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Mi hanno rubato persino i pantaloni
di Padre Carlo Cencio, Missionario carmelitano
In un paese in cui povertà e miseria abbondano, ci si procura soldi e cose come si può. I furti sono frequentissimi, ma ci sono anche rapine e sequestri. Le bande armate si aggirano nella savana fra l’erba alta e nei boschi. Stanno in agguato nei loro nascondigli fra le rocce e i cespugli. Come sentono il rumore di un’automobile o di una corriera o di un camion, si appostano ai margini della strada con le mitragliette puntate: è l’alt. O ci si ferma e ci si lascia derubare, o sparano alle ruote e ai passeggeri. Con i soldi comprano altre munizioni, armi, generi alimentari e vestiti. A volte assaltano capanne o villaggi di pastori mbororo, altre volte case di privati o di missionari, come è successo ultimamente a Bangui, ai padri Cappuccini. Se viene opposta resistenza, può scapparci il ferito o il morto, o viene fata violenza alle donne. Per questo tutti sanno che è meglio lasciar perdere. Se si è in macchina è pericoloso cercare di fuggire. Di notte anche le sentinelle delle nostre missioni hanno paura e si guardano bene dall’intervenire.. L’intervento, infatti, è possibile contro il ladruncolo, ma non contro questi professionisti organizzati.
I furtarelli in genere li fanno in due o tre, di notte, armati di coltellacci. A me hanno rubato sacchi di cemento, tavole, utensili vari, una macchina per cucire, un televisore, soldi, batterie, ecc. Le volte che sono stato derubato non le ho contate, ma sono tante. .il furtarello l’ho sempre vissuto come un’offesa spiacevolissima, perché opera dei più vicini collaboratori. Spesso erano i nostri operai, il cuoco, il meccanico, la sentinella; a volte erano un consigliere, un catechista o un giovanotto della corale…Tutta gente che conosceva bene la missione e ci trascorreva la giornata dalla mattina alla sera.
Sia a Baoro che a Bazoum abbiamo subito ogni genere di quei furtarelli; del resto la missione è una continua tentazione: ci sono tante “cose” ed è così facile averle! C’è poi un’altra profonda e strana convinzione: le “cose” della missione sono di tutti; o perlomeno, sono di quel nuovo speciale clan religioso che si è creato: quello dei cattolici. Come nel clan naturale si è una sola grande famiglia e tutto è più o meno in comune, così è nel nuovo clan. Non era forse così nella prima Chiesa apostolica? A volte questi discorsi li ho dovuti fare con i catechisti stessi. A loro dicevo: “Certo, i beni sono di tutti, ma ci deve essere una gestione responsabile e ordinata. Le cose non sono lì a casaccio, a disposizione del primo arrivato. La campana è là sul campanile per tutti, e non la si può prendere per farsene un campanello per la propria bottega o per la vacca capomandria. La campana è di tutti, ma deve stare lassù, sul campanile, a compiere la sua missione di convocare la comunità cristiana al tempio del Signore. Le candele sono di tutti, ma lì, sull’altare, ad ardere davanti al Santissimo Sacramento, o in una capanna. I soldi delle elemosine sono della comunità, ma usati e distribuiti secondo un criterio di necessità per i più poveri o per il culto”.
Ribadivo queste cose in chiesa ogni volta che si ripetevano i furtarelli. Anche il cemento era per tutti, finché stava là in quel magazzino, pronto per riparare la scuola, la chiesa, la sorgente, il dispensario, il laboratorio, la casa dei missionari… Ma se un tizio se lo veniva a portar via di notte per farsi il pavimento in casa sua, non era più di tutti, diventava esclusivamente suo.
Fra le decine di furti che ho subito, ne ricordo uno speciale. Mi trovavo da poco a Baoro e stavo imbiancando la nostra vecchia catapecchia. Con una bella mano di calce, non solo i muri diventavano bianchi e puliti, ma provavo l’impressione di rinnovare spiritualmente anche i cuori e la comunità. Mi venne ad aiutare l’aiuto catechista; divisi con lui la merenda e, al termine della giornata gli feci un regalino. Anche cristiani e funzionari si fermavano a commentare; venivano per salutarmi e darmi il benvenuto. Per tutto il giorno tenni il portafoglio nella tasca posteriore dei calzoni. In mattinata vennero le donne mbororo a vendermi latte e burro. Feci una certa provvista, avendo già messo in funzione il piccolo frigo a petrolio. Tirai fuori i soldi e pagai. Venuta la sera, accostai gli scuri e chiusi la porta senza chiavistello, perché tutto era tranquillo. Salutai l’aiuto catechista, mi preparai un po’ di cena, recitai il Rosario e la Compieta e, stanco ed assonnato, mi buttai sul letto. Mi stavo ambientando, la gente mi voleva bene…
Non so da quanto tempo ormai stessi dormendo, quando sentii un crac. Mi svegliai, credendo di aver sognato: eppure ebbi subito la sensazione di una presenza estranea. Feci un urlo, cercando la torcia con la mano: non la trovai, non c’era più sulla sedia. Qualcuno era entrato in casa! Cominciai ad annaspare sotto il letto; riuscii a trovare la torcia, l’accesi, ma erano passati alcuni lunghi minuti. La sedia era stesa a terra (ecco il crac), ma non c’erano più il calzoni e, dentro i calzoni, il portafoglio! Uscii con la torcia in mano a chiamare la sentinella, ma dormiva come un ghiro: altro che guardia! Forse erano d’accordo. Passai minuti frenetici, in sospetti e piani strategici.
Feci un giro intorno alla casa correndo qua e là sperando di trovare qualcuno accucciato, intento a contare i miei soldi. Avrei voluto almeno recuperare i pantaloni, quelli forse non gli servivano e li avrebbe buttati via. Forse avrebbe anche abbandonato il portafoglio con i documenti. Da una parte avrei voluto riconoscere il colpevole, dall’altra non avrei voluto incontrare nessuno. Sarebbe stato per me troppo triste perdere subito la fiducia dell’aiuto catechista.
Passai ore ad arrovellarmi. Poi mi decisi a “chiudere la porta della stalla” quando i buoi erano fuggiti. Non riuscii a prendere sonno. Ero preoccupato per i documenti. Ero disgustato: se cominciavano a trattarmi così, chissà… Decisi di andare a chiedere consiglio a Bouar. La mattina quando riaprii la porta che dava sulla veranda fui colpito da un mucchietto di stoffa per terra: erano i miei calzoni. Infilai le mani dentro: c’era il portafoglio con tutti i documenti, mancava solo il denaro. Tirai un sospiro di sollievo e ringraziai l’angelo custode, poi suonai la campana e celebrai la Messa.
Ero triste: quel gesto di falsità mi aveva offeso. Mi disturbava perché ormai vedevo ladri dappertutto, in tutti quelli che mi circondavano, sia in chi serviva la Messa, sia in chi era seduto sulle prime panche o faceva la comunione. In particolare mi sentivo a disagio di fronte all’aiuto catechista che era lì con gli altri a quella Messa e mi porgeva le ampolline. Dentro di me, mi lamentavo con il Signore. Dopo la Messa andai a cercare conforto da padre Enzo, a Bouar. Lui ci fece sopra una gran risata: era l’unica cosa intelligente che potesse fare.
Dopo qualche tempo compresi che quel mio fratello nero non poteva capire che quei soldi erano di tutti soltanto se rimanevano nelle mie tasche. Certo erano anche suoi, se andavano a finire nelle sue tasche e li usava lui. Il resto era inutile filosofia! Ora con quel denaro avrebbe finito di pagare la dote della moglie e sarebbe anche stato felice di poter regolare il suo matrimonio in chiesa, appena lei si fosse fatta battezzare. Tutto era in regola: un furto molto religioso e intelligente; un furto che metteva a posto tante cose, comprese quelle dell’anima!
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4 - Simboli e segni cristiani
di Aontonio Ratti
DELFINO
Fin dall’età dei miti si raccontavano numerose leggende sulle imprese del delfino, considerato amico e soccorritore dell’uomo. L’accostamento a Gesù è facile perché il suo compito specifico è di salvare l’uomo dal peccato attraverso la Parola e i sacramenti. A noi chiede la disponibilità di accogliere i suoi doni quale frutto del suo infinito amore. “Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.” ( Lc 19,10 ) Si spiega facilmente perché la primitiva arte cristiana disegnasse il delfino come simbolo di Gesù, guida e salvatore delle anime. “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.” ( Gv8, 12 )
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4 - Simboli e segni cristiani
di Antonio Ratti
FENICE
Secondo una leggenda , la fenice, unico esemplare di uno straordinario e immaginifico uccello originario dell’Arabia, rinasceva dalle sue ceneri ogni cinquecento anni. Per questo motivo la fenice è diventata il simbolo della risurrezione per i primi cristiani. “Disse Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.” Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo fai risorgere? Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando fu risuscitato dai morti i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo.” (Gv2,19-22 ) La risurrezione di Gesù è un fatto storico attestato dai discepoli che testimoniarono le sue apparizioni nel Cenacolo , sulla via di Emmaus, ecc. Se Gesù è Dio, perché Figlio unigenito di Dio- Padre e Creatore, non poteva soccombere alla morte, quindi Gesù ha vinto la morte e il peccato, aprendoci le porte del paradiso e garandendoci la rIsurrezione della carne alla fine dei tempi nel momento della parusìa , cioè, quando si verificherà la venuta finale di Gesù.
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4 - Simboli e segni cristiani
di Antonio Ratti
GERMOGLIO
La profezia di Isaia riguardo al Messia dice: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici”. ( Is 11,1 ) Gesù è vero Dio e vero uomo: sul piano giuridico umano, dal padre Giuseppe, è inserito nella dinastia di Davide, figlio di Iesse, mentre la realtà dell’ incarnazione è descritta nel Nuovo Testamento. “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” (Gv1,14 ) Altrettanto note sono le descrizioni evangeliche dell’incontro di Maria con l’angelo Gabriele. Solitamente questo simbolo viene raffigurato con un germoglio che esce da un tronco.
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4 - Simboli e segni cristiani
di Antonio Ratti
GIGLIO
Nella tradizione cristiana il giglio rappresenta la purezza e la verginità intese come dono che la persona fa di sè a Dio. Solitamente ciò avviene attraverso la consacrazione alla vita religiosa. Il colore bianco sollecita l’idea di candore, di limpidezza, di illibatezza. “Purificami con issopo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve.” ( Sal 51, 9 ) Mentre l’intrinseca bellezza dei suoi fiori è riconoscimento e lode dell’opera creatrice di Dio : “Sarò come rugiada per Israele; esso fiorirà come giglio e metterà radici come un albero del Libano.” (Os 14, 6 ) L’intenso profumo dei suoi fiori è offerta che gli uomini presentano a Dio, come già accade con l’incenso: “ Come incenso spandete un buon profumo, fate fiorire fiori come il giglio, spargete profumo e intonate un canto di lode.” ( Sir 39, 14 )
La verginità è segno distintivo di chi ha deciso di donarsi totalmente al servizio divino e alla testimonianza piena della Parola.
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4 - Simboli e segni cristiani
di Antonio Ratti
PALMA
Nella Bibbia la pianta di palma ha molti significati positivi. E’ un albero prezioso perché resistente nei terreni aridi, produce frutti gustosi e con il suo ampio fogliame assicura ombra e riparo ai cocenti raggi del sole e per popolazioni agro-pastorali stanziate in zone orograficamente difficili costituisce un elemento importante. Inoltre è segno di prosperità: “Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano.” (Sal 92, 13 ) I suoi rami venivano sventolati come bandiere in segno di vittoria e venivano usati per accogliere le persone importanti. Lo stesso Gesù, entrando in Gerusalemme, fu accolto con le palme agitate dalla folla festante. “La gran folla che era venuta per la festa [di Pasqua], udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palma e uscì incontro a Lui gridando: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, Re d’Israele.” ( Gv 12, 12 )
Nell’arte e nella letterattura cristiana il ramo di palma indica il martirio e la vittoria dei martiri che, grazie alla forza della fede, indomiti hanno affrontato sofferenze e morte. “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questo è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede.” ( 1 Gv 5,4 )
Molte immagini e dipinti di martiri, specialmente tra le giovani, recano in mano una foglia di palma in segno di vittoria attraverso il sacricifio.
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Parola di vita
di Chiara Lubich
“Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11,25).
Gesù pronunciò queste parole in occasione della morte di Lazzaro di Betania, che poi Egli al quarto giorno risuscitò. Lazzaro aveva due sorelle: Marta e Maria. Marta, appena seppe che arrivava Gesù, gli corse incontro e gli disse: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Gesù le rispose: “Tuo fratello risusciterà”. Marta replicò: “So che risusciterà nell’ultimo giorno”. E Gesù dichiara: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”.
“Io sono la risurrezione e la vita”.
Gesù vuol fare intendere chi egli è per l’uomo. Gesù possiede il bene più prezioso che si possa desiderare: la Vita, quella Vita che non muore. Se hai letto il Vangelo di Giovanni, avrai trovato che Gesù ha pure detto: “Come il Padre ha la Vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la Vita in se stesso” (Gv 5,26). E poiché Gesù ha la vita, la può comunicare.
“Io sono la risurrezione e la vita”.
Anche Marta crede alla risurrezione finale: “So che risusciterà nell’ultimo giorno”. Ma Gesù con la sua affermazione meravigliosa: “Io sono la risurrezione e la vita”, le fa capire che non deve attendere il futuro per sperare nella risurrezione dei morti. Già adesso, nel presente, egli è per tutti i credenti, quella Vita divina, ineffabile, eterna, che non morirà mai. Se Gesù è in loro, se egli è in te, non morirai. Questa Vita nel credente è della stessa natura di Gesù risorto e quindi ben diversa dalla condizione umana in cui si trova. E questa straordinaria Vita, che già esiste anche in te, si manifesterà pienamente nell’ultimo giorno, quando parteciperai, con tutto il tuo essere, alla risurrezione futura.
“Io sono la risurrezione e la vita”.
Certamente Gesù con queste parole non nega che ci sia la morte fisica. Ma essa non implicherà la perdita della Vita vera. La morte resterà per te, come per tutti, un’esperienza unica, fortissima e forse temuta. Ma non significherà più il non senso di un’esistenza, non sarà più l’assurdo, il fallimento della vita, la tua fine. La morte, per te, non sarà più realmente una morte.
“Io sono la risurrezione e la vita”.
E quando è nata in te questa Vita che non muore? Nel battesimo. Lì, pur nelle tua condizione di persona che deve morire, hai avuto da Cristo la Vita immortale, Nel battesimo, infatti, hai ricevuto lo Spirito Santo che è colui che ha risuscitato Gesù. E condizione per ricevere questo sacramento è la tua fede, che hai dichiarato attraverso i tuoi padrini. Gesù, infatti, nell’episodio della risurrezione di Lazzaro, parlando a Marta ha precisato: “Chi crede in me, anche se muore vivrà” (…) “Credi tu questo?”.
“Credere”, qui, è un fatto molto serio, molto importante: non implica solo accettare le verità annunciate da Gesù, ma aderirvi con tutto l’essere. Per avere questa vita, devi dunque dire il tuo sì a Cristo. E ciò significa adesione alle sue parole, ai suoi comandi: viverli. Gesù lo ha confermato: “Se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv 8,51). E gli insegnamenti di Gesù sono riassunti nell’amore. Non puoi, quindi, non essere felice: in te è la Vita!
“Io sono la risurrezione e la vita”.
In questo periodo in cui ci si prepara alla celebrazione della Pasqua, aiutiamoci a fare questa sterzata, che occorre sempre rinnovare, verso la morte del nostro io perché Cristo, il Risorto, viva sin d’ora in noi.
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