghera fino al 28 Giugno 1950, giorno della consacrazione sacerdotale. Anni difficile e di guerra che vedono Don Domenico prima studente e poi assistente dei novizi; di questo periodo mi ricorda spesso del miracolo di cui è stato beneficiato il 18 Ottobre 1938. In quei giorni la comunità Orionina, in preparazione della festa, stava abbellendo il nuovo Santuario della Madonna della Guardia; Ceccardo, che era trai più attivi grazie anche alla sua agilità fisica che conserva ancora oggi, era salito su una impalcatura oltre i trenta metri per installare l’illuminazione quando all’improvviso cadde, infranse una vetrata della cupola e atterrò sul pavimento. Allarme generale, corsa all’Ospedale, preoccupazione ma, grazie alla Madonna?, il ragazzo non si era fatto nulla di serio.
Il 28 Giugno 1950, con il paese in festa, celebrò la prima messa a Ortonovo nella chiesa parrocchiale dei SS. Martino e Lorenzo; il mio povero nonno Isè (Giuseppe), contadino, diede fondo ai pochi risparmi ed organizzò un gran “pranzo” (succedeva così anche per i matrimoni) nel salone dell’Asilo grazie all’aiuto di tanti paesani e alla maestria della Leona (mitica figura femminile ed esemplare cristiana di Casano, perpetua di tanti sacerdoti, e di cui bisognerebbe parlare) che mio zio non mancava mai di andare a trovare ogni qualvolta veniva a casa. Don Domenico, uomo pieno di sorprese, aspettò la fine dei festeggiamenti per comunicare ai famigliari della imminente partenza per…l’Argentina, destinazione Victoria di Buenos Aires che raggiunse dopo una traversata di 25 giorni..
Inizia così la vita sacerdotale di Don Domenico Repiccioli, in Sud America, dove rimarrà ininterrottamente sino al 1962, senza mai tornare in Italia e a casa.
In Argentina il Fondatore dell’Opera, don Luigi Orione, aveva aperto la prima casa nel 1921 a Victoria vicino Buenos Aires e dove, tornatovi per la seconda volta dal 1934 al 1937, trovò cinque Case maschili e tre femminili. Due necessità, due speranze si palesavano in quel mondo nascente: a) una casa di probandato e noviziato per i religiosi che avrebbe permesso lo sviluppo autonomo della Piccola Opera in Argentina; b) il sorgere di un “Piccolo Cottolengo” argentino.
Quando Don Domenico giunge nel 1950 in Argentina le Case orionine sono molte di più, i nomi di tante di queste mi sono rimasti nella memoria per i racconti di mio zio: il Cottolengo di Claypole, il Santuario mariano di ITATI, Barranqueras nel desolato Chaco, Cordoba nella sconfinata Pampa, Mendoza ai piede delle Ande, Mar del Plata ed altri ancora. Come ho già detto don Domenico tornò a casa solamente dopo…dodici anni, nel 1962, a seguito della morte del padre. Io avevo quattro anni e mi ricordo questo prete che mi prendeva in braccio e mi raccontava delle sue avventure: la vita nella sconfinata Pampa con i gauchos a predicare e a mangiare l’asado, le traversate di torrenti e fiumi in piena su ponti in corda e legno, le migliaia di chilometri di strada fatti per barattare il risultato del lavoro svolto da lui e dai seminaristi con camion di farina e cibo per sfamare le comunità. Con il crescere mi raccontò anche dei problemi e delle difficoltà incontrate con il regime di Peron. Non tutti sanno che i “preti”, durante questo regime, furono perseguitati e rischiarono anche la morte. In particolare don Domenico sfuggi per ben due volte agli arresti, grazie alle precauzioni prese o alle informazioni ricevute. Un pomeriggio, mentre era in casa, vestito da soldato polacco (travestimento precauzionale), gli si presentano dei militari che chiedono di “on Domenico “onde sta padre Domingo?”. Mio zio fa finta di niente e risponde che padre Domingo non c’è. Loro insistono ed allora li accompagna in giro per la casa a cercare e a domandare a tutti “onde sta Padre Domingo?” senza ottenere risposta da alcuno. I soldati prima di andarsene promettono che sarebbero tornati il giorno dopo. Don Domenico il giorno dopo era già in un’altra casa orionina. Un’altra volta, a seguito di una soffiata, erano venuti a conoscenza di una retata prevista per i giorni successivi. Don Domenico e i seminaristi rimasero nascosti nel sottotetto dei mulini a vento per diversi giorni. Ancora: una notte la casa di Cordoba è presa di mira e da una macchina in corso vengono sparati raffiche di mitra contro la facciata. Una vita avventurosa, fatta di sacrifici e di rischi, ma che ha dato a don Domenico tante soddisfazioni per la quantità e la qualità di vocazioni nate in quegli anni. Un suo allievo è stato nominato Generale Superiore dell’ordine.
Nel 1968 torna in Italia e dopo qualche giorno trascorso a casa, riparte per la Spagna, all’epoca sotto il regime Franchista, con il compito di ricercare tra i giovani vocazioni sacerdotali. In considerazione della relativa vicinanza della Spagna, le visite a casa erano più frequenti e delle vere e proprie “sorprese” perché all’epoca il telefono in casa non c’era ancora ed il suo arrivo non era preannunciato. Capitava così che al mattino presto mia madre, quando si recava a lavorare “in giornata” nei terreni, incontrava don Domenico mentre saliva a piedi per la ‘montata’, la mulattiera che collega Casano con Ortonovo paese, dalla stazione di Luni. Mi raccontava della sua vita in Spagna, dei km e km percorsi da una città all’altra, a bordo della sua Citroen 2 CV con un panino e una bottiglia d’acqua per il pranzo, per incontrare Parroci e ragazzi. Cascante, Pamplona, Leon, Oviedo e Burgos: tutte città spagnole di cui sentivo parlare e delle quali mio zio illustrava le bellezze: mi parlava della corrida, della corsa dei tori per la città e di altro ancora.
Nel 1976 rientra definitivamente in Italia e assume l’incarico di Direttore del Piccolo Cottolengo di Sanremo al servizio degli “ultimi”: anziani e “buoni figli”. Ancora una nuova esperienza che don Domenico accetta con il suo abituale spirito di servizio in piena umiltà e con la sua proverbiale serenità ed allegria. Posso raccontare la sua giornata perché ho avuto la fortuna di condividerne il percorso temporale dal mattino alla sera per alcuni giorni. Sveglia al mattino presto (alle quattro) per andare al mercato a scegliere la frutta e la verdura più bella a minor prezzo; visita dei reparti intercalata dai momenti di preghiera canonici e lavoro d’ufficio per la risoluzione dei problemi di gestione della casa. Trenta dipendenti, tra infermieri, operai e oltre 100 ospiti tra anziani e handicappati (buoni figli) più o meno allettati. La giornata terminava alla 22,00 con il giro di tutte le camere per controllare se era tutto in regola. Insomma era il primo ad alzarsi e l’ultimo a coricarsi.
Questa esperienza terminò nel 1982 a seguito di un evento che fece soffrire molto don Domenico, più nello spirito che nel corpo nonostante le quattro costole fratturate. Successe che un ricoverato, molto robusto si scagliò contro mio zio e con un bastone lo riempì di botte. Lo ricordo molto bene perché la convalescenza la passò a casa di mia madre. Dopo questo fatto, per la prima volta, chiese il trasferimento in un’altra casa con un incarico diverso. Il Provinciale lo destinò in Sardegna, a Carbonia, come vice parroco della parrocchia del Rosmarino, dove rimase fino al 2009 divenendo punto di riferimento di tutti i fedeli, grazie alla sua disponibilità e serenità; ne ho avuto piena e diretta testimonianza nelle diverse visite fatte in questi anni e nell’assistenza che i parrocchiani gli hanno prestato nei momenti del bisogno (pochi per la verità, considerata l’età).
Nel 2009 a seguito della chiusura della casa di Carbonia, all’età di 89 anni, ritorna a Sanremo sempre sorridente e felice. Proverbiali sono le sue frasi: “Mi dovrei chiamare Fortunato, vista l’età raggiunta in così buono stato, ma che è niente in confronto alle 120 primavere che dovrò trascorrere su questa terra”.
Poi da buon orionino chiude sempre un incontro con un “AVE MARIA E AVANTI”!
Siete tutti invitati a partecipare alla celebrazione del 60° di SACERDOZIO il giorno 29 LUGLIO alle ore 17,00 al Santuario N.S. del Mirteto a d Ortonovo.
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UNA DOMENICA SPECIALE AL SANTUARIO
di Federica
Domenica 18 aprile 2010 un giorno speciale anche per il mio bambino di 5 anni. Per tutto il giorno Pietro, il mio bambino, stà con Matteo, un bambino più grande di lui, conosciuto in quella giornata. Arrivata l’ora della S.Messa, Pietro cerca insistentemente Matteo, perchè vuole ancora stare con lui durante la funzione. A quel punto preoccupata gli chiedo se era successo qualcosa fra di loro, e Pietro con semplicità mi racconta del loro magnifico incontro: “Mamma, oggi con tutti i bambini del gruppo, abbiamo giocato a nascondino, ad un certo punto stavo correndo e sono caduto; Matteo si è accorto di me ed è tornato indietro. Mi ha aiutato ad alzarmi e mi ha chiesto se mi ero fatto male. Insieme abbiamo raggiunto gli altri e Matteo li ha rimproverati per non avermi aspettato.”Mentre Pietro mi racconta quanto accaduto, il mio cuore è pieno di gioia. Io e Pietro insieme abbiamo vissuto quel messaggio di Gesù che Chiara Lubich sempre ricorda:
“Date e vi sarà dato”.
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Lettera al Sentiero
di Mila
Caro “Sentiero”
Da ligure DOC quale sono, nata proprio in un piccolo paese abbarbicato su di una scogliera, in genere noto sempre quegli avvenimenti sui quali c’è da mugugnare, ma per una volta vorrei parlare di qualcosa di positivo. In questo mese ci sono stati diversi momenti di aggregazione, di meditazione, di fraternità che come bagliori di luce irradiati, dopo la visita pastorale del nostro Vescovo e la conferenza sulla sfida educativa, portano a ben sperare.
Fra tutte queste iniziative vorrei ricordare l’omelia di don Piero Cantoni, tenuta al santuario del Mirteto in occasione dell’adorazione eucaristica interparrocchiale. Don Piero ci ha fatto meditare con parole toccanti e riflessive sull’inizio della vita, su come accoglierla e proteggerla.
Ma c’è un avvenimento, che si ripete ormai da quasi due anni tutti i primi sabati del mese, che mi sta particolarmente a cuore: il pellegrinaggio ad uno dei vari santuari Mariani della nostra Diocesi.
Questo mese il pellegrinaggio ci ha portato alla Spezia, al Santuario di Nostra Signora della Salute di Piazza Brin. Per la maggior parte della gente del nostro Vicariato questo è un santuario come un altro, ma quando mons. Moraglia nella sua omelia ci ha invitato a ricordare coloro che ci avevano preceduto in quella chiesa, io mi sono commossa non poco: quella infatti era la chiesa di mia suocera. La famiglia di mio marito ha abitato per anni in un appartamento proprio di fianco alla chiesa e in seguito, anche dopo essersi trasferita in un altro quartiere della città, lei ha continuato a fare una visita, tutti i giorni, al Santuario. Altre persone a me care hanno avuto in quel luogo l’ultimo abbraccio della Chiesa; si può quindi capire la mia commozione.
A parte le considerazioni personali questi pellegrinaggi sono entusiasmanti per tanti motivi: innanzi tutto ci danno la possibilità di santificare il giorno dedicato alla Madonna, altrimenti un po’ dimenticato. Invece, una volta preso l’impegno di andare, o pioggia o bel tempo si parte tutti assieme e via, Rosario nel pullman e poi la S. Messa al santuario. A proposito di pioggia! Ne abbiamo presa proprio tanta sabato 8 maggio! La processione per le vie della città si è svolta sotto un diluvio, ma noi imperterriti! Alcune persone che si erano riparate sotto i gazebo dei bar ci guardavano. Fra loro ci saranno stati dei credenti, che si saranno uniti alla nostra preghiera. Qualcuno forse avrà pensato: “Ma questi sono tutti matti!” Pazienza. Ma chissà che qualcuno che non pensava più a Dio da tanto, troppo tempo, non si sia ricordato di Lui vedendoci sfilare in processione.
Naturalmente il motivo principale di questi pellegrinaggi è quello di pregare per i nostri sacerdoti anche se poi ognuno porta alla Madonna i suoi dolori e i suoi “grazie”. Però perché non ammetterlo? Sono anche occasioni di svago. Per esempio, scendendo dal Santuario sopra Rio Maggiore, due mesi fa, c’era gente incantata nel vedere quel panorama favoloso, la distesa del mare che si apriva sotto i nostri occhi, i filari delle viti in quei fazzoletti di terra che l’uomo ha ricavato con tanta fatica sui fianchi scoscesi di quelle colline. Con i pellegrinaggi abbiamo anche scoperto tanti angoli della nostra diocesi che altrimenti non avremmo mai visitato. E poi è bello ritrovarsi tutti insieme al mattino sul pullman: vecchie amicizie ritrovate e altre, nuove, che si intrecciano: spiegazioni, chiarimenti, progetti. Insomma, se si sta insieme in pace e in preghiera non può essere altro che costruttivo, senza poi dimenticare il consueto momento di agape fraterna al termine della celebrazione Eucaristica. Mica male la focaccina col caffè!
Grazie al nostro vescovo, mons. Francesco Moraglia, e grazie a tutti i sacerdoti e i seminaristi che partecipano con tanto entusiasmo e infine grazie anche a coloro che si premurano di organizzare i pullman e tutto il resto.
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Aspettando le rose bianche
di Paola G. Vitale
Non c’è da sbagliarsi: è proprio Caterina, con la sua andatura da signorina ‘bene’. Sono consapevole di dover affrontare un ciclone dal momento che la relazione su quanto fissato è ancora lì, da mettere insieme. Mi allontano dalla veranda e vado ad aprire con un sorriso ambiguo sulle labbra. Cate posa le sue belle mani sulle mie spalle: “Su, non stiamo qui a parlare, vediamo un po’ di realizzare e concludere l’impegno preso”. E mi spinge al tavolo cosparso di immagini e commenti vari. “Ha già capito tutto”, penso io. Ed è proprio così; ma la calma di Cate mi ridà un po’ di energia. “Beata lei, che non si è ancora innamorata”, rimugino tra me e me. “Guarda come sono svampita io, invece, dopo la partenza di Sirio”.
Con sforzo allontano da me quell’ansia malinconica che imprigiona il mio pensiero, poi mi siedo davanti a Cate che si è già messa al lavoro. Lei trova interessante la traccia che ho ideato al fine di esaltare la ricerca della pace tra i popoli: un delicato filo di lana lungo il quale ogni persona deve muoversi con tanto istinto di rispetto e di verità, nonché di concretezza. Le immagini si alternano bene ai relativi commenti e Cate passa tutto sul computer, dato che io non ne sono capace.
Lavoriamo così fino a sera. La notte ci sorprende davanti a un piatto di carne e verdure cotte al vapore che avevo già messo su per guadagnare tempo.
Siamo soddisfatte, tanto che mangiamo con appetito quel che abbiamo davanti, e non cerchiamo di più. “L’unione fa la forza”, penso io, e la forza di Cate ha dato il giusto valore alla mia instancabile immaginazione. Tutto passerà alla stampante; poi andremo in concorso per l’editoria.
Ci salutiamo con un soddisfatto sorriso che pare un “dammi un cinque” stampato in faccia. Mi affaccio ancora alla veranda: una rosa bianca è finalmente sbocciata. Decido in cuor mio di portarla in cappella: a Maria!
Luni Mare, 6.5.2010
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La sposa immacolata
di Giuliana Rossini
La chiesa costituisce il corpo mistico di Cristo, la sua sposa immacolata. E’ composta da tutti i battezzati guidati dai loro pastori, i sacerdoti. Questi sono stati istituiti da Gesù stesso, quando ha dato loro il mandato di andare a predicare a tutte le genti, ma soprattutto nell’Ultima Cena, quando ha dato loro la mirabile facoltà di renderLo presente sempre su tutti i punti della terra. “Fate questo in memoria di me“, ha detto agli apostoli mentre spezzava il pane e bevevo il vino con loro. E’ in questo momento che nel sacerdote vi è Gesù stesso.
Quanto è grande il ministero sacerdotale e quanto dobbiamo essere grati ai nostri sacerdoti per il servizio che rendono all’umanità!
Ma anche i laici hanno la loro funzione e devono rendere la loro testimonianza; anch’essi sono votati alla santità ed hanno come loro modello Maria. Maria, Vergine, Sposa e Madre, colei che ha vissuto nel nascondimento ogni parola del Vangelo, penetrandolo così in profondità da divenire Trasparenza di Dio. Ella ci addita la sua via: come ci dobbiamo comportare per percorrerla? Facendo veramente parte della nostra Chiesa, come una grande famiglia, guidata dal nostro pastore, il sacerdote.
Donando ognuno i propri doni: la disponibilità, il tempo, le abitudini, l’ascolto, il sorriso… Essendo appoggio e sostegno al proprio sacerdote. Soprattutto, come Maria, vivendo il Vangelo ogni giorno. Così pastori e laici, insieme, costituiscono la loro Chiesa, la sposa immacolata, appunto.
Coraggio, dunque, non siamo soli: Maria Santissima ci prende per mano e ci guida lungo questo impegnativo ma meraviglioso cammino.
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Diario di un parrocchiano di Casano-San Giuseppe
di Giuseppe Franciosi
Questa sera, alle ore 21, ci siamo riuniti al Santuario di Ortonovo per l’ora di adorazione per le vocazioni. La Giuliana (una focolarina) ha messo a disposizione la sua auto e così anche quattro parrocchiani di San Giuseppe abbiamo potuto partecipare all’incontro. Ho percorso a piedi la salita alla Madonna e mi sono stancato molto per raggiungere il Santuario. Tanti anni e tanta stanchezza e allora non ho potuto fare a meno di ricordarmi di don Luigi, del caro don Luigi, uno zio della Giulia che, lasciata, per l’età, la parrocchia di Pognana (Fivizzano), era venuto qui a Ortonovo, ospite degli Orionini. La domenica spesso veniva a pranzo da noi, dalla Giulia: andavo a prenderlo con la mia auto ma l’aspettavo nella strada asfaltata al termine della “salita”. Lui scendeva senza troppi problemi: la strada era in discesa. Ma alla sera, quando lo riaccompagnavo lassù, la situazione era ben diversa: la strada era in salita ed era dura: quanto dura l’ho sperimentato stasera. Lo zio don Luigi non mi ha mai chiesto di portarlo con l’auto su al parcheggio del Santuario, ma chissà quanto lo ha desiderato. Io non sono un autista valido: non sono mai andato con la mia auto su al parcheggio del Santuario: la paura di non farcela me lo ha sempre impedito. Lo zio don Luigi è da anni in Paradiso e spero che mi abbia perdonato. Lo zio don Luigi stimava molto gli Orionini, ma forse la scelta di Ortonovo per concludere la sua esistenza fu determinata anche dal fatto che qui a Ortonovo viveva la Giulia, sua nipote, con la quale si intendeva perfettamente. Caro zio don Luigi, qui a Ortonovo c’era anche Enzo, un altro tuo caro nipote che ti ha assistito come un figlio, quando eri degente all’ospedale di Massa; solo da lui accettavi certi interventi richiesti dalla tua malattia e c’era lui al tuo letto quando ci hai lasciati. Non posso fare a meno di ricordare il funerale del caro don Luigi. Al mattino un primo funerale nella chiesa di S. Lorenzo a Ortonovo; nel pomeriggio prima nella chiesa parrocchiale della “Madonna di Reggio”. A Fivizzano tutti i giorni andavi a passare un po’ di tempo con le persone che ti volevano bene. Avevano grande stima di te. Alla sera, poi, l’ultimo funerale, il terzo, nella tua chiesa, a Pognana, nella tua parrocchia nel cui cimitero oggi riposi serenamente, sempre ricordato e amato dalla tua gente.
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