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Gli Ebrei - Le feste di un anno (19)
di Antonio Ratti
Le feste della tradizione rispecchiano l’alternarsi di momenti di riflessione, lutto e tristezza, a quelli di gioia e consolazione, così come capita nel percorso esistenziale del singolo e della comunità.
Il calendario delle festività a sfondo religioso si inaugura con il Capodanno (Rosh-ha-Shana ) che si celebra il 1° giorno del mese di Tishrì ( settembre-ottobre ). E’ detto anche Jom hazikkaròn ( giorno del ricordo ) e Jom hadìn ( giorno del giudizio) perché, oltre a ricordare l’anniversario della creazione del mondo, inaugura il periodo in cui Dio giudica l’operato degli uomini nell’anno appena terminato e tutti sono chiamati a rendere conto del creato affidato alle loro cure.
Gli ebrei in questo periodo si salutano reciprocamente: “Possa tu essere iscritto e segnato per un buon anno.”
Durante la celebrazione solenne del culto si suona lo shofar (corno d’ariete) il cui suono ricorda e proclama l’inizio della redenzione messianica d’Israele e dell’umanità intera.
Il Capodanno dà inizio ai 10 giorni di penitenza che si concludono il 10 di Tishrì con il Jom Kippur ( Giorno del Perdono ), nel quale viene praticato un rigoroso digiuno di cibo e bevande. In questo giorno si chiede perdono direttamente a Dio per i voti, le promesse e gli impegni presi durante l’anno trascorso e non mantenuti e, più in generale, per tutte le mancanze commesse. Le preghiere sono precedute dall’atto di riconciliazione con i membri della comunità e dalla specifica richiesta di annullare gli impegni e le colpe di cui non si ha un ricordo esatto.
Con un complesso rito espiatorio, durante il quale il gran sacerdote offre sacrifici per la purificazione ed il perdono dei peccati, avviene il riconoscimento collettivo di fronte a Dio delle proprie colpe nel senso che ciascuno è corresponsabile con gli altri membri della comunità e si fa garante per gli altri. Solo durante questo solenne rito e per una sola volta all’anno, il sacerdote pronuncia il nome di Dio ( Jhwh ) ed entra nel Santo dei Santi del Tempio per l’offerta dell’incenso.
Il fedele ritiene che nel giorno del Kippur Dio decida il destino degli uomini nella misura del loro grado di pentimento.
Anticamente il Sommo Sacerdote confessava pubblicamente i propri peccati e quelli dei fedeli tenendo le mani sulla testa di un capro, che, poi, veniva spinto al suo destino nel deserto carico delle colpe dell’intera comunità. Da qui l’espressione “capro espiatorio”.
Nello stesso mese di Tishrì , dal 15 al 21 ( 7 giorni ), si celebra la Festa delle Capanne o delle tende o dei tabernacoli ( Sukkoth ). Mentre le celebrazioni del Capodanno e del Kippur non hanno riferimenti precisi con eventi storici, il Sukkoth ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la fuga dall’Egitto, quando vivevano in capanne e ricevettero il dono della manna. La capanna diventa così il simbolo della permanente protezione e benevolenza di Dio.
In un luogo aperto ( giardino o terrazzo ) viene costruita una capanna ( sukkà ) con un tetto di frasche e decorate da frutta di stagione, nella quale la famiglia si intrattiene e riceve gli ospiti. Una particolarità della festa è il lulàv , un mazzo formato da un ramo di palma, due di salice, tre di mirto ed uno di cedro, che viene agitato verso i quattro punti cardinali. Poi i rami vengono portati alla sinagoga.
Secondo la tradizione giudaica rappresentano gli uomini di ogni razza uniti tra loro in piena collaborazione nella gestione del creato.
La nota gioiosa della festa è determinata dallo studio della Torah.
La festa delle Capanne si conclude con due momenti importanti, lo Sheminì Atzèreth e lo Simchàth, che significa “Gioia della Legge”, in quanto all’ottavo giorno si completa l’annuale lettura della Torah e ricomincia il nuovo ciclo di lettura.
La Festa della Dedicazione o Consacrazione ( Hanukkah ), di origine post-biblica, fu istituita per ricordare la lunga ribellione contro il re siriano Antioco IV Epifane e la vittoria finale degli Ebrei guidati dall’eroico Giuda Maccabeo ( 165 a.C. – 142 a.C. ) ( vedi par.4 ), che liberò Gerusalemme, ripulì il Tempio da ogni contaminazione, riaccese il sacro candelabro e ristabilì il culto al vero Dio. [ I Siriani Seleucidi avevano posto nel Tempio una statua di Zeus ] La festa, che termina il 25 del mese di Kislèv (dicembre), dura otto giorni ed è caratterizzata dal canto familiare del M’oaztur e dall’accensione progressiva, giorno dopo giorno, di ciascuna delle otto luci di una lampada apposita mediante una nona detta shamash.
La Festa del Purim ( festa delle Sorti ), che si celebra il 14 di Adàr ( febbraio-marzo ), ha i caratteri profani del capodanno persiano con feste di tipo carnevalesco, ma è anche la commemorazione della vittoria della regina Ester, che con l’aiuto dello zio Mordechai, salvò il popolo ebreo di Persia dalla strage ordinata dal ministro Hamàn. Si approfitta del ricordo gioioso per rileggere il libro biblico della Storia di Ester ed è un’occasione per fare festa. Tenendo presente il periodo, febbraio-marzo, è considerato il carnevale ebraico.
La Festa degli Azzimi o Pasqua (Pesah ), che è la celebrazione di maggior rilievo dell’anno, inizia il 15 di Nissàn ( metà marzo-aprile ) e si protrae per sette giorni ed è la memoria dell’uscita degli Ebrei dall’Egitto.
Simbolo principale del rito pasquale è l’agnello, che rappresenta l’Israelita, membro del gregge di Dio,che pascola affidato ai pastori cui il Signore ha conferito l’autorità.
Il sacrificio dell’agnello caratterizzava il cerimoniale nel Tempio e questa carne compare ancora oggi nel Seder ( pranzo delle prime due sere di Pesach ) ( vedi par. 20 ) delle famiglie praticanti. Nell’Esodo vengono descritte dettagliatamente le peculiarità dell’agnello ( o capretto ) di cui ogni famiglia si doveva cibare nella notte di Pasqua, nonché il modo di cucinarlo e consumarlo.
Viene definito persino l’abbigliamento dei commensali.
Altre particolarità non secondarie sono gli azzimi che sostituiscono il pane normale; le erbe amare che simboleggiano l’amarezza della schiavitù; il divieto di consumare cibi fermentati delle graminacee.
La vigilia i primogeniti devono digiunare in ricordo dell’ultima piaga d’Egitto quando essi furono salvati a differenza dei primogeniti egiziani.
Infine, la Festa delle Primizie o Pentecoste (Shavuoth ), cioè delle Sette Settimane, perché ricorre sette settimane dopo la Pasqua, cade il 6 di Sivàn ( maggio-giugno ) e ricorda l’antichissima consuetudine di offrire al Tempio le primizie dopo la mietitura. In seguito la festa assunse il significato di ringraziamento per il dono della Torah a Mosè sul monte Sinai.
Il tempo tra Pesach e Shavuoth è detto omer, dal nome della misura di orzo che veniva offerta al Tempio.
E’ un periodo dedicato alla purificazione nel ricordo della estenuante e lunga fatica necessaria per passare dalla libertà fisica ( fuga dall’Egitto ) alla libertà spirituale ( l’eliminazione delle contaminazioni della civiltà egizia, il dono della Legge di Dio sul Sinai e la sua piena e definitiva accettazione ).
Il luogo del culto per antonomasia è il Tempio di Gerusalemme al quale confluivano tutte le tribù, anche quelle del Nord. E’ evidente come, con la sua distruzione definitiva e la dispersione in tutto il mondo delle comunità ebraiche , fosse gioco forza modificare la ritualità e i culti dell’anno liturgico per adattarli alle nuove realtà; comunque nelle comunità e nelle sinagoghe queste antiche celebrazioni di fede vengono conservate, se non nella forma antica, sicuramente nello spirito.
La tradizione è elemento essenziale dell’ebraicità e l’ebreo sa mantenerla vitale nella forma, il più possibile, e nella sostanza, sempre, anche nella modernità laicizzante.
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Padre Oriano di San Giuseppe
di Padre Giuseppe Caviglia
Erano le ore 24,30 del 3 maggio quando il nostro confratello padre Oriano di San Giuseppe, lasciava questo esilio terreno per spingersi “oltre” ed entrare nella Casa del Padre per goderne il Volto tanto amato e tanto agognato. Padre Oriano era pronto perché era uno di quei piccoli ai quali è riservato il Regno dei Cieli.
Padre Oriano di San Giuseppe (Ivaldo Franciosi) era nato a Podenzana (MS) il 9 gennaio 1932. Entrato tra i carmelitani della Provincia Toscana dove già vi era un suo fratello, il padre Placido, emise la prima professione il 14 ottobre 1948 e venne ordinato sacerdote il 16 ottobre 1955. Fu religioso di profonda umanità sublimata dalla fede e dal carisma teresiano che coniuga così bene umanità e soprannaturalità. Fu formatore ed educatore. Dedicò la sua vita al servizio della Provincia Carmelitana Toscana, soprattutto in Sardegna. Grande devoto di Gesù Bambino ne divulgò la devozione nell’intera isola dove oggi è fiorentissima. Organizzatore di pellegrinaggi. Fece di essi uno dei campi più fecondi del suo ministero. Nel 1992, quando era in procinto di trasferirsi a Praga nel recuperato Santuario di Gesù Bambino, fu fermato da una paresi al lato destro che lo menomò, ma non lo domò.
Superati i primi anni di dura prova, assistito amorevolmente dalla sorella e da Padri di Bocca di Magra, passò al nostro Santuario di Arenano divenendo fedelissimo confessore di tante anime e sereno confratello in Comunità. Non lo abbiamo mai sentito criticare o lamentarsi, se lo faceva, qualche volta era in modo molto sereno e sorridente, più per sdrammatizzare che per condannare. Era giovane di spirito, amava lo sport e ne seguiva volentieri gli spettacoli in televisione. Era fedele agli atti comuni secondo le sue condizioni. Era impossibile non volergli bene.
Colpito dall’ultima malattia che lo obbligò al ricovero prima all’ospedale di Voltri e poi alla Colletta di Arenano, “viveva” con le antenne del cuore la vita della sua Comunità e del suo Santuario. Per lui le visite dei suoi confratelli, attese con gioia, lo sollevavano più che le cure mediche. Quando ormai sembrava che potesse rientrare in Comunità fu colpito gravemente da problemi renali che lo portarono all’incontro con il Padre.
Era commovente l’”attrazione” per il “suo” Gesù Bambino e i faceva portare ogni giorno al finestrone del suo piano di ospedale per vedere il suo Santuario e pregare il Piccolo Re.
Il suo corpo mortale riposa nel cimitero dei frati, i “suoi frati che tanto amava. I funerali molto partecipati, furono il coronamento del suo cammino di carmelitano, è tornato ancora con la sua famiglia e con i suoi Padri. Molti i religiosi concelebranti e i sacerdoti. Presente il Vicario Provinciale di Toscana, padre Graziano Seralli, che tenne una toccante omelia, mettendo in risalto le qualità umane e sacerdotali del defunto, la sua devozione alla Vergine del Carmelo e soprattutto al Piccolo Re; il suo amore, molto ricambiato, anche alla famiglia naturale che le fu sempre vicina con encomiabile e profondo affetto.
Celebrante principale del funerale è stato padre Domenico Rossi, Vicario Provinciale della Liguria, essendo il Padre provinciale assente per il Capitolo Generale dell’Ordine che si è celebrato a Fatima.
Un episodio che mi commosse molto e che riguarda “Il Messaggero” (giornalino del Santuario): qualche giorno prima dell’aggravamento da cui non si riprese più, mi disse che aveva letto due volte “Il Messaggero” e ne lodò l’impostazione, ma soprattutto il fatto che tenessi viva la memoria del Pastore e confratello che lui tanto venerava, il Cardinal Ballestrero, e sugli ultimi numeri i servizi sulla Sacra Sindone, dicendomi testualmente “fai bene a far chiarezza, perché c’è stata tanta cattiva informazione sull’operato del Cardinale!”.
Grazie, padre Oriana di queste tue parole tanto consolanti e stimolanti.
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Parola di vita
di Chiara Lubich
“Usate bene i vari doni di Dio: ciascuno metta a servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto” (1Pt 4,10)
Edith, cieca dalla nascita, vive con altre non vedenti in un istituto dove il cappellano, paralizzato alle gambe, non può più celebrare la Messa. Per questo motivo si vuole togliere Gesù Eucaristia dalla casa. Edith ricorre al vescovo perché lo lasci quale unica luce alla loro tenebra. Ottiene il permesso e con questo anche quello di distribuire lei stessa la Comunione al cappellano e alle compagne.
Desiderosa di rendersi utile, Edith ha ottenuto anche di disporre di una radio libera per varie ore. Se ne serve per offrire ciò che di meglio ha: consigli, pensieri validi, chiarimenti morali, per sostenere con la sua esperienza coloro che soffrono. Edith…e potrei narrarti altre cose di lei. Ed è cieca e la sofferenza l’ha illuminata.
Ma quanti altri esempi avrei da narrarti! Il bene c’è e non fa rumore, Edith vive praticamente da cristiana: sa che ognuno di noi ha ricevuto dei doni e li mette al servizio degli altri. Sì, perché per “dono” (o ”carisma” come si suol dire dal greco) non s’intendono soltanto quelle grazie di cui Dio arricchisce coloro che debbono governare la Chiesa. E nemmeno s’intendono soltanto quei doni straordinari che Egli si riserva di mandare direttamente a qualche fedele, per il bene di tutti, quando pensa che occorra nella Chiesa rimediare a situazione eccezionali, o a pericoli gravi, per i quali non bastano le istituzioni ecclesiastiche. Questi possono essere la sapienza, la scienza, il dono dei miracoli, il parlare le lingue, il carisma di suscitare una nuova spiritualità nella Chiesa ed altri ancora.
Per doni, o carismi, non s’intendono solo questi, ma anche altri più semplici che possiedono molte persone e si notano per il bene che producono. Lo Spirito Santo lavora. Inoltre si possono chiamare doni o carismi anche i talenti naturali. Ognuno quindi ne è dotato. Anche tu. E che uso devi farne? Pensare come farli fruttare. Essi ti sono dati non solamente per te, ma proprio per il bene di tutti.
“Usate bene i vari doni di Dio: ciascuno metta a servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto”.
La varietà dei doni è immensa. Ognuno ha il suo e ha quindi nella comunità la sua specifica funzione. Ma dimmi un po’: qual è il tuo caso? Hai qualche diploma? Non hai mai pensato di mettere a disposizione qualche ora della settimana per insegnare a chi non sa, o non ha i mezzi per studiare? Hai un cuore particolarmente generoso? Non hai mai pensato di mobilitare le forze ancora sane in favore di gente povera ed emarginata, e rimettere così nel cuore di molti il senso della dignità dell’uomo? Hai doti particolari per confortare? Oppure per tenere la casa, per cucinare, per confezionare con poco abbigliamenti utili o per lavori manuali? Guardati attorno e vedi chi ha bisogno di te.
Provo dolore quando vedo che c’è gente che cerca e insegna come riempire il tempo libero. Non abbiamo, noi cristiani, tempo libero, finché ci sarà sulla terra un ammalato, un affamato, un carcerato, un ignorante, un dubbioso, uno triste, un drogato, un orfano, una vedova… E la preghiera non ti sembra un dono formidabile da utilizzare, dato che in ogni momento puoi rivolgerti a Dio presente dappertutto?
“Usate bene i vari doni di Dio: ciascuno metta a servizio degli altri la grazia particolare che ha ricevuto”
Immagini la Chiesa in cui tutti i cristiani, dai bambini agli adulti, fanno quanto possono per mettere a disposizione degli altri i loro doni?
L’amore scambievole acquisterebbe tale consistenza, tale ampiezza e rilievo che potrebbero riconoscere da questo i discepoli di Cristo. E allora, se il risultato è tale, perché non fare tutta la tua parte per conseguirlo?
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Paolo e i suoi collaboratori (4)
di Antonio Ratti
Nella frenetica corsa di Paolo al sacro servizio del Vangelo, compaiono tanti collaboratori ai quali vengono affidati diversi compiti di responsabilità compatibili con la loro preparazione, autorevolezza e fedeltà.
Sono i primi passi verso la costituzione di una gerarchia dotata di autorità vera.
Sila, sicuramente un collaboratore importante, ha un ruolo di rilievo nella Chiesa primitiva.
Il nome è la forma grecizzata dell’ebraico Sheal, invocare, che è anche la medesima radice di Saulo.
Negli Atti degli Apostoli è chiamato Sila, nelle lettere paoline è usata solo la forma latinizzata di Silvano.
E’ un giudeo di Gerusalemme tra i primi a farsi cristiano e in quella Chiesa gode di grande stima e reputazione.
E’ lui l’incaricato di portare ai fratelli cristiani di Antiochia di Siria e della Cilicia le decisioni prese nel Concilio di Gerusalemme ( 50 d.C. ) e di spiegarle. Evidentemente è ritenuto sufficentemente autorevole e abile a operare la necessaria mediazione tra Gerusalemme e Antiochia, cioè tra ebreo-cristiani e cristiani di origine pagana, al fine di garantire l’unità della Chiesa pur nelle diversità di origini e di riti.
Ormai è esplosa la prima grande frattura che per decenni dividerà i cristiani, creerà gravi tensioni tra le numerose comunità che si vanno formando e all’interno delle medesime, procurerà gli arresti di Paolo e di altri confratelli: Gesù è ebreo della stirpe di Davide, quindi per tutti la conversione deve passare attraverso la Legge mosaica, sostengono influenti cristiani di origine ebraica.
Tesi fortemente osteggiata da Paolo e dai più.
Sila è un giudeo che comprende l’universalità del messaggio di salvezza di Gesù che non ammette preferenze di razza e a questo spirito rimane fedele.
Quando Paolo, all’inizio del 2° viaggio, si separa da Barnaba, sceglie Sila come compagno di missione.
Insieme raggiungono la Macedonia con le città di Filippi, Tessalonica e Berea.
Mentre Paolo prosegue verso Atene e poi Corinto, Sila si ferma a completare e consolidare l’opera di apostolato; solo in un secondo tempo raggiunge Paolo a Corinto, dove cooperò attivamente alla predicazione del Vangelo.
La conferma della comune azione missionaria viene dalla 2° lettera di Paolo indirizzata ai Corinzi, quando parla di “Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi io, Silvano e Timoteo”.
L’intensa collaborazione e il feeling sono sottolineati dal fatto che Sila risulta come co-mittente, insieme a Paolo e Timoteo, delle due lettere ai Tessalonicesi.
Paolo non opera da “solista” e individualista, come può sembrare per certe sue espressioni e atteggiamenti, ma insieme con i suoi collaboratori “nel noi della Chiesa”.
E’ evidente quanto l’”io” di Paolo rappresenti il “noi” nella fede apostolica.
La posizione di Sila ha un tale spessore da essere citato nella 1° lettera di Pietro: “ Vi ho scritto per mezzo di Silvano, fratello fedele.”
Nell’intreccio delle iniziative missionarie si evidenzia la piena comunione degli Apostoli: Silvano aiuta Paolo e Pietro, perché la Chiesa è una e l’annuncio missionario della Parola non può essere che unico.
Altro compagno di Paolo è Apollo, abbreviazione di Apollonio o di Apollodoro.
Nonostante il nome sia di chiara origine pagana, egli è uno zelante ebreo di Alessandria d’Egitto. Luca negli Atti lo definisce “uomo colto, versato nelle Scritture e pieno di fervore.”
Abbracciata la fede cristiana, pensa che sia suo dovere trasmetterla ad altri.
A Efeso, dove si reca con questo proponimento, ha la fortuna di incontrare i coniugi cristiani Priscilla e Aquila ( eccezionali collaboratori di Paolo, di cui parleremo ) che, intraviste le potenzialità e la preparazione biblica, lo aiutano verso una conoscenza più approfondita e completa della Parola.
Da Efeso si trasferisce a Corinto con una lettera di referenze dei cristiani efesini per una buona accoglienza.
Luca scrive che “fu molto utile a quelli che per opera della grazia erano divenuti credenti; confutava, infatti, vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo”, il Messia.
L’ottimo lavoro ha un imprevisto risvolto problematico: alcuni membri della comunità cristiana, affascinati dal suo dotto e persuasivo modo di parlare e operare, si oppongono agli altri missionari. Paolo interviene con la 1° lettera nella quale, pur esprimendo apprezzamento per l’operato di Apollo, rimprovera ai Corinzi la responsabilità di lacerare l’unità del Corpo di Cristo frazionandosi in gruppi contrapposti.
L’Apostolo teme i personalismi, anche se involontari, quindi sostiene che “sia io che Apollo” siamo solo dei diakonoi, cioè dei semplici servitori attraverso i quali “voi siete venuti alla fede.” “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere…Siamo infatti collaboratori di Dio e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio.”
Forse, per attenuare le contrapposizioni e favorire la riconciliazione, Apollo lascia la città e torna a Efeso, ma Paolo , in quel periodo in città, lo invita a rientrare a Corinto.
Apollo rinvia il viaggio, non sappiamo con quali motivazioni. Di lui non abbiamo più notizie certe. Secondo alcuni studiosi Apollo, per la sua dimestichezza con le Scritture come attesta Luca, potrebbe essere l’estensore della lettera agli Ebrei, mentre, secondo Tertulliano, come abbiamo visto nel numero scorso, l’autore sarebbe Barnaba.
Attribuire i propri scritti a personaggi famosi con i quali si condividono spesso le idee, è stata per lungo tempo una frequente consuetudine che rende difficoltoso, spesso impossibile, ascrivere la paternità certa anche ad opere importanti. (continua )
18.05.09
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I Vangeli del mese
di Antonio Ratti
I VANGELI DEL MESE DI GIUGNO
Domenica 07 Solennità della SS.ma Trinità.
Dal Vangelo secondo Matteo ( Mt 28, 16-20 )
Gesù dà appuntamento agli 11 Apostoli in Galilea sul monte che aveva loro indicato. Quando appare si prostrarono e, insieme, dubitarono della sua presenza reale. La limitatezza della logica umana si manifesta proprio in questi contrasti comportamentali: credere nel dubbio, perché non puoi piegare alla razionalità del contingente ciò che non è contingente. Gesù, che vede dentro ciascuno, chiarisce subito per fugare ogni “fumetto mentale” affermando: “ A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,..” Anche il simbolismo del Segno di Croce è nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Gesù parla e insegna sempre nella comunione trinitaria, ma Dio è unico e questa unicità è frutto della comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Un bel rompicapo per la nostra intelligenza. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, redatto anche da Benedetto XVI quando era cardinale, ci invita a non tentare definizioni, ma, in nome della fede, accettare questo mistero come un dono e una ricchezza, poiché il Dio- Creatore, che è Padre, si rende disponibile per mezzo del Figlio e dello Spirito Santo. “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” dice Gesù. Come? Attraverso l’azione dello Spirito Santo. La salvezza dell’uomo si realizza così nell’azione trinitaria dell’unico Dio.
Domenica 14 Solennità del SS.mo Corpo e Sangue di Cristo.
Dal Vangelo secondo Marco ( Mc 14, 12-16. 22-26 )
Il nome latino della festività è Corpus Domini. Il racconto evangelico è noto. Gesù con i suoi 12 Apostoli è a tavola a “mangiare la Pasqua”, quando prende il pane e il vino e, con una preghiera di benedizione, li trasforma nel suo Corpo e Sangue. Deve essere stato grande lo stupore dei discepoli di fronte alle parole e ai gesti di Gesù, rimasti sicuramente incompresi perché del tutto estranei alla tradizione giudaica. Nessuno mette in dubbio l’adesione totale dei 12 alle parole di Gesù, ma il tarlo del dubbio, amplificato dalla difficoltà di dare un significato logico a certi eventi, è sempre presente. Anche nel brano di Vangelo letto domenica scorsa è detto: si prostarono, ma dubitarono. La presenza reale, direi, carnale di Gesù nel pane e nel vino è un tormentone che ha lacerato non pochi, anche grandi e nobili personaggi. La festa del Corpus Domini è del 1264 a seguito del miracolo di Bolsena. Un sacerdote boemo, una brava e pia persona, è distratto ogni giorno al momento della consacrazione dalla domanda: “Ci sei veramente?” Pellegrino verso Roma dove spera di risolvere il suo dramma pregando sulla tomba dell’apostolo Pietro, trova la soluzione nel duomo di Bolsena: l’ostia che sta alzando al Cielo, recitando la preghiera di consacrazione, si fa Carne viva e sanguinante. E’ un miracolo storicamente documentato che dovrebbe allontanare ogni dubbio. Ma l’uomo pretende di capire sempre tutto, anche ciò che è oggetto di atto di fede come il dono della Grazia che salva.
Domenica 21 XII domenica del Tempo Ordinario ( B )
Dal Vangelo secondo Marco ( Mc4, 35-41 )
Per la 3° domenica consecutiva il brano di Vangelo evidenzia il rapporto di fede-dubbio che attanaglia gli Apostoli e tutti noi. Perché? Si vuole sottolineare la fragilità tipica della natura umana, che continua a temere e dubitare anche di fronte alla certezza. Come si può aver paura se sulla barca c’è la rassicurante presenza di colui per il quale hanno abbandonato tutto per seguirlo? Gesù è esplicito: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” L’episodio della barca è la metafora della vita. Sebbene Lui sia sulla nostra barca per condividere fino in fondo il nostro destino, non può intervenire fisicamente in continuazione a risolverci tutte le difficoltà della vita. La fede ci dice che Dio rende ciascheduno capace di attraversare il suo mare in tempesta, perché Egli è con noi, anche quando non interviene. Dio non è il “deus ex machina” plautino, cioè lo strumento teatrale che aiuta a risolvere le trame complesse. Egoisticamente farebbe comodo un Dio di servizio a servizio dell’uomo per la sua quotidianeità. E’ necessaria, invece, l’idea di Dio- Caritas, perché tale è la verità assoluta della fede.
Domenica 28 XIII domenica del Tempo Ordinario ( B )
Dal Vangelo secondo Marco ( Mc 5, 21-24.35-43 )
Ormai, anche senza telefoni e cellulari, gli spostamenti di Gesù non sfuggono più a nessuno: così ad aspettarlo c’è sempre molta folla. Un padre, quando è toccato nei suoi affetti più profondi, non si ferma di fronte a nessun ostacolo. Infatti l’evangelista Marco parla di un capo sinagoga, quindi di un avversario di Gesù, che si presenta, spinto dalla forza del dolore, a chiedere il miracolo per la figlioletta ammalata. Mentre Gesù sta per entrare in casa, viene data la notizia della morte. Gesù conforta il pover uomo: “Non temere, soltanto abbi fede!” Pochi minuti dopo il miracolo è già compiuto. Giustamente il recupero di una giovane vita è ciò che impressiona la folla raccolta intorno all’abitazione. Eppure, ancora una volta, Gesù si preoccupa di guarire nel profondo, di andare oltre il prodigio in sé: abbi soltanto fede ed ogni timore svanisce. Gesù non perde mai l’occasione di invitare a guardare l’essenza delle cose; dopo un’ altra guarigione disse: “ Va, la tua fede ti ha salvato.” Le espressioni sono diverse, il concetto identico: cerca o conserva il dono della fede.
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Il mese Mariano al Santuario
di Walter
L’inizio non è stato certo positivo: era prevista, per il 1° maggio, una giornata intera al Santuario (come da programma sul numero scorso) con partenza dalla Chiesa di San Giuseppe, invece pochi sono stati i partecipanti. Io, con la moglie, sono stato l’intera giornata all’ospedale di Arenzano vicino allo zio padre Oriano.
Lunedì 4 maggio. Questa sera al Santuario, alla recita del Santo Rosario, è presente il nostro vescovo Francesco con i giovani preti della diocesi. Inginocchiato davanti al magnifico altare del Rosario il Vescovo ci invita a una serie di brevi ed intense meditazioni. Anche la Corale partecipa e ci accompagna con brani musicali di intensa spiritualità in sintonia con il mistero che si sta contemplando. E’ una di quelle serate che non si dimenticano.
Domenica 10 maggio. Alle ore 17 è stata celebrata una Santa Messa in occasione dell’ottavario della morte di padre Oriano. Erano presenti i parenti e tanti amici dei pellegrinaggi. Ma è anche la prima celebrazione, dopo diversi mesi, che si svolge all’interno del tempietto che è stato, in diversi momenti, interamente restaurato.
Quest’anno tutte le sere alla recita del Santo Rosario si nota una maggiore presenza rispetto agli anni scorsi. In particolare la presenza di diverse coppie (marito e moglie) e di altre persone ancora abbastanza giovani; non mancano mai alcuni bambini, o meglio, bambine. Alcune volte abbiamo avuto la presenza di gruppi della vallata: bimbi e ragazzi in ritiro per la Cresima o Prima Comunione accompagnati da genitori, catechiste…. Queste presenze sono sempre molto gradite perché ravvivano questi momenti di preghiera. Un grazie particolare va a padre Carlos poiché, io penso, quest’anno ha vissuto questi incontri serali con maggiore intensità rispetto agli anni passati. Quasi ogni sera ci ha fatto meditare su brani della vita dei Santi che avevano come tema la santificazione dei sacerdoti e, quindi, l’invito alla nostra insistente preghiera per loro, affinché riescano a superare le tante difficoltà che incontrano nel loro apostolato. Tutti i giovedì c’è stata l’adorazione eucaristica, compresa quella del secondo giovedì del mese con la presenza dei fedeli di tutte le parrocchie della vallata.
Mercoledì 27 maggio. Anche quest’anno è giunto dal Belgio un gruppo di ragazzi e ragazze accompagnati dalla loro insegnante, Gisella, che si sono fermati qui un pomeriggio. Gisella si è innamorata prima (anni indietro) di Fabrizio, suo marito, un italiano che vive in Belgio, poi dell’Italia e di Ortonovo in particolare. Ogni anno organizza una gita scolastica in Italia e ogni anno passa a far visita al Santuario e al nostro paese. E’ anche una affezionata lettrice del “Sentiero” che ogni mese le passa suo suocero Piero che vive anche lui in Belgio.
Venerdì 29 maggio. Questa sera si è celebrata solennemente la chiusura del mese mariano. Grazie alla presenza dei seminaristi, del Rettore del seminario, mons.Enrico Nuti e dei parroci e diaconi la celebrazione è stata molto bella e ben organizzata. Peccato per la scarsa affluenza di fedeli sia del paese che della vallata.
Al termine della Santa Messa è stato donato al Rettore del seminario un quadro raffigurante l’affresco del “Miracolo” affinché la “nostra” Madonna, che tante grazie ha elargito ed elargisce continuamente nella vallata, assista quel bel gruppo di giovani avviati al sacerdozio.
Sabato 30 maggio. Questa mattina è arrivato da Pieve a Fievole un bel gruppo di pellegrini (oltre 100) accompagnati dal Parroco. Dopo la celebrazione dell’Eucaristia, il pranzo nei locali del Santuario e una visita al paese sono ritornati, molto soddisfatti, al loro paese.
Domenica 31 maggio. In mattinata è giunto un gruppo (Cammino neocatecumenale) da Ceparana per un ritiro spirituale e sono ripartiti nel pomeriggio mentre giungeva un altro numeroso gruppo di pellegrini della parrocchia di Fossone (Carrara), guidati dal parroco, don Andrea. Alle ore 18 hanno recitato i Vespri poi Adorazione e Benedizione Eucaristica. Quindi tutti nell’antico refettorio per la cena preparata dai volontari dell’ANSPI.
Grazie di cuore a tutti questi gruppi che vengono a pregare al nostro Santuario, è anche grazie alle loro offerte che possiamo fare i restauri dovuti ed abbellire i dintorni del Santuario.
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