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Paolo e i suoi collaboratori
di Antonio Ratti
6 PAOLO E I SUOI COLLABORATORI: TITO, AQUILA E PRISCILLA
TITO E’ difficile separare le storie di Tito e Timoteo perché, come discepoli e collaboratori, vengono da Paolo considerati suoi figli spirituali ai quali, diventati vescovi, cioè responsabili di una Chiesa locale, destina le tre lettere pastorali che contengono i primi lineamenti dei ministeri nella Chiesa. Se la biografia di Timoteo è scarna, quella di Tito lo è ancora di più. Sappiamo che Timoteo, di cultura giudaica, è figlio di un pagano e di una ebrea ( Eunice ), mentre Tito è di famiglia greca, quindi pagana. Viene convertito dall’Apostolo in uno dei suoi viaggi missionari. Insieme a Timoteo è scelto da Paolo come stretto collaboratore e fratello nell’apostolato.Nella seconda lettera ai Corinzi lo definisce “mio compagno e collaboratore”. Paolo circoncide Timoteo, ma non Tito (la motivazione è palese) che conduce con sé a Gerusalemme davanti al Concilio degli Apostoli dove si dibatte con asprezza sulla priorità di essere uomini della Legge e circoncisi o uomini della fede in Cristo Risorto. “ Ciò che fa la vera elezione a figli di Dio sono una buona coscienza e la fede in Dio”, realizzati attraverso la testimonianza e le opere della carità. Questo è un concetto sconosciuto al mondo pagano e ignorato dagli ebrei che fanno dipendere la salvezza dalla circoncisione prescritta da Mosè. Tito è il fedele compagno dei momenti cruciali: come la famosa riunione, nota come Concilio di Gerusalemme, di cui si è già fatto cenno, dove Paolo si scontra con i nostalgici della tradizione rituale ebraica che non sanno, o non vogliono intendere le nuove esigenze della predicazione nel mondo pagano; come le capacità di mediatore nel risolvere positivamente la grave crisi insorta tra Paolo e i Corinzi; come il sollecitare la grande iniziativa di solidarietà delle comunità cristiane con la colletta per i poveri di Gerusalemme, colpita dalla carestia. Sopravvive al Maestro, il quale alla vigilia del martirio ci dice che “Tito è in Dalmazia”. La sua vita di missionario sempre in movimento termina in una serena vecchiaia intorno al 100 d.C. sull’isola di Creta che convertì al cristianesimo, diventandone il primo vescovo. Nel calendario liturgico si fa memoria di lui, insieme a Timoteo, il 26 gennaio.
AQUILA E PRISCILLA Si tratta di due coniugi che gravitano nell’orbita dei numerosi collaboratori di Paolo.Questa coppia svolge un ruolo molto attivo in alcune comunità cristiane situate in località diverse. I nomi sono chiaramente latini, ma l’origine dei coniugi è ebraica. Aquila, probabilmente, proveniva dalla diaspora dell’Anatolia settentrinale ( nord dellaTurchia verso il Mar Nero ), mentre Priscilla, nome spesso abbreviato in Prisca, era un’ebrea di provenienza romana. Comunque da Roma emigrano a Corinto dove conoscono Paolo ( 50 d.C. ) che accolgono nella loro casa ed insieme esercitano il mestiere di tessitori e fabbricanti di tende. ( At 18,3 ) La causa del loro trasferimento è il decreto di espulsione dei Giudei da Roma emanato dall’imperatore Claudio, perché “provocavano tumulti a motivo di un certo Cresto.” ( Vite dei 12 Cesari ) L’imperatore mostra di non avere molta dimestichezza sulla nuova fede ed ha informazioni confuse persino sul nome, ma un fatto è certo, tra le due comunità ( ebraica e cristiana ) non corre buon sangue e frequenti sono gli scontri sulla reale natura di Gesù, cioè, se è o non è veramente il Cristo delle profezie. Claudio, senza entrare nel merito della disputa, allontana dall’Urbe tutti i Giudei. Da ciò si deduce che i due coniugi abbiano abbracciato la fede intorno all’anno 40 d.C. A Corinto trovano in Paolo non solo uno che condivide la loro fede - Gesù è il Cristo -, ma anche l’Apostolo chiamato personalmente alla fede dal Risorto. Lo accolgono nella loro casa e insieme, da semplici artigiani, lavorano nella fabbricazione di tende, mentre conducono un’ intensa opera di proselitismo. Successivamente i due si trasferiscono ad Efeso ( importante città a sud di Istanbul ), probabilmente anticipando Paolo, e qui sono determinanti nel completare la formazione cristiana del giudeo convertito Apollo ( di cui si è già parlato ). “Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio.” (At.18,26 ) Nella seconda lettera ai Corinzi, insieme ai propri, Paolo manda anche i saluti dei due coniugi e della comunità che si raduna nella loro casa. Veniamo così a sapere che i cristiani si riuniscono in case private, non più nelle sinagoghe, per ascoltare la Parola e celebrare l’Eucarestia. La frattura con il mondo giudaico si è ormai compiuta. Questo tipo di adunanza in greco si chiama “ekklesìa”, in latino “ecclesia”, in italiano “chiesa”. Almeno fino al III sec. i cristiani non hanno avuto a disposizione veri e propri luoghi di culto, si radunavano in case o in appartati luoghi all’aperto.Tornati a Roma continuano con immutato vigore il loro preziosissimo e competente apostolato. Paolo nella lettera ai Romani dice: “Salutate Priscilla e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa ( il riferimento è alle plurime carcerazioni di Paolo ) e ad essi, non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili;salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa.” ( Rm 16, 3-5 ) A causa di quei secoli travagliati e confusi è possibile un problema di identificazione con un’altra Priscilla martire; in ogni caso a Roma abbiamo una chiesa dedicata a santa Prisca sull’Aventino e le catacombe di santa Priscilla. Questo a dimostrazione di quanto fossero grandi la memoria e la devozione. Per concludere, sottolineo quanto al cristianesimo per radicarsi nel tessuto sociale e “svilupparsi vivamente era necessario l’impegno di queste famiglie, di queste comunità cristiane domestiche, di fedeli laici che hanno offerto l’humus alla crescita della fede.” (Benedetto XVI ) Anche oggi coppie di cristiani così preparati e impegnati farebbero molto comodo alle nostre asfittiche comunità parrocchiali: forse, riflettendo seriamente su Aquila e Priscilla potrebbe balenare qualche idea salutare.
09 – 09- 09 Ratti Antonio
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Solo pensieri da sotto l'ombrellone
di Antonio Ratti
SOLO PENSIERI DA SOTTO L’OMBRELLONE ?
Ripensando ad alcuni passaggi della famosa parabola del seminatore, mi sono trovato immerso in alcune considerazioni.
Il seme non può cadere da solo sulla pietraia e nella siepe; è anche ovvio ritenere che un esperto seminatore sappia prendere le precauzioni necessarie al fine di non sprecare nemmeno un chicco, perché sa bene che ai margini del campo, solitamente, si trovano un viottolo duro e sassoso, una siepe o un fosso.
E’ altrettanto ovvio che Gesù abbia tutte le caratteristiche - come potrebbe essere diversamente - per essere un ottimo seminatore ( comunicatore, si direbbe oggi ), così com’ è sequenziale che né Lui né il Padre possano indurci in tentazione ( vedi il Padre nostro ).
Vale la pena soffermare la nostra attenzione su queste due situazioni per tentare di individuare il vero senso delle espressioni di Gesù.
Osservando la secolarizzazione invasiva persino presso quelle popolazioni che per prime hanno assimilato e per secoli intensamente vissuto il messaggio cristiano, è eterodossia ritenere che Gesù si riferisse a maldestri testimoni delle sue parole che, oltre ad essere inadeguati seminatori ( comunicatori ), sono indotti in tentazione dalla presunzione di avere acquisito stabilmente il dono della fede e della Grazia? In altri termini, di sentirsi chiamati e, psicologicamente, in qualche modo privilegiati, ignoro sulla base di quali meriti e criteri? Cosa che l’equità della Caritas divina esclude categoricamente. Leggendo Paolo ci si accorge quanto fosse fortemente preoccupato da questi rischi tutt’altro che infrequenti in quelle giovani comunità cristiane. Nel tempo e con il tempo il pericolo, tutt’altro che scemato, ha posto in essere solide radici e si perpetua nelle forme più diversificate e nascoste come l’esca occulta l’amo.
La conferma di tali affermazioni potrebbe arrivare ricordando un’altra nota parabola: quella del fariseo ( stretto osservante della Legge e della tradizione ) che nel Tempio, davanti al Sancta Sanctorum ( il luogo che conservava l’Arca dell’alleanza ) sciorina tutte le sue virtù e le quotidiane azioni di purificazione, di preghiera e di sottomissione al Dio dei padri, che evidenziano la spavalda sicurezza di chi ritiene per ottenuta e certificata la perfetta sintonia con l’Altissimo, mentre in un angolo un uomo normale, pentendosi dei suoi peccati, chiede umilmente la benevolenza di Dio.
Il testo evangelico non lascia dubbi di quale dei due personaggi è il gradito a Gesù e all’evangelista che volutamente e scientemente riporta l’episodio.
Gli ammonimenti di Gesù ritornano ancora sull’argomento quando i farisei - sempre loro - accusano gli Apostoli di mangiare senza lavarsi le mani, né di purificare con l’acqua i bicchieri, le stoviglie, gli oggetti di rame, ecc., prima di utilizzarli. La risposta di Gesù, riportata da Marco, non ammette repliche : “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini…..Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro….Dal cuore degli uomini escono i propositi di male” o propositi decisamente inadeguati a gestire le responsabilità liberamente accettate con l’atto di fede. San Giacomo apostolo sollecita: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.” Basta sfogliare le Scritture e gli scritti dei Padri apostolici per annotarne gli innumerevoli ed espliciti riferimenti.
Conclusione: quante volte, davanti all’evidenza dei nostri mediocri risultati di testimoni ( comunicatori ) della fede ( come coniugi, genitori, cittadini, lavoratori, consacrati ), cerchiamo fuori di noi le motivazioni o, meglio, gli alibi dell’insuccesso? Il non cercare “dentro” o farlo, se costretti, come “extrema ratio”, non è una perfetta forma di colpevole immodestia da parte di chi dà per scontato di possedere il dono della fede e della Grazia?
La santità non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel saper annullare e umiliare l’umano orgoglio di averle fatte. A maggior ragione, se, poi, vengono fatte, a mala pena, solo cose normali nel ripetitivo tran tran quotidiano. Chi può dubitare sul “Chiedete e vi sarà dato”? Il problema è un altro: il modo di chiedere e la sensibilità giusta nel farlo.
09-9-09 Antonio Ratti
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Parola di vita
di Chiara Lubich
PAROLA DI VITA
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
Tutto il Vangelo è una rivoluzione. Non c’è parola di Cristo che assomigli a quella degli uomini. Senti questa: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose (le necessità della vita) vi saranno date in aggiunta”.
La prima preoccupazione dell’uomo, in genere, è la ricerca ansiosa di ciò che è necessario per dare sicurezza alla sua esistenza. Forse è così anche per te. Ebbene Gesù ti mette di fronte al “suo” modo di vedere e ti offre un suo modo di agire. Ti domanda un comportamento totalmente diverso da quello usuale, e da tenersi non una sola volta, ma sempre. E’ questo: cercare prima il regno di Dio.
Quando sarai attorniato con tutto il tuo essere verso Dio e farai di tutto perché egli regni (cioè governi la tua vita con le sue leggi) dentro di te e negli altri, il Padre ti darà ciò di cui hai bisogno giorno per giorno. Se invece ti preoccupi innanzitutto di te stesso finisci col curarti principalmente delle cose di questo mondo e cadi vittima di esse. Finisci col vedere nei beni di questa terra il “tuo” vero problema, il “fine” di tutti i tuoi sforzi. E ti nasce dentro la grave tentazione di contare unicamente sulle tue forze e di fare a meno di Dio.
Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Gesù capovolge la situazione. Se prima tua preoccupazione sarà Lui, vivere per Lui, allora il resto non costituirà più il problema principale della tua esistenza, ma una “aggiunta” o un “sovrappiù”. Utopia? Parola irrealizzabile per te, uomo moderno, oggi, in un mondo industrializzato dove vige la concorrenza e che è spesso in crisi economica? Ti ricordo semplicemente che le difficoltà concrete di sussistenza per la gente di Galilea, non erano molto minori quando Gesù pronunciò queste parole.
Non è questione di utopia o meno, Gesù ti pone dinanzi all’impostazione fondamentale della tua vita: o vivi per te, o vivi per Dio. Ma cerchiamo ora di capire bene questa parola: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia…”. Gesù non ti esorta all’immobilismo, alla passività per le cose terrene, ad una condotta irresponsabile o superficiale nel lavoro. Gesù vuole cambiare la “preoccupazione” in “occupazione”, togliendoti l’ansia, la paura, l’inquietudine.
Egli dice infatti: “cercate ‘prima’ il regno…”. Il senso di “prima” è “sopra ogni cosa”. La ricerca del regno di Dio è messa al primo posto e non esclude che il cristiano debba anche occuparsi delle necessità della sua vita. “Cercate il regno di Dio e la sua giustizia, poi, significa avere una condotta conforme alle esigenze di Dio manifestate da Gesù nel suo Vangelo. Soltanto cercando il regno di Dio, il cristiano sperimenterà la potenza meravigliosa del Padre in suo favore. Ti narro un episodio: E’ di tempo fa, eppure appare di una incredibile attualità. Conosco infatti numerosi ragazzi e giovani che si comportano ora come agiva quella ragazza.
Si chiamava Elvira. Frequentava le magistrali. Era povera. Solo una media alta le poteva assicurare nel proseguimento degli studi. Possedeva una fede forte. Il suo professore di filosofia era ateo, cosicché non di rado mostrava le verità su Cristo e sulla Chiesa sfocate senon deformate. Il cuore della ragazza bolliva. Non per sé, ma per l’amore a Dio, alla verità e alle su compagne. Pur conscia che contraddicendo il professore avrebbe potuto avere un cattivo voto, ciò che sentiva dentro era più forte di lei. Alzava la mano in ogni occasione, domandava la parola: “Non è vero, professore”. Forse qualche volta non avrà avuto tutti gli argomenti per controbattere le disquisizioni del professore, ma in quel “non è vero” c’era la sua fede, che è dono di verità e fa pensare.
Le compagne, che l’amavano, cercavano di dissuaderla dai suoi interventi perché non le fossero dannosi. Ma non ci riuscivano. Passarono alcuni mesi. E’ l’ora di distribuire la pagella. La ragazza la prende e trema. Poi un tuffo di gioia. Dieci! Il massimo voto.
Aveva cercato innanzitutto che Dio e la sua verità regnassero e il resto era venuto in sovrappiù.
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Se anche tu cercherai il regno del Padre, sperimenterai che Dio è Provvidenza per tutte le esigenze della tua vita. Scoprirai la normale straordinarietà del Vangelo.
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L'organismo spirituale
di Padre Carlos
Cari amici in uno dei numeri anteriori avevo iniziato a parlare dell’organismo spirituale; per dirlo con parole semplici così come siamo dotati di un corpo – organismo fisico che dobbiamo curare e che trascurarlo significa ammalarci di malattie che possono diventare croniche e addirittura portarci alla morte fisica, allo stesso modo noi abbiamo un organismo spirituale da curare, prevenire le malattie che si attaccano all’anima e che posso pure portare alla morte spirituale.
La vita interiore, che suppone lo stato di grazia, consiste in una generosa tendenza dell’anima verso Dio, in cui a poco a poco la conversazione intima dell’individuo con se stesso si eleva, si trasforma e diviene una conversazione intima dell’anima con Dio. E’ questa, come dicevamo, la vita eterna incominciata nell’oscurità della fede, prima che sbocchi nella chiarezza della visione imperitura. Per meglio afferrare ciò che è in noi, questo germe della vita eterna (semem gloriae), dobbiamo considerare come dalla grazia santificante derivino nelle nostre facoltà le virtù infuse, teologali e morali ed anche i sette doni dello Spirito Santo, virtù e doni che sono come le funzioni subordinate di uno stesso organismo, di un organismo spirituale che deve svilupparsi sino al nostro ingresso in cielo.Il fine di una vita virtuosa, dice il catechismo della chiesa cattolica, “consiste nel divenire simili a Dio”.
L’organismo spirituale può esprimersi con questo quadro delle virtù e dei doni:
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Virtù
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Doni
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Teologali
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Carità
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Della Sapienza
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Fede
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Dell’Intelletto
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Speranza
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Della Scienza
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Morali
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Prudenza
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DelConsiglio
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Giustizia
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Della Fortezza
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Fortezza
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DellaPietà
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Temperanza
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Del Timor di Dio
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Finora abbiamo parlato in questo breve capitolo delle virtù infuse che non sono merito nostro ma solo frutto della grazia che è in noi, per cui mi sembra doveroso iniziare con delle nozioni preliminari sulle virtù infuse in generale e poi delle virtù morali in particolare.
Delle virtù infuse in generale:
Vi sono virtù naturali (acquisite), vale a dire buone abitudini, acquistate con atti frequentemente ripetuti, che aiutano alla pratica del bene onesto (civico). Anche gli increduli e i pagani possono, col naturale concorso di Dio, acquistare le virtù morali della prudenza, della giustizia, della fortezza, della temperanza e divenire pure bravi nel compierle. Non vorrei fermarmi qui a parlare di queste virtù, ma intendo trattare delle virtù soprannaturali o infuse quali si hanno nel cristiano. Per noi cristiani, elevati allo stato soprannaturale e non avendo altro fine che la visione beatifica (tendiamo verso l’alto, verso il cielo), dobbiamo tendervi con atti fatti sotto l’influsso di principi e di motivi soprannaturali . Quindi per noi le virtù che nel mondo si dicono naturali, devono essere: praticate in modo soprannaturale.
Come giustamente nota Padre Lagrange nella sua opera “Le tre età della vita interiore”, secondo S. Tommaso “le virtù morali cristiane sono infuse ed essenzialmente distinte per l’oggetto formale dalle più alte virtù morali acquisite descritte dai più grandi filosofi…C’è infinita differenza tra la temperanza aristotelica, regolata soltanto della retta ragione, e la temperanza cristiana regolata dalla fede divina e dalla prudenza soprannaturale. Avendo brevemente mostrato come queste virtù ci sono comunicate dalla Spirito Santo (la Grazia) che vive in noi nel prossimo numero vi presenterò la natura, l’aumento, l’indebolimento di queste virtù.
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Kasher : La legge in cucina
di Antonio Ratti
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Presso tutti i popoli preparare i cibi secondo determinate modalità, abbinamenti e ricette, oltre a rappresentare un segno di civiltà e di cultura, riveste un ruolo significativo nel mantenere vive le tradizioni, il sentimento di identità nazionale, etnica, regionale e familiare. Per gli Ebrei, vittime di secoli e secoli di diaspora e di limitazioni alle proprie libertà, è ancora più significativo. Ciò che sorprende è la millenaria applicazione di principi dietetici ritenuti oggi corretti e molto validi alla luce delle più attuali acquisizioni da parte della moderna scienza dell’alimentazione.
Un esempio: non vengono mai associate le proteine animali provenienti dalla carne con quelle del latte e dei suoi derivati. E’ bene ricordare che nella cucina ebraica non vengono seguite delle consuetudini, ma applicate vere e proprie regole stabilite nella Bibbia: Kasher ( Koscer in jiddish ) è il vocabolo che le definisce. Nel Levitico è fatta proibizione di cibarsi della carne proveniente da animali impuri, nel cui elenco rientrano i mammiferi che non hanno lo zoccolo e l’unghia fessa ( divisa ) e che non ruminino ( es., il maiale ), gli uccelli rapaci ( forse per la loro alimentazione carnivora ), gli animali acquatici senza pinne e squame ( molluschi e crostacei ). [ Per gli Ebrei niente muscoli alla marinara o ripieni!! ] L’animale deve essere ucciso secondo un procedimento ( shechità ) che induca la morte in modo istantaneo e indolore, mediante un coltello affilatissimo da parte di una persona esperta ed autorizzata dalle autorità rabbiniche (schoet ) e il totale dissanguamento. Nel libro della Genesi Dio, dopo aver benedetto Noè e i suoi figli e assegnato loro il potere su tutti gli esseri viventi sulla terra, fa esplicito divieto di cibarsi di sangue: “ Soltanto non mangerete la carne che ha in sé il sangue.” [Il cristiano che si ciba del Corpo e del Sangue di Cristo, sarebbe un empio ! ] Al fine di eliminare ogni traccia di sangue, dopo la macellazione la carne viene immersa per 20-30 minuti in acqua fredda e poi fatta scolare per 35- 40 minuti dopo averla cosparsa di sale. Una curiosità che evidenzia il costante riferimento alla storia biblica: è proibito mangiare la coscia di un animale se prima non viene asportato il nervo, in memoria del colpo ricevuto da Giacobbe durante la lotta con l’Angelo che poi gli avrebbe dato il nome di Israele e da qui, il nome di israeliti. Particolare attenzione viene data alla cucina ed alla preparazione dei cibi nei giorni festivi, a cominciare dal Sabato. Il Sabato è il giorno del riposo assoluto, perché dedicato al Creatore, quindi i cibi vengono preparati il venerdì pomeriggio, prima del tramonto. Il pranzo del Sabato comprende varie portate ed è apparecchiato con molta cura. Obbligatori sono il calice di vino per il rito del Kiddush e l’hallah, treccia di pane in origine riservata ai sacerdoti, ma, oggi in Israele, è consumata da tutti nei giorni festivi. Si tratta di un pane a base di farina bianchissima in ricordo della manna inviata da Dio agli Ebrei nel deserto, uova, zucchero, olio, lievito e sale con la superficie cosparsa di sesamo o papavero e preparato a forma di treccia come un serto nuziale, perché il Sabato . è paragonato ad una sposa. In ricordo delle offerte, che prima della diaspora si portavano al Tempio, la cottura è preceduta da un rito: recitando una preghiera di benedizione, un pezzo di pasta viene bruciata quale offerta. In occasione della Pasqua ( Pesach ) c’è da rispettare un riferimento biblico ben preciso: come nel deserto, durante l’esodo dall’Egitto, gli Ebrei si cibarono di pane azzimo, cioè senza lievito e senza sale, così deve essere il pane e tutti gli impasti alimentari del periodo pasquale. Se non si dispone di pentole, piatti e stoviglie riservate per l’occasione, si arriva alla sterilizzazione pur di eliminare anche la minima traccia di alimenti lievitati. Durante il Seder ( pranzo delle prime due sere di Pesach, solennizzato sempre dalla presenza di ospiti ) la tavola deve essere apparecchiata con un bicchiere in più, riservato al profeta Elia. Anche nelle altre festività sono previsti determinati cibi che fanno memoria della storia ebraica o di eventi specifici. In occasione del Sukkoth ( vedi par. 19 ) non possono mancare gl’involtini di foglie di vite con carne e riso, a ricordo dei vigneti della Giudea, mentre nella festa del Purim è d’obbligo preparare le “orecchie di Haman”, frittelle a base di uova, liquore con poca farina o semola. E’ comprensibile come queste pietanze tradizionali possano variare nella preparazione a seconda delle diverse comunità che le hanno messe a punto. Esiste, infatti, una cucina sefardita ( spagnola ), ashkenazita, italiana, ecc., tutte legate ai prodotti e alle consuetudini locali, ma estremamente rispettose delle regole bibliche. Anche la cucina, come ogni azione dell’uomo ebreo, ribadisce i due aspetti essenziali dell’ebraismo: la memoria storica e l’osservanza assoluta della Legge. In sostanza, il quotidiano atto materiale del nutrirsi, viene sacralizzato, elevato nella sfera spirituale e vissuto come un gesto di preghiera. Un’ultima considerazione: nella spiritualità ebraica l’attenersi a questa serie di precetti e prescrizioni ( in genere limitativi e negativi: no a carni impure, no a contenitori impuri, no alla contaminazione col sangue, no ad animali uccisi per soffocamento, ecc.) :è un mezzo di autocontrollo e di dominio di sé, inteso come il primo passo verso la santità.
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