UN AMORE PER UNA VITA (2)
Poi io avevo continuato con le mie battute ironiche, ma, soprattutto, amare. E lei, sempre, aveva opposto la sua sorridente e disarmante dolcezza.
E così, ad un certo punto, anch’io sorridevo, e parlavo, ed ero cordialmente e piacevolmente conversevole.
E la sera eravamo compagni di viaggio, per il ritorno a casa. Prendevamo lo stesso treno.
Il giorno dopo eravamo diventati amici. Poi, amici inseparabili.
Tutti gli angoli della città universitaria erano nostri.
Dopo le lezioni, lunghe passeggiate in cerca di solitudine: per parlare; per guardarci; per sognare; e per fare silenzio.
Ogni giorno sembrava che il giorno precedente avesse segnato un ulteriore progresso nella nostra amicizia e nella nostra intimità.
Lei poi aveva incominciato a guardarmi e a parlarmi e anche a non dire niente in modo eloquente.
Nel vedermi, il suo volto sorrideva di luce nuova. Guardandomi, i suoi occhi splendevano di intima gioia. Mi diceva “tu” e chiamava il mio nome con trepida commozione della voce.
Ma anche i suoi silenzi e i suoi taciti soprappensiero erano, pur essi, non equivoche confessioni d’amore.
Ed io ero rimasto affascinato da quella amorosa dedizione. E da lei.
Era alta , esile, bionda. Parlava e sorrideva in un viso in cui risplendeva la grazia di una adolescenza innocente e sognatrice; ed era illuminato dalla aristocratica nobiltà di una intelligenza gratificata dalla sicurezza di una serena visione interiore.
Gli occhiali le conferivano un’aria intellettuale apparentemente fragile; ma, in realtà, ostinatamente e fervidamente curiosa della cultura e della vita.
Quando sorrideva o parlava, le si illuminava soprattutto la fronte: che aveva candida, tranquillamente distesa, ricca di pensiero e di sentimento, armoniosamente modellata dalla passione del cuore e dalla chiarezza della mente.
Mi pareva di vivere in un miracolo; io, che in passato avevo distribuito tanto amore: mai ricambiato, spesso ignorato, a volte sgradito, o addirittura schernito: e che ora, invece, ero l’oggetto di un sentimento così fervidamente esclusivo.
Ero stupito ed ero lusingato. Ma un po’ anche atterrito.
Come ricambiare, infatti, quell’ardore di passione, dal momento che, ormai, mi sentivo come una sorgente inaridita? Con tanta intensità avevo distribuito, invano, amore, che ora il mio cuore lo sentivo esausto e arido. Come, dunque, ricambiare quella gentilissima?
Mi tormentavo. Ma erano pensieri che insorgevano quando lei era lontana; o, lei presente, quando me ne lasciava il tempo.
Per il resto, erano smembramenti; rapito in compagnia di quella fanciulla bionda, poi bruna: in giro per la città universitaria e per i dintorni: che mi ascoltava, mi parlava, mi confortava, mi consolava, mi coccolava,mi viziava. Mi amava. Amava i miei vizi del corpo; li baciava.
Amava le mie debolezze dell’anima; le mie crisi; le mie paure; la mia mancanza di passione; si inteneriva e si infervorava: “Amo io, per tutti e due!”, diceva; e rideva; e quel riso mi era vita del cuore.
Carlo
BIANCO INFERNO
Già non è più dolore; è stordimento.
Ed ormai, vera naufraga, m’arrendo,
sulla lastra di ghiaccio
che il mare, lentamente, sta struggendo.
Ché ti rapisce un turbine violento.
E, se invochi il mio nome,
il tuo grido
deviato dal vento,
nell’infinito spazio va morendo.
O,nel mio bianco inferno
tu fosti un sogno
che mi finsi vivendo?
Ma cercherò altre mani;
fino a che l’onda avara
non travolga
l’isola lieve,
che mi regge a stento.
Maria Giovanna
dal libro ‘L’ESTATE DI DICEMBRE’ di
Carlo Lorenzini e M.G. Perroni Lorenzini ed. Don Chisciotte)